Questa guerra si combatte su due fronti: contro lsraele e per l’egemonia nell’Islam
Un summit importate che rischia di non portare frutti, un’escalation militare breve che però avrà ripercussioni sull’intera regione per un lungo periodo, radicalizzando posizioni già chiare. Vede così gli eventi delle ultime due settimane Amr Hamzawy, uno dei più accreditati analisti di politica mediorientale, di ritorno da un viaggio in Egitto, Giordania e Libano. Ricercatore del Carnegie Endowment for International Peace, il think tank con sede a Washington che pubblica la rivista Foreign Policy - leader mondiale in tema di politica ed economia internazionale - Hamzawy è stato anche professore all’università del Cairo e alla libera università di Berlino.
Gli israeliani sono uniti nel giustificare il loro attacco al Libano quale esercizio del diritto di difesa contro Hezbollah. I militanti islamici che, rivendicando la libertà della zona meridionale del Libano, catturano dei soldati di Tal Aviv. Come siamo arrivati a un così veloce deterioramento della situazione nell’area?
Per capire, dobbiamo analizzare i due protagonisti. Partiamo da Hezbollah. Il patito di Dio ha una sua agenda domestica e internazionale. Per quanto riguarda la prima, dal giorno del ritiro della Siria dal Libano Hezbollah ha subito forti pressioni interne e internazionali per il disarmo e ha faticato per difendere il proprio potere nei confronti della coalizione del 14 marzo. Per poter restare sulla scena libanese, l’organizzazione si vede così costretta periodicamente a ridefinirsi come movimento di resistenza. Carattere d’altronde intrinseco nella sua stessa natura: Hezbollah non è un partito politico, ma nasce come forza di opposizione, anzi di resistenza nazionale. Da parte internazionale, nonostante Hezbollah sia un movimento sciita, appoggia la resistenza sunnita di Hamas in Palestina. Nasrallah nelle sue dichiarazioni ha a più riprese fatto riferimento al popolo palestinese e alla necessità di liberarlo. Io prenderei in seria considerazione tali esternazioni.
E Israele?
Per quanto riguarda Tel Aviv, dobbiamo dire che ha reagito a quello che ha definito un atto di guerra. Ma quella reazione, spropositata all’azione, nasce da due motivazioni precise. In primo luogo dalla volontà di esercitare maggiori pressioni per il disarmo di Hezbollah. In secondo luogo dal desiderio di emarginare il movimento religioso. Il discorso di Israele mi sembra chiaro: facciamo pagare a tutti l’errore commesso da Hezbollah. E il solo modo per fare si che tutti si ribellino alla milizia e facciano terra bruciata attorno.
Un obiettivo che ad oggi sembra lontano…
Infatti. E se Israele non l’ha capito, al governo basteranno ancora pochi giorni - per quanto distruttivi essi possano essere - per rendersene conto. D’altro canto l’invasione del Libano del 1982 non fece che contribuire alla nascita di Hezbollah. Io sono convinto che non si otterrà il disarmo del partito di Dio o la sua riduzione militare se non si passerà per la strada interna Libanese. Hezbollah ha un terzo della popolazione con sé e resta forte. Soltanto un largo consenso nazionale potrà determinarne l’emarginazione. Detto questo, bisogna però analizzare la questione con cautela. A livello di opinione di massa, il governo di Olmert non ha centrato il bersaglio, anzi, ha attivato il meccanismo contrario: un maggiore supporto a Hezbollah. Le popolazioni arabe sunnite e sciite stanno facendo quadrato attorno a quello che vedono come l’unico movimento di resistenza rispetto all’oppressore occidentale. Ciò nonostante, non va dimenticato che quello che accade per le strade non rispecchia le politiche di governo. E questo è tanto più vero quando si parla di stati arabi. I regimi arabi stanno prendendo strade diverse da quelle intraprese delle persone scese in piazza.
