«Cancellate il debito... davvero»
di Sabina Moranti
Immigrati nigeriani, campagne e associazioni per la
cancellazione presentano a Roma le loro proposte in
vista del G8 del 6-8 luglio in Scozia e chiedono al
governo di applicare la legge italiana
Sabina Morandi«Dopo la! guerra
l'Europa ha avuto il suo
piano Marshal. Noi chiediamo soltanto di cancellare i
debiti odiosi di una dittatura efferata, per riuscire
a ricostruire il paese dopo quella che stata una
guerra civile a tutti gli effetti. Avete paura
dell'invasione degli immigrati? E allora dateci la
possibilità di sviluppare la nostra economia». E' la
prima volta che un'associazione di immigrati partecipa
a una campagna per la cancellazione del debito del
proprio paese, un paese, la Nigeria, escluso dalla
lista dei "meritevoli" perché pieno di giacimenti
petroliferi anche se è di gran lunga il paese più
indebitato del continente (36 miliardi di dollari) e
ogni cittadino paga 12 dollari a testa soltanto per
gli interessi. E' infatti Ifeanyi
Nwamba,
dell'Associazione dei nigeriani in Italia, ad aprire
la conferenza stampa organizzata da Sdebitarsi insieme
al Gruppo Interparlamentare sul debito, un incontro
volto a fissare le coordinate di quan! to verrà discusso
al summit G8 la prossima settimana, e a precisare una
serie di informazioni utili per difendersi dalla
valanga di propaganda buonista che si rovescerà su
lettori e telespettatori. Il movimento che da anni si
batte contro il debito scalda i motori, e sono già
cominciati gli incontri informali con i cosiddetti
sherpa, come vengono chiamati i tecnici inviati dai
singoli paesi a trattare al tavolo dei potenti per
conto dei propri governi. «Nell'incontro che si è
svolto ieri a Palazzo Chigi» racconta Raffaela Chiodo,
coordinatrice di Sdebitarsi «abbiamo chiesto di darci
conto del mancato impegno dell'Italia in questo
settore, pur avendo il nostro paese una legge, la 209,
fortemente innovativa rispetto alle proposte
attualmente in circolazione». Ma rispetto alla legge
il governo italiano sta attuando una vera e propria
marcia indietro: non solo ha cancellato appena la metà
dei debiti bilaterali con i paesi più poveri,! che la
legge s'impegnava a ridurre a zero, ma si è guardato
bene dal giocare un ruolo attivo nelle sedi
istituzionali, come le Nazioni unite, il Fondo
monetario e la Banca mondiale. «Lungi dall'essere quel
campione di umanitarismo che viene dipinto dai media»
continua Raffaella Chiodo «sembrerebbe che l'Italia ha
utilizzato la questione del debito per ridurre gli
aiuti allo sviluppo visto che ogni cancellazione viene
semplicemente detratta da quel misero 0,15 per cento
di aiuti che ci mette all'ultimo posto fra i paesi
donatori». Inutile dire che anche il fondo per la
lotta all'Aids - ricordate? Era il fiore all'occhiello
di Berlusconi durante il G8 di Genova - si è
trasformato in una barzelletta. I 100 milioni di euro
di stanziamenti annunciati per il 2005, ad esempio,
cui dovrebbero aggiungersi altri 80 milioni entro la
fine dell'anno «non sono nella finanziaria, quindi,
sostanzialmente, non esistono» denuncia Vittorio
! Agnoletto «La realtà è ben diversa: il nostro paese
è
stato ufficialmente richiamato con una mozione del
parlamento europeo perché non ha ancora versato i
cento milioni che doveva dare entro il 30 settembre. E
mentre l'epidemia avanza e l'associazione dell'Aids
con altre malattie dei poveri come la tubercolosi
alimenta i fenomeni di resistenza ai farmaci, l'agenda
liberista prosegue implacabile con il suo calendario.
