Apartheid wall
Una barriera di separazione, un muro di protezione, di sicurezza, una guerra contro il terrore - ma gli israeliani non hanno alcuna idea di quale sia il costo per i palestinesi.
Dopo gli insediamenti, gli avamposti, le deviazioni stradali, le confische, la chiusura, l'accerchiamento, la disoccupazione e il coprifuoco, ora questo problema è piombato sulla testa di migliaia di residenti che vivono nell'area del muro, che una volta ancora si ritrovano ad essere vittime senza avere alcuna colpa.
Contadini i cui campi sono stati confiscati, viticoltori le cui vigne sono state calpestate, pastori i cui pascoli sono stati distrutti, contadini i cui pezzi di terra sono rimasti dall'altra parte del muro, uomini disoccupati la cui ultima risorsa di sussistenza è stata ora distrutta, e villaggi che sono stati isolati dalle loro risorse di vita.
Una barriera che è stata concepita per proteggere la vita degli israeliani è stata messa arbitrariamente sulla loro terra che si va riducendo - no, Dio ce ne guardi, sulla terra degli israeliani. Perché è così, davvero? Perché non su terra israeliana? Nessuno lo ha chiesto, nessuno si è accordato con loro, non c'è interesse neppure a discutere la possibilità di chiedere il loro permesso. Dopo tutto, chi sono?
Il rumore dei martelli si può sentire da lontano: dovunque nel nord della West Bank si può sentire il rumore del ferro che penetra nella roccia, un rumore spaventoso che proviene dalle valli e dalle colline. Una flotta di camion e di bulldozers che sradicano montagne si spostano qui e là.
Lo spettacolo è spaventoso: fra Tul Karm, Jenin e Qalqilyah il terreno è rotto e tagliato, come una larga ferita lungo la West Bank del nord, come in seguito ad una grave operazione. Una strada per le pattuglie, un sentiero di sicurezza e un'infrastruttura di cemento - un'enorme cicatrice
Una brochure verde è stata pubblicata dalle organizzazioni palestinesi per l'ambiente, "La campagna per il muro dell'apartheid" rivela le sue statistiche: il 2% delle terre della West Bank sarà espropriato nel corso del primo stadio, almeno 30 villaggi perderanno parte delle loro terre, 15 villaggi saranno ingabbiati fra il muro e la Green Line, 160.000-180.000 dunams [dai 40.000 ai 45.000 acri] saranno espropriati, 30 pozzi saranno separati dai loro proprietari. E questo solo nel primo stadio, solo nella parte nord della West Bank.
Di fronte alla catastrofe.
Un altro blocco stradale di sporcizia e di rifiuti è stato eretto questa settimana lungo la strada d'accesso a Izbet Tabib, un piccolo villaggio ai bordi dell'autostrada principale che sale da Qalqilyah fino a Nablus ed è aperta solo agli ebrei, per stringere ulteriormente d'assedio il villaggio. Solo un apparato d'occupazione potrebbe pensare ad utilizzare in questo modo ignobile rifiuti e robaccia - riciclarli e trasformarli in enormi blocchi stradali, orribili e crudeli. Sul sentiero sudicio che circonda il blocco stradale, il responsabile del consiglio del villaggio gesticola dalla sua macchina: ieri è venuto l'esercito, ha scavato, impilato schifezze per i blocchi stradali e incidentalmente ha danneggiato l'impianto idrico del villaggio. Ora gli abitanti non hanno acqua.
Attraversiamo una foresta di pini rimbalzando come se ci inerpicassimo sulle rocce, cercando di raggiungere il villaggio vicino. Alla periferia di Isla si può già vedere il muro che viene scavato alla destra della strada. Ad Azun camion enormi provenienti da Ginevra scaricano sacchi bianchi di farina, dono della Croce Rossa Internazionale.
Gli uomini senza lavoro della città osservano con indifferenza la farina che viene scaricata. Non siamo a Bagdad o Kabul. Ai bordi della città i taxi si accalcano. Non hanno che un'unica breve strada - fino al successivo posto di blocco - e anche loro sono senza lavoro.
Nel villaggio di Jiyus, nell'edificio rinnovato del consiglio comunale, la cartina del "muro dell'apartheid" è appesa alla parete dell'ufficio di Abdel Ataf Khaled, del Gruppo Idrologico palestinese. Grandi, enormi macchie color porpora tingono la mappa ad est della Green Line.
"Siamo di fronte ad una catastrofe" dice l'idrologo Khaled, l'attivista locale nella lotta contro il muro. Lo scorso luglio, dice, è stato imposto al villaggio un coprifuoco di un giorno intero. Poi è arrivato l'esercito, accompagnato dai bulldozers che hanno piantato dei segnali di riferimento sulla terra del villaggio. Gli abitanti non capivano, nessuno aveva un'idea di quello che si stava preparando. "Adesso sappiamo che era il momento della progettazione" dice Khaled.
Durante la prima settimana di settembre i contadini hanno trovato dei fogli sparpagliati nei loro campi: erano ordini di esproprio. Vi era aggiunta anche una mappa. Khaled dice che dai fogli e dalla mappa che avevano ricevuto si capisce che lo spessore del muro sarà di 55-58 metri e che 292 dunams [circa 75 acri] lungo 4.100 metri saranno espropriati dal villaggio. "In seguito abbiamo scoperto che saranno requisite 600 dunams lungo 6.000 metri" dice Khaled.
La settimana successiva l'esercito ha comunicato a lui e agli altri abitanti del villaggio che si dovevano incontrare con Ramai dell'Amministrazione Civile e fare un breve tour nella regione. "Gli abitanti sono stati sconvolti dal tour" dice il loro rappresentante, Khaled. "Siamo contadini, hanno detto, e quindi hanno chiesto: saremo autorizzati a lavorare le nostre terre dall'altra parte del muro?" Rami ha risposto:"Sì" "Facilmente?" "Facilmente" ha promesso. Ma non gli hanno creduto".
