Palestina

Le donne di Palestina davanti ad Hamas

21 maggio 2006
Giuliana Sgrena
Fonte: Il Manifesto

Ragazze con jeans attillatissimi e camicette leggere passeggiano
sottobraccio con amiche velate e avvolte in lunghi soprabiti sotto il caldo
sole primaverile di Ramallah. Le contraddizioni non mancano ma sembrano
convivere senza troppi contrasti. La citta', che fa funzioni di capitale
finche' Gerusalemme est restera' sotto il tallone di Israele, e' considerata
la piu' liberale della Palestina. E per questo, secondo i nuovi governanti
di Hamas, deve essere reislamizzata. Non sara' facile cancellarne la
vivacita' culturale e la laicita', per imporvi i costumi gia' in vigore a
Gaza, o in citta' conservatrici come Hebron.
Hamas e' al governo da poco piu' di un mese e per ora le imposizioni piu'
traumatiche vengono dall'esterno: la decisione della comunita'
internazionale di boicottare il goveno islamista. Che ha evidenti e
drammatiche ripercussioni su tutta la popolazione, gia' debilitata dalla
feroce occupazione e dalla frustrazione per il mancato avanzamento del
processo di pace. Forse il boicottaggio sara' in parte aggirato attraverso
la consegna degli aiuti al presidente Abu Mazen invece che al governo
islamista, ma questa ipocrisia rafforza la frustrazione dei palestinesi, che
si sentono privati di qualsiasi spazio di sovranita'.
"Le elezioni sono state democratiche, trasparenti e quindi occorre
rispettarle", sostiene Zahira Kamal, gia' ministra degli affari delle donne
che con la vittoria di Hamas ha perso il suo incarico. Continua pero' a
lavorare nello stesso palazzo: dal sesto piano e' scesa al primo, dove ha
sede un centro di ricerca dell'Unesco che adesso dirige. E per Zahira Kamal,
che ha lavorato e continua a lavorare per affermare i diritti delle donne,
non dev'essere facile accettare un governo islamista che rischia di
distruggere molto di cio' che le donne palestinesi stavano costruendo.
Il boicottaggio internazionale raggiunge l'effetto opposto: rafforza gli
islamisti di Hamas. "E' gia' successo durante la campagna elettorale: quando
gli Stati Uniti hanno cominciato a dire di non votare Hamas, il sentimento
antiamericano ha trovato un ulteriore modo per esprimersi", dice Mohammed,
uno studente di Bir Zeit.

Un fenomeno interno palestinese
"Il sentimento antiamericano si e' rafforzato tra la gente negli ultimi
due-tre anni, dopo la guerra in Iraq", sostiene Jamil Hilal, un sociologo
che vive a Ramallah dal 1995 e che fa parte dell'Istituzione palestinese per
lo studio della democrazia. Jalil tuttavia considera Hamas piu' che altro un
fenomeno interno palestinese alimentato dalla frustrazione per la mancanza
di soluzioni dopo Oslo e dal fatto che Fatah non e' stata in grado di
garantire un progresso, anche economico: "due palestinesi su tre vivono al
di sotto del livello di poverta' con meno di due dollari al giorno" (e il
costo della vita e' alto in Palestina, ndr), sostiene il sociologo.
Se tutti i palestinesi che abbiamo incontrato, di diversi schieramenti
dell'opposizione, compresa Fatah, sostengono che bisogna mettere Hamas alla
prova del governo e vedere cosa e' in grado di fare, lo fanno anche perche'
pensano che la compagine governativa guidata da Ismail Haniya non durera'; e
che comunque, pur essendo un'emanazione dei Fratelli musulmani,
l'organizzazione islamista non abbia davvero intenzione di imporre uno stato
islamico.
I leader di Hamas, dal canto loro, presentano diverse facce del movimento
attraverso un doppio linguaggio: estremista per la piazza e moderato per le
istituzioni. Quando incontriamo il presidente del parlamento Aziz Dweik,
docente di geografia all'universita' di Nablus e membro di Hamas fin dalla
sua fondazione nel 1987, nella sede istituzionale si mostra molto moderato
ed estremamente ambiguo. Quando gli chiediamo come procederanno le riforme
promesse all'elettorato ("riforme e cambiamento" era lo slogan elettorale di
Hamas, che ha convinto molti palestinesi anche non islamisti) risponde: "Noi
siamo arrivati al potere con elezioni democratiche e non faremo un colpo di
stato, il nostro processo sara' graduale, attraverso le leggi accettate
dalla societa'". Ma lo sguardo sembra piu' rivolto al cielo che alla terra.
Il concetto di consenso cui si riferisce Dweik resta inafferrabile e
potrebbe essere ottenuto come durante la campagna elettorale: "se non dai il
voto a chi e' buono sarai punito da Dio" - dove naturalmente i buoni erano
loro, e con queste minacce sono riusciti a convincere i piu' deboli (tra cui
molte donne) mentre molti altri, cristiani compresi, hanno votato Hamas per
protesta contro la corruzione di Fatah e le concessioni fatte dall'Olp nel
processo di pace che non ha mai ottenuto risultati. Inoltre - sostiene la
scrittrice Suad Amiri - Hamas ha sempre dipinto i laici come dei "senza dio"
e nessuno della sinistra ha spiegato cosa voglia dire la separazione tra
potere e religione.
"Siamo l'unico paese arabo ad avere realizzato un sistema democratico",
dicono i palestinesi con orgoglio: e sono stati ricambiati con l'isolamento.
Se per gli analisti palestinesi il voto per Hamas e' ascrivibile piu' alla
protesta che al sostegno ideologico, per Fatin Farhat, giovane direttrice
del centro culturale Sakakin Center a Ramallah, la societa' palestinese e'
diventata piu' conservatrice a causa dell'assedio israeliano e perche', dopo
l'11 settembre, l'islam e' sotto attacco. "I palestinesi vengono
identificati solo con l'islam e si sentono oppressi; anch'io pur essendo
cristiana sento questa oppressione", dice Fatin.
Tuttavia, come donna laica, si sente offesa dal risultato elettorale.
Soprattutto perche' finora con il suo centro aveva organizzato molte
iniziative culturali a Ramallah per promuovere la cultura palestinese e ora
questa attivita' e' messa a rischio dal nuovo ministro della cultura.
Atallah Abu al Sibah, un fondamentalista senza background culturale secondo
Fatin, ha esordito minacciando censura contro un cinema troppo permissivo e
chiedendo la segregazione dei sessi. Molti dei progetti realizzati dal
centro Sakakin sono stati realizzati grazie ai finanziamenti internazionali
e c'e' da sperare che non vengano bloccati dal divieto imposto dagli Stati
Uniti alle banche di trasferire fondi in Palestina.