Basti pensare che il parlamento indiano, su
imposizione del Wto, ha dovuto
bloccare la produzione
dei generici: una cosa gravissima se si pensa che sono
proprio le aziende indiane a consentire la cura di
almeno metà dei sieropositivi che risiedono nei paesi
poveri». Prima di stracciarci le vesti sulla figura
della solita italietta, basta dare
un'occhiata alla
disinvolta strategia mediatica di Blair
che, appena
due settimane fa, annunciava un «accordo storico»
forse «più importante di Yalta», salvo poi precisare
che l'! accordo non è stato ancora firmato e che,
molto
probabilmente, si arenerà nei veti incrociati.
Aspettiamoci quindi un altro annuncio in grande stile
- magari a braccetto con Bob Geldof - subito seguito
dallo spettacolo dei governanti europei freneticamente
impegnati a passarsi il cerino incandescente per non
fare la figura degli uccelli del malaugurio. Ma il
vero scandalo non sta tanto nelle mancate
cancellazioni - o riduzioni o sconti che dir si voglia
- né nel fatto che il "nuovo piano" ricalca il vecchio
piano del Fondo monetario e della Banca Mondiale per i
paesi poveri pesantemente indebitati (noto sotto la
sigla Hipc) che, dopo dieci anni di discussioni non
ha
avuto ancora alcun effetto. E' scandalosa l'idea di
vincolare la "storica" concessione all'accettazione
delle stesse condizioni capestro che proprio quel
debito hanno contribuito a creare: privatizzazioni,
libera circolazione di capitali e le pratiche di buon
governo, monitorate dalle virtuose burocrazie
occidentali. La classica volpe messa a guardia del
pollaio? Mentre Francesco Martone, senatore
indipendente del Prc, sottolinea
la totale mancanza di
trasparenza dei negoziati sul debito, da cui sono
esclusi perfino i parlamentari nazionali ed europei,
Antonio Tricarico, della Campagna per la riforma
della
Banca Mondiale si limita a citare «il memorandum
interno della Halliburton, compagnia petrolifera del
vice-presidente statunitense, pubblicato dal Financial
Times, con tutti i dettagli della strategia volta a
nascondere l'esistenza di processi in corso sullo
scandalo delle tangenti legate alla costruzione
dell'enorme impianto estrattivo di Bonny Island, in
Nigeria. Una strategia efficace che ha evitato, ad
esempio, di fare arrivare alla stampa internazionale
la notizia che il parlamento nigeriano vuole ritirare
le concessioni al consorzio di industrie petrolifere
coinvolte nei proce! ssi.
Sono queste le autorità morali
che debbono dare lezioni di buon governo?». Non ci
venissero insomma a dare lezioni di etica né,
tantomeno, a dire che non ci sono fondi o che le
regole del Club di Parigi, che rappresenta i paesi
creditori, non consentono di accelerare i tempi o di
cancellare il debito ai produttori di petrolio. «Le
regole del Club di Parigi» continua Tricarico «sono
state disintegrate dalla gestione statunitense del
debito iracheno. Si può fare di tutto? E allora
facciamolo». Per quanto astruso e complesso, il tema
del debito è sentito dalla maggior parte dell'opinione
pubblica internazionale. Ma allora perché non si
riesce a concretizzare? La colpa, secondo
Luisa
Morgantini, è la strumentale separazione fra le
questioni relative al debito e quelle relative al
commercio internazionale, una separazione che
«all'interno del parlamento europeo, provoca spesso
dei conflitti fra le commissioni che si occupano di
sviluppo
e quelle che prendono decisioni sul
commercio. Basti guardare l'elenco dei parlamentari
che hanno sottoscritto l'iniziativa Make Poverty
History: sono gli stessi che perseguono attivamente
le
politiche commerciali più inique». Ecco perché queste
iniziative, per quanto condivise da una parte
consistente del movimento contro il debito, rischiano
di essere controproducenti, come segnalava Monbiot da
queste pagine. Non tanto, e non solo, perché
legittimano il G8 come alternativa accettabile alle
Nazioni Unite - e su questo piano, durante la
"presidenza statunitense" al semestre europeo se ne
vedranno delle belle - quanto perché rafforza la
separazione artificiale fra "carità" e politica
economica, all'insegna del vecchio principio del
potere d'ogni tempo: che non sappia la destra ciò che
fa la sinistra.
LIBERAZIONE, 25.6.2005--