Caro Ostellino ti racconto l'occupazione israeliana
Il signor Piero Ostellino, che non mi è dato di conoscere, è una firma storica del Corriere della Sera. Ammetto di non leggerlo molto, ma ahimè, ieri mi è capitato di farlo mentre ero in attesa di essere martoriata dal dentista. La burbera, ma naturalmente incantevole dentista olandese, ha dovuto faticare molto per tenermi tranquilla. Sì, perché l'articolo di Ostellino, in bella mostra in prima pagina del Corriere, mi aveva, come si usa dire, "fatto venire il sangue alla testa".
Il giornalista tratta di una tragedia umana, sociale e politica, in cui quasi nessuno è privo di responsabilità, con superficialità e argomenti inesistenti. Accusa la sinistra internazionale (quale?), di non avere nulla da dire di fronte al sequestro del giornalista Cremonesi da parte di una banda di Gaza, perché i rapitori non hanno compiuto il sequestro per accusare il governo israeliano bensì per accusare il governo della Palestina, "da Arafat ad Abu Mazen", e la dirigenza palestinese che dopo 58 anni dalla spartizione della Palestina, e della risoluzione dell'Onu, non ha saputo risolvere la condizione di precarietà e instabilità economica, politica e sociale, e perdipiù è corrotta e manca di democrazia. La sinistra internazionale sa solo accusare Israele.
Intanto, caro Ostellino, la sinistra, o perlomeno io, che penso di essere di sinistra, dico forte e chiaro che non si sequestrano le persone, non si fanno esecuzioni sommarie, non si uccidono né cavalli né civili. Non posso però, come fa lei, addossare tutta la responsabilità ad Arafat ed Abu Mazen (il presidente palestinese che in realtà si chiama Mahmud Abbas), perché i 38 anni di occupazione militare israeliana, non meno brutale, forse più perversa, dei periodi coloniali, hanno formato, incarcerato e ucciso generazioni di palestinesi. Lo dicono molti palestinesi, lo dice Eyad Sarray, un noto psicologo di Gaza: "tra i combattenti ma anche nella società più in generale (non si parla dei cosiddetti kamikaze) si è formata una mentalità militaresca e autoritaria". Certo e ci sarà molto da fare per cambiare una cultura speculare a quella dell'esercito di occupazione, ma in molti ci stanno provando.
Del resto anche in Israele, movimenti come quelli di "New Profile" sostengono che "la mente degi israeliani è militarizzata".
La realtà palestinese - ma dubito, caro Ostellino, che lei la conosca da vicino, nel senso di esserci andato, aver parlato con gli uni e con gli altri - è complessa, come spesso lo è la struttura di tutte le società.
I palestinesi non sono solo nei campi profughi. La loro società era ed è una società viva, ricca culturalmente e che malgrado il tentativo di distruzione sistematica della loro identità, questa identità ha saputo difendere e far crescere. E' cresciuta a Gaza, dove comandavano gli egiziani, e in Gisgiordania e a Gerusalemme Est dove dominavano i giordani ed è diventata consapevolezza di liberazione con l'occupazione straniera israeliana del 1967. E' vero, in molti è diventata nazionalismo, ma nella grande maggioranza è l'orgoglio di essere palestinesi, radicati in quella terra dalla quale non se ne vogliono andare.
Scuole e Università sono state finanziate e aperte dai palestinesi durante i bui anni di occupazione. Le università, ricordo per tutte quella di Birzeit, la più laica e secolare, fu chiusa, insieme a tante scuole, ai tempi della prima Intifada dall'esercito israeliano.
Ricordo la mia amica Isslah Jad che venne minacciata dai soldati israeliani perché insegnava ai suoi figli, che non potevano andare a scuola, e ricordo quanti professori furono arrestati perché non potendo recarsi all'università continuavano ad insegnare nelle case, di nascosto, un po' come facevano le donne afgane del Rawa durante il periodo dei Talibani. Vada a leggersi, caro Ostellino, le migliaia di decreti militari israeliani che vietavano ai palestinesi di scavare pozzi d'acqua sul loro territorio coltivato, che decidevano la quantità di pomodori o melanzane da coltivare, che sradicavano alberi di olivo, confiscavano terre, costruivano insediamenti. E non parlo dei morti, o delle migliaia di palestinesi rimasti inabili nella prima Intifada, per le botte o le ferite di arma da fuoco: forse si scorda che in quel tempo i palestinesi non usavano armi. Sto parlando al passato: invece la confisca della terra, malgrado l'evacuazione da Gaza, continua a farsi nella Cisgiordania e si continua a costruire un muro che separa palestinesi da palestinesi ed annette nuova terra allo Stato israeliano.