Sinistra penalizzata
Le elezioni non hanno penalizzato solo Fatah ma anche la sinistra -
presentatasi divisa in quattro liste - che pur denunciando la corruzione
dell'Anp non ha saputo presentarsi come una vera alternativa e ha ottenuto
complessivamente solo nove seggi in parlamento. "La sinistra si e'
allontanata dalla gente", sostiene Elham Hamad, responsabile della
formazione del Ministero degli affari delle donne. "Hamas ha fatto in questi
anni il lavoro che negli anni Settanta e Ottanta facevano i partiti della
sinistra, soprattutto il partito comunista, e che hanno abbandonato dopo la
costituzione dell'Anp. Convinti che il compito di fornire servizi alla
popolazione toccasse all'Anp, sono stati chiusi 700 asili costituiti dai
comitati delle donne; anche l'Olp ha trasferito tutti i finanziamenti sul
budget dell'Autorita' nazionale che ha coperto le spese delle strutture -
ospedali e scuole, ma non asili - che prima erano forniti da Israele e per
il resto i progetti si sono concentrati sui problemi della democrazia e di
genere, mentre i servizi sono venuti a mancare e a fornirli e' stata Hamas".
Elham ha votato la coalizione di sinistra Badil (di cui fanno parte il
Fronte democratico e il Partito comunista) e per ora e' rimasta al suo
posto. La nuova ministra di Hamas, Mariam Salih, ha detto che continueranno
i progetti in corso. Almeno finche' ci saranno i soldi (si stanno terminando
quelli del bilancio dello scorso anno) e finche' non confliggeranno con i
principi da lei acquisiti durante i suoi studi sempre dedicati alla sharia.
Certo il clima e' molto cambiato, dicono le diverse dirigenti che
incontriamo. Ma ci sono diverse succursali del ministero degli affari delle
donne, come quello di Betlemme, che non sono ancora state contattate. E la
prima decisione presa dalla ministra e' stata quella di imporre il saluto
islamico: il colloquiale "marhaba" dovra' essere sostituito da "al-salam
aleikum", anche nella corrispondenza.
Per il resto, nel primo incontro con le associazioni di donne, ha detto che
difendera' il principio dell'uguaglianza di uomini e donne di fronte alla
legge; peccato che la legge non sancisca affatto l'eguaglianza tra uomini e
donne (soprattutto per quanto riguarda il codice della famiglia, che
prevede: poligamia, tutela dei figli al padre in caso di divorzio, alle
donne la meta' dell'eredita' rispetto ai maschi, mentre la testimonianza di
una donna vale la meta' di quella di un uomo). Le varie associazioni di
donne avevano preparato un progetto di legge per cambiare questo codice,
peraltro sostenuto da Fatah e dallo stesso Arafat, ma ora con il nuovo
governo e' meglio ritardarne la discussione, sostiene Siham Barghouti,
presidente della Palestinian Federation of women action. Soprattutto dopo un
incontro con il nuovo presidente del parlamento Aziz Dweik per verificarne
le intenzioni. Lui tra sorrisi e battute, mentre offriva il te' con
galanteria, ha garantito che la sharia non si tocca. Quindi la paura di una
islamizzazione che hanno molte donne, anche se la costituzione ritiene la
sharia solo "una delle fonti" di legge, non e' assolutamente infondata. "E
le prime vittime saranno le donne, quindi per ora la nostra battaglia e' di
cercare di salvaguardare i risultati positivi ottenuti", secondo Siham
Barghouti.
Se tutti gli oppositori del governo sono d'accordo sul lasciar governare
Hamas, per evitare una nuova vittoria degli islamisti alle prossime elezioni
(che tutti si augurano anticipate) occorre studiare una strategia. Nella
sinistra molti temono che Fatah non si ponga il problema e cerchi di forzare
i tempi, soprattutto dopo gli scontri che si sono verificati a Gaza. E
comunque, "se Fatah torna a governare non cambiera' atteggiamento", prevede
Jamil Hilal. A Fatah si pone poi un problema di leadership e di democrazia
interna. Come sostiene Fadwa Barghouti, avvocata e moglie di Marwan
Barghouti, rinchiuso nelle carceri israeliane e condannato a diversi
ergastoli.
Fadwa aggiunge il problema della democrazia interna a quelli della
corruzione di Fatah, della incapacita' di garantire sicurezza e sviluppo ai
palestinesi. Il motivo? "Per diciassette anni Fatah non ha tenuto un
congresso, non c'e' stata nessuna elezione della leadership, la nuova
generazione tra i 40 e i 50 anni e' stata tenuta fuori dalle decisioni e chi
era attivo e' finito in galera". Ora cosa si puo' fare? chiediamo. "Fatah
deve fare una opposizione costruttiva e deve fare il possibile perche' si
arrivi al piu' presto a nuove elezioni: ma attraverso un processo
democratico. E soprattutto prima deve espellere tutti i corrotti e
organizzare il sesto congresso (che dovrebbe tenersi entro l'anno), come lo
stava preparando Marwan: con incontri a livello di base che eleggevano i
loro comitati".

