Palestina

Truppe multinazionali anche in Cisgiordania

Ali Rashid, parlamentare Prc
26 luglio 2006
Ali Rashid
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

La conferenza internazionale di Roma si apre tra incognite e certezze. E’ un evento sicuramente importante, che restituisce all’Italia un ruolo di prestigio dopo cinque anni di alternanza tra una completa assenza e una presenza priva di qualsiasi autorevolezza. Non possiamo però fare a meno di chiederci se, rispetto a eventi simili che l’hanno preceduta, potrà indurre qualche miglioramento sul piano qualitativo o addirittura rappresentare una soluzione di continuità, una svolta. Sulla carta, la conferenza si presenta nello stile consueto, vede seduti attorno a un tavolo solo i rappresentanti dei governi che contano a proporre obiettivi che rispecchiano fedelmente le condizioni dettate da Israele per cessare il fuoco: la liberazione dei due soldati israeliani e il disarmo di Hezbollah. Nella migliore delle ipotesi, si arriverebbe al cessate il fuoco senza però scalfire minimamente lo scenario che ha generato la guerra. Anzi, l’invio di una forza militare multinazionale dotata di mezzi e capacità di coercizione per disarmare Hezbollah e allontanarlo dal sud del Libano coincide esattamente con il piano strategico elaborato da Israele con la preventiva approvazione dell’amministrazione americana. Approvazione nemmeno troppo tacita, visto che il segretario di stato americano ha definito la sanguinosa offensiva israeliana come il travaglio che precede la nascita del nuovo Medio Oriente. Se estrapolata da quel piano, l’aggressione militare israeliana non può che essere confusa con una «reazione sproporzionata» a un atto limitato di guerriglia da chi, almeno, ne mette in discussione la legittimità.
Il particolare che sfugge, per disinformazione reale o pretestuosa, è la premeditazione. La debolezza politica del governo israeliano ha dato il via libera all’esercito, in accordo con i settori più intransigenti e conservatori dell’amministrazione americana, per un’azione militare che da tempo aspettava un pretesto. Gli Stati Uniti vedono in questa azione l’occasione per rivitalizzare la guerra permanente, che sembrava arrivata al capolinea in un Iraq ormai incontrollabile e senza prospettive, e il progetto mai accantonato di un nuovo Medio Oriente, in cui Israele diventerebbe uno strumento indispensabile per il dominio della regione.

Recentemente, alcuni ministri laburisti e del Meretz, che forse hanno intuito l’esistenza di un’intesa tra i falchi dell’establishment militare e l’amministrazione americana, hanno reagito negativamente alle dimensioni spropositate dell’offensiva contro il Libano, decisa dai vertici dell’esercito senza il coinvolgimento del consiglio dei ministri, criticando in particolare l’attacco via terra e l’aperto boicottaggio della via politica per una soluzione del conflitto. Qualcuno ha addirittura affermato che i militari hanno nascosto i veri piani, proprio come Begin disse nell’82 di Sharon a proposito dell’occupazione del Libano.

L’atteggiamento degli Stati Uniti sembra avallare completamente queste affermazioni. Come di consueto, l’amministrazione americana ha vanificato sul nascere tutti i tentativi delle Nazioni Unite volti a far cessare il fuoco, per dare alla macchina di distruzione e di guerra il tempo di attuare un’improbabile neutralizzazione di Hezbollah. La posizione dell’Europa, espressa da Solana e dai singoli stati membri, non sembra molto lontana dall’atteggiamento americano. L’ipocrisia arriva al punto di chiedere un corridoio umanitario mentre viene consentita la guerra totale. Il futuro prossimo di questa avventura dipende in larga parte, sul piano militare, dalla tenuta di Hezbollah nel contrastare l’avanzata terrestre, e sul piano politico, dalla capacità di evitare vistose spaccature nella posizione del governo libanese, operazione finora riuscita anche grazie alla rozzezza e all’arroganza di Israele e di Condoleeza Rice. L’inaspettata capacità di resistenza libanese alla preponderante macchina bellica ha messo in grave imbarazzo e isolamento i governi arabi, che hanno scaricato sulla resistenza libanese la responsabilità dell’insensata risposta israeliana, una risposta che viene vista nel mondo arabo come azione premeditata per permettere agli Stati Uniti di ridisegnare tutto l’assetto geopolitico della regione.
Gli appelli del segretario delle Nazioni Unite che invoca la protezione della popolazione civile, in accordo con le convenzioni internazionali, cadono nel vuoto e di nuovo, come prevede la dottrina dei neocon, viene premiato il diritto della forza a scapito della legalità internazionale.

