L'obiettivo di Tel Aviv è il caos in Palestina
Come per magia, il dramma del giovane soldato rapito a Gaza è rimasto al centro dell'attenzione malgrado il dramma che da giorni vive tutta la popolazione - 1,300,000 esseri umani - di questo luogo sfortunato. Una situazione destinata a durare a lungo, perché non è stata semplicemente interrotta l'erogazione della luce e dell'acqua, ma sono state distrutte sia la centrale elettrica sia la rete idrica. Piove sul bagnato come si dice, perché per quanto riguarda i generi di prima necessita c'era già una situazione drammatica che aveva indotto il segretario generale delle Nazioni unite Annan a parlare di catastrofe umanitaria. Chiuso ermeticamente e frastagliato dalla presenza dei carri armati, strade e ponti distrutti, il ghetto di Gaza è costretto alla fame, alla sete, alla paura e al buio. Stiamo scivolando indietro nella storia, per tornare ai tempi in cui i popoli venivano costretti alla resa per fame e malattie. Il linguaggio giuridico odierno parla di «punizioni collettive e crimini contro l'umanità».
Il presidente Abu Mazen e il governo di Hamas hanno preso le distanze da questo sequestro, chiesto la liberazione del soldato e hanno ordinato alle forze dell'ordine di liberarlo rastrellando la Striscia. Israele ha risposto con il sequestro di un intero popolo, l'arresto di membri del governo e del parlamento. In questo modo è stato vanificato uno sforzo lacerante che ha portato Hamas e Al-Fatah a raggiungere un'intesa su un documento politico che rimuove gli ostacoli alla ripresa del processo di soluzione politica, come richiesto dalla Comunità internazionale. In poche parole Tel Aviv ha messo in ridicolo le istituzioni palestinesi che faticosamente cercavano di ricuperare credibiltà dopo la morte di Arafat.
Israele punta a eliminare l'interlocutore palestinese per proseguire nelle sue scelte unilaterali e in questo gode di un sostegno acritico da parte dell'Amministrazione americana e della complicità di molti mezzi di informazioni, anche in Italia, che in queste ore stanno mettendo al centro della situazione l'incolumità del soldato israeliano, mentre un intero popolo vive nell'assoluta insicurezza da 60 anni a causa delle politiche Israeliane: un popolo intero sequestrato e più di 10,000 prigionieri senza alcun capo d'imputazione né processi regolari.
Israele non può sopravvivere alla fine della guerra, e per questo punta sul caos generalizzato; è dentro questo caos che cerca di trascinare tutto l'Occidente in una guerra di religione. Dopo aver indebolito l'Olp ed affossato l'accordo di Oslo e il processo di pace, oggi punta ad affossare definitivamente la road map a favore delle scelte unilaterali, ed indebolire l'Hamas dei Territori occupati - che dimostra sempre maggiore interesse per una soluzione politica sulla base delle risoluzioni delle Nazioni unite - a favore di un'Hamas della diaspora che, insieme a un movimento islamico più vasto, è promotrice di una trasformazione geopolitica di tutto il Medio Oriente in chiave anti-americana e anti-israeliana.
Due tendenze che si alimentano reciprocamente e allontanano sempre di più la percorribilità di una via politica per disinnescare una situazione esplosiva in tutta la regione. È per questo sempre più urgente una mobilitazione che obblighi la politica formale e i governi ad intervenire, a sostenere l'attuale politica delineata dal governo italiano, la quale intende sollecitare un atteggiamento europeo più incisivo che non si limiti soltanto a timide dichiarazioni formali mentre il popolo palestinese subisce un processo di distruzione sistematico da parte delle autorità d'occupazione israeliane.
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