Palestina

C’è un colono in ogni israeliano

26 luglio 2005
Amira Hass (Inviata del Medio Oriente e Africa)

La stagione di caccia è iniziata ed i coloni sono la preda. Sono diventati bersaglio della critica dei mezzi di comunicazione con una virulenza difficile da ricordare. Vengono criticati per il fatto di mandare i loro figli a bloccare le strade, per attaccare e maledire i soldati, per far sparire le strisce bianche e azzurre delle automobili ( e, a volte, anche le antenne), per occupare una casa palestinese a Muasi e per lanciare pietre ai ragazzini palestinesi.

Il ragazzo più forte del quartiere che pensa di poter fare tutto ha improvvisamente perso il suo coraggio mentre i suoi vicini stanno perdendo la pazienza; ma il ragazzo si è rovinato perché l’intero quartiere l’ha fatto rovinare e lui è convinto di poter fare tutto perché negli anni i suoi vicini con le loro azioni gli hanno dimostrato che era così.

Tutto è iniziato con la tolleranza di tutti i governi israeliani e dell’ establishment giudiziario riguardo la condotta dei coloni nei confronti dei palestinesi ed il culmine è stato raggiunto con la tolleranza di Yitzhak Rabin nel 1994 quando, invece di evacuare i coloni fondamentalisti di Hebron, alla luce del rifiuto generale dopo la strage compiuta da Baruch Goldstein , impose il coprifuoco nella parte palestinese di Hebron. Tutto questo ha dato il via ai delittuosi atti di persecuzione ed espulsione molto tempo prima del linciaggio avvenuto a Muasi.

Sono stati i governi di Israele fin dal 1967 a progettare la politica di colonizzazione dei territori conquistati, annettendo circa 70 chilometri quadrati di Cisgiordania a Gerusalemme con degli insediamenti che in seguito si sarebbero dovuti trasformare in città.

I coloni messianici hanno obbligato i governi del Mapai e del Laborismo affinché accettassero il luogo che loro avevano scelto per le colonie ed i governi sembravano essere contenti di quest’obbligo. La differenza è che i coloni messianici addussero anche la autorità divina per soddisfare la fame collettiva degli israeliani per le terre invece di portare avanti le questioni riguardanti la sicurezza. I coloni sono il prodotto di una politica israeliana che ha sfruttato il crescente appoggio dell’opinione pubblica israeliana soprattutto dopo che Menachen Begin e Ariel Sharon nel 1977 hanno trasformato gli insediamenti in vere e propri! e imprese di massa.

Anche sotto Rabin e Ehud Barak, durante il periodo di Oslo, la colonizzazione continuava ad essere massiva.

Il generoso compenso che verrà elargito agli 8.000 coloni della Striscia di Gaza non ha fatto scoppiare alcuna protesta sociale di massa in Israele. Dopotutto migliaia di israeliani sanno che gli ebrei hanno depredato gli ebrei ( e non solo i palestinesi) per molto tempo: le famiglie che non trovano il modo di pagare le ipoteche vengono costrette dagli “ebrei buoni”, gli ufficiali del governo, ad abbandonare le loro case.

Decine di migliaia di israeliani sanno che anche i governi israeliani che si sono succeduti hanno inviato i loro genitori nei primi insediamenti nelle zone più periferiche ed ora sono loro a soffrire la discriminazione, l’abbandono ed la disoccupazione cronica. Questo però non è sufficiente per far nascere un dibattito pubblico o un’azione da parte del governo che affronti la scottante questione del perché i coloni hanno più diritti- non solo dei palestinesi ma anche degli altri ebrei che rimangono all’interno della cosiddetta Linea Verde.

La serietà di questo problema è passata in secondo piano perché lo sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania rappresenta una garanzia del progresso socio-economico per molti israeliani. Circa 400.000 israeliani infatti vivono negli insediamenti della Cisgiordania ed le centinaia di migliaia di parenti e amici che vanno a far loro visita regolarmente considerano gli insediamenti una realtà naturale e formativa. Loro sanno anche di avere la possibilità di ottenere case a Gilo, Ma’aleh Adumim o Alon Shvut da dove non è possibile accedere in Israele. Questo per loro è un modo per far fronte al graduale deterioramento dello stato di benessere. Anche coloro che non si trasferiscono negli insediamenti traggono beneficio dalla loro esistenza, infatti assicurano il controllo continuo di Israele sulla Cisgiordania e le sue risorse idriche garantendo così un’ingiusta ripartizione di quest’ultime in una proporzione di 7 a 1 a danno dei palestinesi. Quindi noi ebrei possiamo permetterci di essere spreconi come se vivessimo in un paese ricco di acqua. Inoltre anche le strade più importanti vengono costruite sui territori rubati ai palestinesi – come la moderna circonvallazione di Gerusalemme o la 443 dotata di un ingresso addizionale a Gerusalemme riservato agli israeliani. Queste strade non servono solo ai coloni ma anche alla maggior parte della classe media che privilegia la convenienza, l’efficacia ed il guadagno di tempo. Tutti traggono beneficio dal boom delle costruzioni: dagli appaltatori, alle Compagnie di costruzioni e di architetti, dagli impiegati della Corporazione Elettrica Israeliana, al Dipartimento delle Opere Pubbliche e al Ministero dell’ Istruzione, fino ai proprietari di giornali che pubblicano grandi articoli sui nuovi quartieri a cinque minuti da Gerusalemme. E tutto ciò senza menzionare il fatto che gli insediamenti devono essere in grado di garantire condizioni di sicurezza permanente ai loro residenti e fornitori e di conseguenza generano la crescita dell’industria della sicurezza.

Nel cuore di ogni israeliano vive un piccolo colono. Quindi, l’analisi di oggi deve essere incentrata su un’asse vero e reale, cioè sulla consapevolezza che la politica di colonizzazione è illegale e immorale.

Questa politica offre benefici ad una parte sempre più larga di israeliani che però non si interessano a ciò che si sta facendo per il futuro della regione.

Note: l’autrice è la giornalista del quotidiano israeliano “Haaretz”. La traduzione dall’inglese è di Sam More per “elcorresponsal.com”

tradotto in italiano da Ilaria Galli per www.peacelink.it
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