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Iraq, la «promozione della democrazia» serve a comprare la fedeltà politica

Delusione imperiale

Gli Stati uniti, a differenza degli imperi della vecchia Europa, hanno sempre preferito esercitare la loro egemonia indirettamente puntando su despoti locali
L'occupazione dell'Iraq ha significato un'invasione sia militare che economica così come prefigurato da Hayek, il padre del neo-liberismo
5 febbraio 2005
Tariq Ali
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

A differenza degli imperi della vecchia Europa, gli Stati uniti hanno sempre preferito esercitare la loro egemonia indirettamente. Hanno puntato su personaggi locali - despoti in uniforme, oligarchi corrotti, politici compiacenti e monarchi obbedienti - piuttosto che su lunghe occupazioni e a processi di nation-building con forme attentamente controllate di democrazia a bassa intensità che fanno leva sulle élite. E' stato solo quando le ribellioni dal basso minacciavano di far saltare quest'ordine, che hanno mandato i marines e combattuto guerre. Nonostante il cambiamento mondiale determinatosi nel corso degli anni `90 richiedesse una modifica delle priorità Usa e l'imposizione del "Washington consensus", l'élite imperiale è ancora allergica alle occupazioni a lungo termine. Se durante la guerra fredda tutte le forze anticomuniste (compresa l'attuale leadership di al-Qaeda) venivano finanziate indiscriminatamente, i beneficiari del XXI secolo vengono scelti con più attenzione. Lo scopo è rimpiazzare lentamente le élite tradizionali presenti nelle vecchie satrapie con una nuova generazione di politici neo-liberisti geneticamente programmati, che hanno studiato e sono stati addestrati negli Stati uniti. Questa è la funzione primaria del denaro destinato ai programmi di «promozione della democrazia» negli Usa. Essendo una merce, la fedeltà di politici, partiti, sindacati può essere acquistata. E il risultato sperato è la creazione di una nuova leva di politici giannizzeri al servizio di Washington.

La «promozione della democrazia» non è altro che questo. La sua variante più recente è stata ora applicata in Afghanistan e in Iraq e colpirà Haiti (un altro paese occupato) nel novembre di quest'anno. Creare una nuova élite, darle fondi e armamenti per costruire un nuovo esercito e incaricarla di rendere il paese sicuro per le corporations. Le elezioni afghane del 2004, anche secondo alcuni commentatori filo-americani, sono state una farsa completa e la tanto vantata affluenza del 73% è una truffa. Se non fosse così, il proconsole americano non sarebbe impegnato a costruire una nuova alleanza con le fazioni talebane vicine all'intelligence militare pakistana.

In Iraq l'affluenza alle urne (secondo Debka, il sito web fedele all'intelligence israeliana) è stata vicina al 40% e a Basra (subappaltata a Tony Blair) non ha superato il 32%. I seguaci di Sistani hanno votato per compiacere il loro Ayatollah ma se Sistani non riuscirà a portare la pace e a porre fine all'occupazione, anche loro potrebbero venire a mancare. Al momento l'unica forza su cui si può contare è quella delle tribù kurde. Il battaglione del 36° comando kurdo ha combattuto accanto ai marines americani a Fallujah, ma i capi delle tribù vogliono qualche forma di indipendenza (anche se come protettorato israelo-statunitense) e vogliono parte del petrolio. Se la Turchia - il leale alleato della Nato che aspira a entrare nell'Ue - mettesse il veto a un'ipotesi di questo tipo, anche i kurdi potrebbero accettare denaro da altri offerenti. La battaglia per l'Iraq è lungi dall'essere finita. E' semplicemente entrata in una nuova fase. Nonostante i forti contrasti sul boicottaggio delle elezioni, la maggioranza degli iracheni non cederà volontariamente il suo petrolio né il suo paese all'occidente. I politici, con o senza barba, che cercano di imporre questo perderanno tutto il sostegno di cui godono e finiranno per dipendere completamente dagli eserciti stranieri accampati nel loro paese.