Di nuovo, si paralizzano le Nazioni Unite, alle quali viene consentito solamente legittimare la guerra e non prevenirla.

Di nuovo, ci troviamo assolutamente impotenti di fronte alla condotta dei mezzi di informazione in Italia. E’ impossibile una lettura imparziale, nonostante la nuova crisi mediorientale costituisca una minaccia reale per tutti. Ormai siamo costretti a leggere tra le righe per intuire. Viene dato ampio spazio a illustri scrittori israeliani, come Yehoshua e Oz, qui da noi impropriamente considerati progressisti, che confermano la propria disonestà intellettuale dichiarando che questa nuova guerra è giusta. L’eccesso di cautela alimenta l’omissione e la menzogna e sono poche le voci fuori dal coro. Una di queste è Danilo Zolo, che in un’intervista pubblicata su Liberazione il 23 luglio scorso capovolge l’idea di “reazione non proporzionata” da parte di Israele e definisce chiaramente l’attacco al Libano “guerra di aggressione” e “violazione dello ius in bello”. Con la stessa chiarezza contesta la vecchia e consolidata retorica propagandistica della solitudine di Israele e della continua minaccia alla sua sicurezza e alla sua esistenza. Israele è la quarta potenza nucleare del mondo, ha a sua disposizione un’intelligence celebre per la sua efficienza e le armi tecnologicamente più avanzate, oltre, naturalmente, all’appoggio incondizionato e al patto di difesa strategico offerti dagli Stati Uniti, al sostanziale impegno da parte dell’Unione Europea e alla complicità della maggior parte dei regimi arabi moderati e reazionari. La retorica dell’eterna vittima va respinta, come quella che accusa di antisemitismo chiunque pronunci un giudizio negativo sulla politica di Israele o, addirittura, esprima la propria solidarietà per il popolo palestinese.

Una sinistra autorevole e responsabile non deve più ignorare questo fardello, anche a garanzia della propria esistenza ed efficacia. Sarebbe intanto indispensabile per i suoi esponenti avvalersi di altre e alternative fonti di informazione, come facevano i politici di una volta, per evitare che il degrado dell’informazione si traduca in degrado della politica e per capire in tempo che cosa avviene in politica estera, visto che questa politica avrà un peso sempre maggiore nella tenuta del governo. I politici, come i giornalisti e gli opinionisti, potranno parlare chiaramente di catastrofe umanitaria descrivendo la spaventosa vastità della distruzione in atto in Libano o la morte di intere famiglie che a Gaza restano sepolte tra le macerie delle proprie case. Potranno condannare l’ultima minaccia orribilmente evocativa fatta da Israele: per ogni missile caduto su Haifa verranno bombardati dieci palazzi a Beirut.

Con queste premesse, possiamo davvero parlare di una svolta, di una nuova collocazione dell’Italia nel quadro dei rapporti internazionali, che sicuramente la conferenza di Roma non definirà.

La conferenza potrà soddisfare l’esigenza del governo dell’Unione di presumere un proprio ruolo sul piano internazionale, ma rischia di trascinare l’intero occidente, con Israele e gli Stati Uniti, in un’ennesima guerra di religione, perché questa nuova guerra ha tutti i requisiti per esserlo.

Dopo la crisi della guerra in Iraq, l’America e Israele tentano di coinvolgere l’Europa attraverso la Nato per surrogare l’insufficienza e il fallimento statunitensi e per portare a compimento un progetto in agonia. Se, come ha detto ieri al manifesto Franco Giordano, non sarà chiaro che la missione di peace keeping non significa avallare le operazioni militari israeliane, l’invio delle truppe in Libano sarà un altro Iraq o un altro Afghanistan, cioè una nuova fase della guerra permanente a copertura di un atto unilaterale di Israele sostenuto dagli Stati Uniti, fuori da ogni legalità, che altrimenti imporrebbe un intervento della comunità internazionale.

Un’alternativa può essere l’invio di truppe di interposizione anche sul confine di Gaza e dei Cisgiordania, il cui obiettivo sia la tutela delle popolazioni civili e il cessate il fuoco, e la convocazione di una conferenza internazionale per la risoluzione effettiva dei problemi che sono alla radice del conflitto, tra cui il rispetto dei confini del ’67 e il ritiro degli israeliani dal Golan e dalle fattorie di Shabaà.

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