Le ultime risorse
Ci sono 3.200 abitanti a Jiyus, che appartengono a 550 famiglie. Khaled dice che circa 300 famiglie si sostengono soltanto coltivando la terra, e circa 200 famiglie si guadagnavano la vita lavorando in Israele, cosa che non è più possibile. Anche queste famiglie hanno provato a rimettersi a lavorare la terra come ultima risorsa. Mi spiega che 8.600 dunams [2.150 acri] su un totale di 12.500 dunams [circa 3.120 acri] che costituiscono l'area del villaggio, comprese le case, sono collocate al di là del muro.
"Non sono terre sterili, si tratta di terreni coltivati" enfatizza. Ci sono 120 serre, ognuna di queste produce 35 tonnellate di pomodori (o cetrioli) all'anno.
Anche sette pozzi che gli abitanti del villaggio si dividono sono rimasti al di là del muro. Settecento dunams [175 acri] di orti e 500 dunams [125 acri] di frutta e verdura e 3.000 dunams di olive ed il resto è costituito da terre da pascolo.
L'idrologo spiega: "65.000 giorni di lavoro attendono questa comunità [Jiyus] dall'altra parte del muro. "E che cosa succederà in estate, chiede, per quelli la cui acqua proviene dai pozzi situati dall'altra parte? "
"Se questi campi non sono irrigati ci sarà una catastrofe ambientale. In ogni caso, sei dei sette sentieri che portano ai campi sono già stati sbarrati dalle Forze di Difesa israeliane - prima ancora della comparsa del muro. Anche adesso occorrono due ore in ogni direzione per raggiungere gli appezzamenti e si perde tutta la giornata per raggiungere il campo e ritornare. La coltivazione della terra è un'attività di famiglia. Che cosa succederà se ci sarà imposta una tassa di transito? Un contadino dovrà spendere 50 shekels per raggiungere la sua terra con la famiglia?
"Ho una vicina che ha lavorato per tre anni per risparmiare un po' di denaro per comprare un pezzo di terra" dice " Ha comprato otto ulivi, un albero per ogni membro della famiglia. Non poteva immaginare che il muro sarebbe stato innalzato proprio sui suoi otto alberi. E' stata sconvolta nel vedere i simboli rossi sui suoi alberi, segno che indica che il muro passerà proprio in quel punto. Ormai sono già stati sradicati. Per lei quegli otto alberi significavano la vita. L'uomo che ha sradicato gli otto alberi non conosceva la loro storia. Fra di noi ci sono persone per cui gli alberi sono come figli.
"Qui alcune persone dicono che stiamo per diventare profughi. Che cosa succederà quando il muro sarà completato e la porta chiusa? La situazione nel villaggio è già difficile. Quest'anno abbiamo ritirato 45 bambini dalla scuola materna perché i loro genitori non sono riusciti a pagare i 35 shekels di iscrizione mensile. A 60 famiglie è stata tagliata la corrente elettrica perché non sono in grado di pagare il loro debito al consiglio regionale. Che cosa accadrà dopo il muro?
Che cosa vogliono ora mentre la barriera viene costruita sotto i loro occhi?
Khaled: "Tre cose: che ci lascino accedere comodamente e facilmente ai nostri campi, che ci consentano di restare padroni della nostra terra e che possiamo vivere in pace e da buoni vicini con Kochav Yair e Tzur Yigal ed il resto dei nostri vicini ebrei."
All'esterno del villaggio alcuni adolescenti si sono riuniti. Vogliono già qualcos'altro: "Che ritorniate in Europa."
L'Amministrazione Civile ha dato questa risposta alle nostre domande:" Per le terre che sono fisicamente confiscate per la costruzione del muro sarà possibile ricevere denaro in risarcimento, su presentazione di un attestato di proprietà della terra. Per quelle terre che resteranno nel versante occidentale del muro, i proprietari o i loro incaricati avranno diritto di accesso per poter coltivare attraverso varchi collocati lungo il percorso del muro. L'apparato di sicurezza troverà una soluzione per il transito dei residenti verso i loro appezzamenti di terra.
"Solo i proprietari di terre che sono materialmente danneggiate riceveranno un risarcimento. Per ogni bene confiscato è stata emessa un'ordinanza appropriata tradotta anche in arabo. Inoltre questi avvisi sono stati pubblicati su ogni proprietà confiscata nei relativi quartier generali degli Uffici di Coordinamento Unitario del Ministero della Difesa israeliano, ed è stata inviata comunicazione all'ufficio di coordinamento palestinese. Sono state predisposte visite presso i proprietari dei terreni qualche giorno dopo la distribuzione dell'ordinanza e, contemporaneamente, è stata data una spiegazione circa la proprietà da confiscare."
Al-Quds, un quotidiano palestinese indipendente, ha già scritto che i contadini i cui campi resteranno dall'altra parte del muro, dovranno pagare una tassa sul transito di 10 shekels per persona ogni volta che vorranno accedere al loro campo. L'Amministrazione Civile nega, ma i contadini che abbiamo incontrato questa settimana sarebbero assai contenti se fosse vero: dopotutto, già adesso, che il muro non è stato ancora terminato, non hanno l'autorizzazione per recarsi nei loro campi.
Abed Khaled un contadino di Jiyus, un padre di otto figli che ha lavorato in Israele per quindici anni, è senza lavoro come tutti gli altri e adesso è convinto di aver anche perso la sua terra e di essere stato privato dell'ultima risorsa di sussistenza. "Non c'è lavoro e non c'è terra" mi ha detto questa settimana.
"La vita è finita".
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