In occidente, il coro trionfalista dei media di stato o legati alle corporations riflette un unico fatto: le elezioni irachene non miravano tanto a preservare l'unità dell'Iraq, quanto a ricompattare l'occidente. Già dopo la rielezione di Bush i francesi e i tedeschi stavano cercando un ponte verso Washington. I francesi avevano collaborato all'occupazione di Haiti senza che dai media francesi si levasse alcun dissenso. I tedeschi ora possono unirsi nuovamente al gruppo. Le truppe francesi e tedesche si uniranno ai loro ammaccati colleghi britannici, americani e ai mercenari privati di stanza nelle zone di guerra irachene per sancire quest'unità? E se lo faranno, i loro cittadini obietteranno o accetteranno la propaganda che vede l'elezione illegittima come una giustificazione all'occupazione (il Carter Centre, che monitora le elezioni in tutto il mondo, si è rifiutato di inviare osservatori). E se le truppe francesi e tedesche saranno inviate, sarà loro vietato l'uso di camere digitali per registrare le torture che ancora avvengono in aperta violazione della Convenzione di Ginevra?

L'occupazione dell'Iraq ha significato un'invasione sia militare che economica così come prefigurato da Hayek, il padre del neo-liberismo. L'idea essenziale del potere imperiale era fortemente radicata nella dottrina originale. Dopo tutto, è stato Hayek il pioniere dell'idea di attacchi aerei subitanei contro l'Iran nel 1979 e contro l'Argentina nel 1982. La ricolonizzazione dell'Iraq gli sarebbe piaciuta molto. Egli disprezzava le espressioni di pietà, e i politici che mascheravano i loro veri scopi con parole ambigue sull'«umanità» lo avrebbero irritato.

Che dire dei media, il pilastro della propaganda del nuovo ordine? In Control Room, un documentario canadese su Al Jazeera, una delle immagini più rivelatrici e disgustose è quella dei giornalisti occidentali «embedded» che facevano i salti di gioia all'annuncio della presa di Baghdad. L'informazione sulle elezioni in Afghanistan e Iraq è poco più che vuota propaganda. Questa simbiosi tra politiche neo-liberali e media neo-liberali contribuisce a rafforzare la perdita di memoria collettiva di cui soffre oggi l'occidente. L'insistenza sull'idea che la politica contemporanea sia totalmente compresa nelle categorie essenziali di «amico» e «nemico» ha un lungo pedigree. E' stato Carl Schmitt, un teorico del diritto del Terzo Reich piuttosto dotato, a sviluppare per primo questo punto di vista per giustificare gli attacchi preventivi di Hitler contro gli stati confinanti. Dopo la seconda guerra mondiale gli scritti di Schmitt sono stati adattati dai conservatori americani alle esigenze degli Stati uniti, e attualmente sono il fondamento del pensiero neo-con. Il loro messaggio è diretto: se non serve i nostri interessi, il tuo paese è uno stato nemico. Sarà occupato, i suoi leader saranno rimossi e saranno messi sul trono satrapi compiacenti. Ma quando le truppe si ritirano, i satrapi spesso cadono. Occupazione, ribellione, ritiro, occupazione, auto-emancipazione è un modello ricorrente nella storia del mondo.

A Norimberga il ministro degli esteri tedesco fu incriminato perché aveva fornito la giustificazione per l'attacco preventivo alla Norvegia. Colin Powell, Condoleeza Rice, Jack Straw e i loro capi in un banco degli imputati futuro? Idee utopistiche come queste possono fare andare avanti ancora per qualche anno.

P.S.: Ho appena saputo del rapimento di Giuliana Sgrena. Nel caos che è oggi l'Iraq, non possiamo essere certi se i rapitori sono soltanto persone in cerca di soldi, o se appartengono a qualche gruppo della resistenza, o se agiscono per qualche agenzia di intelligence. Qualunque sia la causa, non possiamo che augurarci che venga rilasciata presto. Ci sono troppo pochi giornalisti che documentano la verità. Le persone che detengono Giuliana (se si oppongono all'occupazione) dovrebbero sapere che il manifesto è contrario all'impiego di truppe italiane e chiede il loro ritiro.

Note: traduzione marina impallomeni

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