Fermate subito la costruzione del muro
Il governo israeliano sta attualmente facendo costruire il 'Muro di Separazione', definito con un eufemismo anche 'Recinzione di sicurezza', che dovrebbe bloccare gli 'attacchi terroristici' (ma che certamente non eviterà che missili ed elicotteri colpiscano i loro obiettivi umani) per un costo preventivato di due bilioni di dollari nel bel mezzo dei territori occupati della West Bank. Esistono anche dei piani per completarlo lungo la riva del Giordano. In ogni caso sta già creando una situazione con conseguenze tragiche incommensurabili. Ma in questo momento, le reazioni e le obiezioni da parte delle organizzazioni internazionali, dei governi, della pubblica opinione fuori e dentro Israele (con la notevole eccezione di alcuni gruppi coraggiosi come Gush Shalom, B'Tselem, Ta'yush), rimangono estremamente limitate, come se tale costruzione fosse un ormai un dato di fatto, come se la protesta dovesse aspettare che il lavoro venga terminato o come se si dovessero mantenere delle precauzioni tattiche in un periodo di rinnovati 'colloqui di pace' sotto gli auspici degli Stati Uniti e di altre potenze mondiali.
Spostando la popolazione direttamente o indirettamente, e/o privandola dei mezzi di sussistenza (sradicando alberi, negando l'accesso all'acqua ed alle terre coltivabili), dell'opportunità di studiare e lavorare, attraverso la terribile limitazione della libertà di movimento, il Muro colpisce la capacità del popolo palestinese di continuare a vivere, in maniera simile alle espulsioni di massa del 1948 ed all'occupazione del 1967. Secondo una stima, tra 90.000 e 210.000 palestinesi stanno per essere trasferiti dalle loro case. Come tutti gli altri, anche questo progetto consiste nel rendere le loro vite talmente impossibili che molti non avranno altra scelta che abbandonare i loro villaggi ed il loro Paese. Le sanzioni del Muro rendono irreversibili gli insediamenti ebraici (tutti illegali secondo il Diritto internazionale), e la graduale confisca di Gerusalemme Est, cose che trasformano il futuro 'Stato Palestinese vitale', sempre oggetto di promesse, in una sorta di miscuglio raffazzonato di riserve e campi profughi, generalizzando ed aggravando il modello già realizzato a Gaza. Esso imprigiona i Palestinesi (o meglio, quella parte di loro che fin'adesso sono riusciti a restare ed a resistere sulla loro terra) in una parte ristretta della West Bank, dietro una tripla linea fatale costituita da concreto filo spinato e da fortificazioni elettroniche, i cui precedenti nella storia moderna appartengono senza possibilità di discussione alle tradizioni totalitarie. Esso trasforma anche le 'Forze di difesa' israeliane e gli stessi cittadini in un popolo di sentinelle. In poche parole, si tratta di una nuova naqba che ha in serbo per il presente e per il futuro soltanto carestia, deportazioni, terrore, guerra, abiezione, per quanto possano essere raggiunti delle intese provvisorie attraverso gli accordi internazionali.
Etienne BALIBAR, University of Paris-Nanterre and University of California,
Irvine Daniel BOYARIN, University of California, Berkeley
Susan BUCK-MORSS, Cornell University, Ithaca
Judith BUTLER, University of California, Berkeley
Nabil EL HAGGAR, Université des Sciences et Techniques de Lille
Ghislaine GLASSON-DESCHAUMES, Directrice, Revue Transeuropéennes
Neve GORDON, Ben-Gurion University, Beer-Sheva
Barbara HAHN, Princeton University
Domenico JERVOLINO, Università Federico II, Napoli
Henri KORN, Académie des Sciences, Paris
Catherine LEVY, CNRS, Paris
Jean-Marc LEVY-LEBLOND, Université de Nice, Sophia-Antipolis
Michael LÖWY, CNRS, Paris
Camille MANSOUR, Université Bir-Zeit et Université de Paris I
Panthéon-Sorbonne Joëlle MARELLI, traductrice, Paris
Fatma OUSSEDIK, Université d'Alger
Bruce ROBBINS, Columbia University, New-York
Peter SCHÖTTLER, Centre Marc Bloch, Berlin
Marianne SCHULLER, Universität Hamburg
Immanuel WALLERSTEIN, Yale University
Sergio YAHNI, The Alternative Information Center, Jerusalem
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