Palestina

Gaza: Il campo di prigionia più grande del mondo


Sembra che Israele voglia chiudere a chiave Gaza e buttar via la chiave
20 agosto 2005
Paul McCann (è stato il portavoce per l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi a Gaza dal 2001 al 2005.)
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: The Independent


C’è un villaggio beduino (delle baracche fatte da blocchetti di calcestruzzo costruite sulle dune di sabbia) a nord della striscia di Gaza che è stato sotto il controllo delle torri di guardia dell’insediamento ebraico di Nisanit. Quasi tutte le notti durante l’intifada, i soldati che stavano su queste torri di guardia sparavano nei vicoli del villaggio asserragliando tutti all’interno delle loro case. Talvolta i bambini, in preda alla confusione e al panico per via degli spari, sono stati visti correre fuori dalle loro baracche in direzione degli spari.

Sono stati sparati, a caso, molti colpi dalle torri di guardia circostanti gli insediamenti a Gaza. Queste persone hanno ucciso centinaia di palestinesi, sia militanti sia innocenti, e sono odiati dalla popolazione locale. Il ritiro loro e degli stessi insediamenti questa settimana, sarà giustamente un momento da celebrare, ma solo perché il segno più visibile ed oppressivo dell’occupazione israeliana sarà portato via, nessuno si illuda che Gaza cesserà di essere il campo di prigionia più grande del mondo.

La scorsa settimana, il consiglio dei ministri israeliano ha deciso che manterrà le truppe ai confini tra Gaza e l’Egitto lungo il cosiddetto corridoio di Philadelphia. Fu da una torre di controllo in questo confine che l’attivista pacifista Tom Hurndall fu colpito nel 2003. Lo stesso consiglio dei ministri ha deciso che Israele deve continuare a controllare chi entra e chi esce da Gaza passando per l’Egitto e ha proposto una nuova delimitazione tra l’incrocio tra Israele, Gaza ed Egitto a Kerem Shalom. Questo stesso operoso consiglio di ministri ha deciso anche che avrebbe permesso a Gaza di avere tre miglia di territorio di litorale, dopo che Israele avrebbe controllato il mare. E’ stato già deciso che Israele continuerà a controllare lo spazio aereo su Gaza.

Quest’anno, il comitato internazionale della Croce Rossa, il difensore del diritto umanitario internazionale, ha inviato al governo israeliano un documento confidenziale nel quale chiariva che il ritiro delle truppe israeliane e dei coloni da Gaza non poneva fine all’occupazione. Il documento affermava che: “Israele manterrà un controllo significativo sulla striscia di Gaza alla quale impedirà di esercitare la piena autorità. Così sembrerà che, a questo punto, la striscia di Gaza rimarrà occupata per finalità concernenti il diritto umanitario internazionale”.

Questo è un passo indietro rispetto al tanto stimato Programma di Harvard sulla politica umanitaria e l’indagine sul conflitto. In una direttiva legale preparata per i sostenitori, il direttore del programma ha scritto: “Il riassetto parziale della presenza militare israeliana nei territori e dintorni non è, in diritto internazionale, il fattore decisivo che determina la fine dell’occupazione… La fine dell’occupazione sta essenzialmente nel porre termine al controllo militare della potenza occupante sugli affari di governo della popolazione occupata, la quale è limitata nel proprio diritto all’autodeterminazione.”

Il perché questo argomento è stato messo in chiaro nella risoluzione di disimpegno passata dal governo la scorsa estate sta qui riportato: “Il compimento del piano di [disimpegno] servirà a porre fine alle proteste che riguardano il controllo israeliano sui palestinesi nella striscia di Gaza.” Ma essendo ancora la potenza occupante, Israele ha il potere legale di gestire il welfare della popolazione di Gaza. Se l’occupazione sembra essere finita allora si può smettere di preoccuparsi di 1,3 milioni di persone.

Attualmente Israele parla di migliorare le condizioni del noto incrocio di Erez, da Gaza ad Israele, dove migliaia di lavoratori sottopagati palestinesi vengono continuamente umiliati e ammassati all’interno di un recinto per ore prima che possano recarsi a lavorare in Israele. Ma a lungo andare sembra che Israele voglia chiudere a chiave Gaza e buttar via la chiave. Shaul Mofaz, il ministro della difesa, e Ehud Olmert, il vice primo ministro, hanno ambedue dichiarato pubblicamente che, dal 2008, a nessun lavoratore palestinese sarà permesso di entrare in Israele.

Al summit del G8, la comunità internazionale ha promesso di investire £1.72 miliardi per Gaza, ma, senza l’accesso al mondo esterno, questi fondi faranno ben poco per migliorare la vita o per creare lavori permanenti. Se Gaza sentirà i benefici del disimpegno, il pescatore avrà bisogno di pescare, il commerciante di viaggiare e di importare e soprattutto, dopo 38 anni di integrazione coatta con l’economia israeliana, avrà ancora bisogno di lavorare nei cantieri edili di Tel Aviv e Ashkelon.

Altrimenti sarà come se le torri di guardia di Gaza si fossero spostate solo di poche centinaia di metri e di certo potrà presto essere aperto il fuoco, ancora una volta, sui palestinesi, sia militanti sia innocenti.

pmcc@ fastmail.fm


Note:
traduzione di Federica Mei per www.peacelink.it

http://comment.independent.co.uk/commentators/article306129.ece
Pubblicato il 16 agosto 2005
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