Qualche giorno fa Robin Wright sul Washington Post scriveva che la crisi a cui stiamo assistendo è il frutto di una cospirazione nazionale e internazionale per implementare la risoluzione del consiglio di sicurezza Onu numero 1559 che vuole il disarmo di Hezbollah e la restituzione dei prigionieri libanesi. Lei cosa ne pensa? Vede le tracce di una “cospirazione”, sia essa dal lato delle forze occidentali o da parte degli storici alleati di Hezbollah come Iran e Siria? Si è molto parlato della possibilità di un accordo sulla Palestina che non piaceva a Damasco…
Sono contrario a qualsiasi teoria di cospirazione. Senza dubbio ci sono degli interessi in gioco, ma non parlerei mai di cospirazione. Andiamo con ordine. Prima di tutto ricordiamo che Hezbollah non è un agente della Siria o dell’Iran e ha una sua agenda domestica. E’indubbio che questi due stati abbiano degli interessi in ciò che sta avvenendo, ma non si giustifica così la teoria del complotto. Anche se Hezbollah ha agito per fare in modo che le pressioni internazionali esercitate su Damasco e Teheran si indebolissero, lo ha fatto autonomamente. Non è un segreto che la Siria ha la questione dell’assassinio di Hariri ancora tutta da risolvere, e l’Iran sta affrontando il nodo del nucleare.
Lei prevede che questa escalation abbia come conseguenza una guerra più ampia nella regione?
No. Nessuno degli attori in discussione ha di fatto interesse che un’eventualità del genere si realizzi. Né la Siria né l’Iran e neanche Israele. E neppure gli Stati uniti, nonostante abbiano condannato Damasco per ciò che ha fatto Hezbollah. Sono troppo occupati in Iraq. Seppure il sentimento popolare delle masse arabe vorrebbe andare verso una guerra contro Israele, i governi non lo vogliono.
Quale scenario vede possibile, quindi?
Vedo lo stabilizzarsi di due blocchi contrapposti che si confronteranno per lungo tempo in una lotta feroce, ma tutta politica, per l’egemonia della regione. Quando dico che l’opinione pubblica non rispecchia l’opinione dei regimi penso soprattutto ad Arabia Saudita, Giordania ed Egitto. Si tratta dei paesi cosiddetti moderati che per la prima volta sono usciti dall’ambiguità e dalla forte retorica panaraba che li ha contraddistinti. Ufficialmente - e questa è stata una cosa molto sorprendente - hanno condannato apertamente Hezbollah: lo ha detto il ministro saudita, così come il presidente egiziano. Avevano bisogno di distanziarsi dalla Siria per la questione legata all’assassinio di Hariri e sono coscienti del pericolo che l’Iran esercita sulla regione in termini di supremazia. Hanno paura della crescente influenza di Teheran, cosa già palese in Iraq. Per questo tentano in tutti i casi di isolare i due attori.
Quindi non vede alcuna possibilità di un’alleanza sciita-sunnita all’interno della regione?
No, dobbiamo prendere con molta serietà le dichiarazioni dei cosiddetti paesi moderati. E la loro intenzione di costituirsi quale blocco unito.
E cosa immagina per l’immediato futuro?
Vedo una ridefinizione di tutti i poteri. Internamente al Libano ed esternamente. Internamente, verrà affrontata in maniera complessiva la questione del disarmo di Hezbollah. Ma il Libano non vedrà affatto un periodo di stabilità, la debolezza che ha mostrato in questa crisi uscirà allo scoperto. Non si tornerà in ogni caso a una situazione pre escalation. E’ ovvio che in un modo o nell’altro si riuscirà a contenere Hezbollah, magari assimilandolo all’esercito libanese. Arabia Saudita, Egitto e Giordania hanno ormai detto chiaramente che ne hanno abbastanza di Hezbollah. La Siria sarà sempre più sola e non potrà fare altro che allinearsi alla politica di Teheran. L’Iran continuerà a provare ad accaparrarsi la leadership nella regione esercitando il suo diritto di resistenza alla politica straniera e cercando di contenerla. Gli Stati uniti saranno costretti a tornare alla politica pre 11 settembre, si troveranno forzati a lavorare seriamente sulla risoluzione del conflitto israelo palestinese.
Quante possibilità ha il governo libanese di sopravvivere?