Uno Stato che i palestinesi riconoscono nei confini della legalità internazionale, e cioè nei confini del '67: è su questa base che chiedono il loro Stato, infatti non lo reclamano partendo dalla spartizione decisa dall'Onu del '47 (il 54 per cento agli ebrei il 44 per cento agli arabi). Chiedono molto meno, chiedono semplicemente la restituzione dei territori occupati da Israele nel 1967 (il 22 per cento perché il resto è stato conquistato da Israele nella guerra del '48). Non è stato solo l'accordo di Oslo del 1992 a sancire questa soluzione, ma ben prima, il Consiglio Nazionale Palestinese del 15 ottobre 1988. E la popolazione palestinese, quando nel 1996 ha votato per il Presidente Arafat nella sua grandissima maggioranza, ha approvato quella scelta: due popoli due Stati. Anche il voto per Mahmud Abbas ha ribadito questo, e non c'è dubbio che è stato un voto democratico e partecipato.
Tutto bene dunque, nessuna responsabilità nella dirigenza palestinese?
Molta: nel passato, nel presente e probabilmente anche nel futuro. La discussione politica in Palestina è accesa e vitale, forze democratiche e di opposizione criticano la corruzione, è dal parlamento palestinese che è partita la prima inchiesta sulla corruzione, è da forze palestinesi che viene la critica e il rifiuto delle azioni militari o terroriste contro i civili in Israele.
Il sequestro di Cremonesi è tragico, rivela le lotte per il potere nei servizi di sicurezza o nella bande che si sono formate, forse è la lotta per la sopravvivenza per un posto di lavoro. Coinvolge maggiormente Fatah e certamente ne rivela una gestione clientelare. Quello che succede è gravissimo. Il nostro dovere è aiutare a creare le condizioni perché i palestinesi possano avere un loro Stato e l'evacuazione da Gaza rappresenti un primo passo. Quello di chiudere ai palestinesi per sei mesi il passaggio di Rafah per andare in Egitto non è prova di libertà per i palestinesi ma ancora una volta dell'occupazione israeliana che ha ritirato l'esercito ma tiene nelle sue mani i confini, mantenendo un milione e mezzo di palestinesi alla propria mercé.
Il quartetto, vedremo cosa succederà nella riunione del 20 settembre a New York, dovrebbe far riprendere le trattative, Sharon non può continuare a decidere da dove ritirarsi e quanta corda deve lasciare. Intanto i coloni crescono nella Cisgiordania: ne sono stati ritirati circa 8mila da Gaza, e dal giugno del 2004 ad oggi sono cresciuti di 12.800 nella Cisgiordania arrivando al numero di 246mila più i 200mila di East Gerusalemme (cifre del portavoce del Ministero degli Interni israeliano).
Caro Ostellino, è ovvio che responsabilizzo maggiormente i governi israeliani della loro politica coloniale, è la verità, sono i fatti. A proposito dei fondi Europei che lei sostiene sono stati usati per la dirigenza corrotta palestinese, può verificare: per ben quattro anni vi è stata una lobby al parlamento Europeo e alla Commissione Europea, in modo specifico con il commissario Patten, che chiedeva di bloccare gli aiuti all'autorità palestinese. Sono state fatte tutte le indagini. I fondi Europei sono stati utilizzati per i progetti ai quali erano stati destinati. Peccato che nella rioccupazione e invasione delle città palestinesi del 2002, l'esercito israeliano abbia distrutto questi progetti per un valore di 330 milioni di euro.
La sinistra internazionale, a differenza di lei, caro Ostellino, dovrebbe dare forza e valore alla legalità internazionale: quante risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite non sono state rispettate dai governi israeliani? La sinistra Internazionale dovrebbe unirsi per finalmente portare un po' di giustizia in Palestina e Israele.
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