Palestina

Tecnologia dell’umiliazione


Questo articolo e’ stato pubblicato sul quotidiano palestinese Al_Quds il 3 gennaio di questo anno, la traduzione e’ stata eseguita dall’arabo all’italiano da parte di Mohammed Ghazawnah del Land research Center.
29 gennaio 2006
Mohammed Ghazawnah (Membro di Land research Center)
Fonte: http://www.lrcj.org
- 03 gennaio 2006


Qalandia, Kontainer, Za’tara, Tarqumia, Erez… sono soltanto alcune località nei Territori Occupati Palestinesi; questi villaggi fanno parte della Palestina, la nostra Patria, che amiamo e che conosciamo profondamente. Adesso questi luoghi sono stati trasformati in check point e rappresentano l’amarezza, la sofferenza, l’oppressione e l’umiliazione che l’occupazione militare israeliana esercita quotidianamente nei confronti dei cittadini palestinesi.
In questo articolo vorrei riuscire a comunicare ciò che è la difficile quotidianità della popolazione palestinese costretta a sopravvivere in un territorio sezionato e interrotto da check point militari.
Qalandia è uno dei più grandi chek point del nord della Cisgiordania.
Si trova tra Ramallah e Gerusalemme, ed il suo nome deriva dal vicino campo profughi palestinese. Il check point controlla e regola il flusso di persone che si muovono da e per Ramallah, ed è un luogo dove si sente l’odore delle armi e dellapaura.
Fino a qualche mese fa l’area era caratterizzata da una collina, che i palestinese aggiravano per evitare il check point e per accedere alla strada dall’altra parte, quando l’accesso ufficiale veniva chiuso o quando per motivi politici si impediva ad alcune persone di accedere a Gerusalemme o rientrare a Ramallah. Ora tale collina non esiste più ed al suo posto si vedono i prefabbricati di una grande struttura militare, delimitata da numerosi cancelli, quasi tutti chiusi, metal detector, muri e reti. Chi si trova a dover passare il check point, con l’esigenza di recarsi da Ramallah a Gerusalemme, è costretto ad attendere un tempo indefinito dietro cancelli e grate, circondato da militari israeliani armati fino ai denti, schiacciato da una calca inverosimile, senza sapere se e quando riuscirà ad arrivare dall’altra parte, provando la sensazione di essere un animale in gabbia.
Il numero dei palestinesi che si accumulano al check point aumenta di ora in ora; gli occhi delle persone sono puntati sullo stretto cancello girevole che lascia passare, a fatica, solo una persona per volta; sopra tale cancello si accendono e si spengono luci rosse e verdi, come un semaforo, che indicano la possibilità di passare o meno.
L’intera area è presidiata da telecamere, spesso collocate in zone nascoste e non visibili; i soldati israeliani, urlano in ebraico o in un arabo poco comprensibile, ordinando misteriosi spostamenti della folla da un cancello all’altro, chiedendo di fermarsi, di procedere, di tornare indietro di ripetere i controlli… ed i palestinesi in attesa ubbidiscono tristemente, sapendo che qualsiasi tipo di opposizione comporterebbe il respingimento, l’allungamento dei tempi di passaggio, la chiusura del check point...
L’atmosfera che si crea tra chi attende di passare degenera in una sorta di anarchia, dove prevale la legge del più forte: chi è più
fisicamente prestante scavalca i più deboli, e passa per primo. Tale situazione non nasce però dalla mancanza di attenzione o di solidarietà tra palestinesi, ma è provocata e indotta da chi ha strutturato e organizzato tali luoghi. In questi posti si perde ogni senso civico, pressati dai più elementari bisogni alla sopravvivenza, legati alla necessità di arrivare in orario al posto di lavoro, visitare un parente all’ospedale, andare a scuola, all’università, in moschea o in chiesa…
L’umiliazione è poi spesso condita dal comportamento dei soldati israeliani. Giovani uomini e donne, spesso appena maggiorenni, bardati di mitragliatrice, giubbotto antiproiettili, caschi e manganelli, rinchiusi in bunker a prova di bomba, controllano i monitor e urlano dagli altoparlanti. Alcuni di loro non risparmiano battute ciniche e sarcastiche, legate ad episodi di sofferenza, quali un anziano che cade sospinto dalla folla o una persona in difficoltà, ridendo e schernendo le persone in attesa. A volte si rimane incastrati nelle porte girevoli elettroniche, controllate a distanza dai soldati, sentendosi stritolare gli arti dalle braccia metalliche, ed avendo la sensazione di essere come un oliva in un frantoio.
Passate le porte girevoli il viaggio non è ancora terminato. A questo punto gli altoparlanti ordinano di passare sotto i metal detector, di svuotare borse e zaini, a volte di togliersi i vestiti. Successivamente si consegna il documento di identità ad un soldato protetto da un enorme vetro antiproiettile, si parla attraverso altoparlanti, ed il soldato decide se la persona è autorizzata a passare oppure no. Chi passa ringrazia Dio, e continua per la sua strada.
Bisogna sottolineare però che l’esercito israeliano ha pensato anche all’accoglienza della popolazione palestinese: all’entrata del check point, dai due lati si nota un’enorme targa metallica con la scritte ”Benvenuto a Qalandia check point” e sopra quella targa si trova un orologio digitale che permette di sapere da quanto tempo si è in attesa. La tecnologia usata, sia nelle fasi di accoglienza che di controllo è davvero elevata, ed a seguito di quest’esperienza sarebbe interessante proporre all’Università l’apertura di un nuovo corso per i giovani studenti intitolato "Convivere con la tecnologia”.

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