La soluzione Barghouti<7b>
Molti ritengono che la soluzione dell'impasse palestinese possa essere
proprio Marwan Barghouti. Si parla di una pressione degli Usa perche' venga
liberato e della possibilita' di uno scambio tra Marwan e Pollard, la spia
israeliana detenuta negli Stati Uniti. Marwan accetterebbe questa
possibilita'? "Sicuramente Fatah ha bisogno di Marwan per andare a nuove
elezioni, lui e' un leader riconosciuto. E potrebbe essere liberato con un
accordo perche' e' stato condannato per fatti che non ha commesso
direttamente ma di cui e' stato ritenuto responsabile in quanto segretario
generale di Fatah. Ma queste voci che vengono fatte circolare, su una
possibile liberazione di Marwan grazie a uno scambio, servono solo a gettare
cattiva luce su di lui, a farlo apparire come utilizzato dagli Usa in
opposizione ad Hamas. Quindi, perche' possa essere accettabile, la
liberazione di Marwan deve essere determinata dalla situazione politica
della regione, che per ora mi sembra difficile", conclude Fadwa.
In un albergo di Betlemme militanti di Fatah stanno contando le schede degli
iscritti. In attesa del sesto Congresso comunque si cerca di tenere le
posizioni nei vari ministeri, approfittando dell'incompetenza degli uomini
di Hamas.
Mentre in Palestina un confronto tra la prima e la seconda intifada porta
molti sulla strada della nonviolenza - ci sono a Betlemme corsi di
formazione a questa cultura, ai quali partecipano giovani di tutte le
religioni - e la condanna degli attacchi suicidi e' diffusa, per molti le
posizioni di Hamas rispetto a Israele sono un falso problema. Intanto
perche' secondo loro il realismo degli islamisti li portera' ad accettare
compromessi e anche perche', dicono in molti, se hanno partecipato alle
elezioni e governano, vuol dire che di fatto hanno accettato gli accordi
firmati dall'Olp.
L'Anp e' una emanazione dell'Olp e mi mostrano come sull'edificio che ospita
il ministero delle donne al primo posto compare l'Organizzazione per la
liberazione della Palestina, al secondo l'Autorita' nazionale e poi il
ministero. Peccato che nel frattempo l'Olp sia stata di fatto congelata,
sostiene Ahmed, militante comunista; e poi Hamas non ne fa parte. E quando
sottolineiamo questo problema istituzionale con il presidente del Parlamento
Aziz Dweik, lui non ha dubbi: "Adesso vogliono resuscitare l'Olp, che e'
stata sepolta dieci anni fa. No, l'Olp ha fatto molti errori; forse e' stata
un errore fin dall'inizio".

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