Il governo non sopravviverà. Ma non è questo il punto. La questione è l’estrema debolezza di tutte le istituzione del paese dei Cedri. Lo stato non è sovrano. E il periodo d’ instabilità sarà lungo. Si ritornerà ad una situazione pre anni Novanta, e le differenti forze esterne appoggeranno ognuna una diversa fazione interna.
Lei dice che gli Stati uniti porteranno avanti la loro vecchia politica pre 11 settembre, ma i segnali lanciati non sono così chiari.
Io dico che saranno costretti a farlo, non potranno comportarsi diversamente. Dovranno per davvero cercare di risolvere la questione israelo palestinese. Come, è un’altra faccenda. E’ ovvio che useranno la loro influenza sui paesi moderati
E Iran?
L’Iran è veramente in una posizione particolare. Gli interessi iraniani sono del tutto diversi da quelli siriani. E anche le sue carte sono diverse. E’ ovvio che ci sarà un confronto serrato con l’Egitto in primis e con gli altri due paesi dell’asse moderato. Renderà loro la vita difficile. L’Iran è forte, può permettersi di dire di no alle forze occidentali e di giocare con Washington, figuriamoci con l’Egitto.
Quando parla dei diversi schieramenti politici, non si può evitare di pensare che i regimi moderati appaiono deboli…
C’è una grande differenza tra il carattere che un governo ha internamente e quello esterno. Internamente, sì, quei regimi sono in difficoltà, mancano di legittimità. Ma a livello internazionale sono ancora molto forti. Non direi proprio che l’Egitto sia debole.
Tornando a Israele. Olmert ha detto sì alla possibilità dell’intervento di forze Nato al confine…
E Solana sembra propendere per una forza Ue. Ma il fatto che Israele abbia detto di sì non vuol dire che la proposta venga accettata da Hezbollah. Bisogna vedere come essa viene presentata al partito di Dio. Se sarà offerta assieme al solito pressing per disarmare Hezbollah e farlo sparire dalla scena libanese, mi pare difficile che venga accettata. L’unica possibilità per potere dispiegare le forze internazionali è passando per una contrattazione.
Come vede il summit di Roma che si apre oggi?
Come un’opportunità per definire delle condizioni per una pace. Ma mi è difficile immaginare che dal summit possa uscire una qualche realistica soluzione senza la presenza degli attori principali. Ho detto che Hezbollah non è un’agenzia di Damasco e Teheran, ma non vuol dire che le due non esercitino una forte influenza sulla milizia religiosa. Capisco che a causa della retorica anti siriana e iraniana presente negli Usa e in alcuni paesi europei invitare le due nazioni sia difficile, ma non per questo vanno snobbate. Tutti sappiamo che esistono canali non ufficiali per contattarle.
Considera il summit una perdita di tempo?
No, il summit nasce come momento per definire delle condizioni accettabili da ambo le parti. Io dico solo che si deve fare in modo che tali condizioni siano realistiche.
E quindi cosa suggerirebbe ai leader che si incontreranno a Roma?
Suggerisco di tenere bene in mente cosa chiedono Siria, Iran e Hezbollah. I tre hanno interessi diversi. La Siria ha bisogno di uscire dal suo isolamento, quindi necessita di proposte di relazioni, economiche o politiche che siano. L’Iran vuole rafforzare la sua egemonia nel Golfo e ha il progetto del nucleare. Hezbollah non vuole sparire dalla scena. Ha bisogno di avere garanzie politiche interne della sua sopravvivenza. Credo accetterebbe anche la possibilità di una sua integrazione all’interno dell’esercito libanese. Non è pensabile però immaginare di annientarlo. E anche il suo disarmo, che necessariamente passa per le garanzie di cui dicevo, deve avere tempi lunghi. Non meno di due anni.
Sono richieste realisticamente accettabili?
Le ho detto cosa credo che i leader riuniti a Roma dovrebbero tenere in mente. Cosa sia accettabile o cosa gli stati vogliano accettare è un’altra cosa. Si tratta di una domanda a cui non posso rispondere, non ne ho gli strumenti. Ritengo solo che non sia pensabile imporre condizioni troppo dure a Hezbollah perché non verranno mai prese in considerazione.
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