Palestina

Diario da Gaza

Yousef non è più li'

La guerra non e' parole, opinioni, analisi. E' quotidianità violentata. L'urlo di una madre che non riesce a credere di aver perso il figlio. La disperazione di tante persone che non conoscono una vita che possa definirsi tale.
Rami Almeghari
Fonte: Electronic Intifada - www.electronicintifada.net - 02 agosto 2006


Un ragazzo palestinese mostra i proiettili israelini dopo l'attacco al campo profughi di Maghazi, 22 luglio 2006. (MaanImages/Thaeer al-Hassany)

“Yousef, Yousef, Yousef”, l’urlo è stata la prima reazione di Aziza Mughari del campo profughi di Alburaij mentre la notizia della morte di suo figlio si diffondeva tra i vicini.
Il figlio era stato trasportato all’ospedale israeliano di Ekhelof, a Tel Aviv, per le gravissime lesioni subite durante l’attacco israeliano al vicino campo profughi di Maghazi circa dieci giorni fa. Poiché l’ospedale è in territorio israeliano, ad Aziza non era permesso di visitare il suo amato figlio.

“Chi mi porterà le medicine? Chi farà le commissioni per me? Figlio, dove sei? Non ci credo che sei morto, sono dei bugiardi,” Aziza, una madre malata, chiama ancora Yousef, ma Yousef non è più lì.

Erano le prime ore dell’alba di lunedì 31 luglio 2006 quando Yousef Sa’ady Mughari, di vent’anni, veniva dichiarato morto dopo aver lottato per 10 giorni contro le sue terribili ferite, nell’ospedale israeliano, con la sola compagnia dello zio Najeb Mughari, unico a cui era stato permesso di vegliare al suo capezzale.

Lacrime, lacrime e ancora lacrime – è stata le reazione tra i fratelli, le sorelle, il padre, gli zii e gli amici di Yousef, nell’udire la notizia stamattina.

Il ventenne palestinese era un giovane di bell’aspetto, con un grande sorriso che gli illuminava il viso. “Yousef era molto amato non solo da chi lo conosceva bene, ma da tutti” ricordano i suoi amici, il volto bagnato dalle lacrime.

Il quarantanovenne padre, un ordinario, povero rifugiato palestinese, che lavorava come sarto al valico di Karni prima che fosse chiuso dalle autorità israeliane, pronuncia poche parole di reazione “Ringrazio Dio per mio figlio, che risposi in pace. Possa il Signore rivalersi su quelli che gli hanno sparato a morte.”

Dal primo mattino alle ultime ore del giorno decine di parenti, amici, vicini di casa, hanno atteso il suo arrivo, in una speciale cerimonia funebre. Quando la bara finalmente è giunta, i parenti non riuscivano ad aspettare ancora a lungo. Quando il corpo è stato trasportato all’ospedale locale per i controlli di routine, si sono precipitati lì, mentre un altoparlante diffondeva nell’aria canzoni popolari palestinesi, acclamando al giovane uomo come martire per la causa della libertà.

All’ospedale dei Martiri di Al-Aqsa, nel centro della città di Gaza, dove il corpo di Yousef era stato controllato dai dottori, Najeeb (lo zio cinquantatreenne di Yousef, il solo parente a cui era stato permesso di visitarlo a Tel Aviv), visibilmente provato dalla perdita del nipote, racconta che i medici israeliani e tutto il personale dell’ospedale Ekhelof erano profondamente colpiti ed esprimevano una grande vergogna per le azioni terribili del proprio governo nella Striscia di Gaza, evidenti nelle ferite mortali sui corpi dei palestinesi.

Il dottor Habes Alwehaidi, primario dell’Ospedale dei Martiri di Al Aqsa, che per primo provò a trarre in salvo Yousef la settimana scorsa, testimonia che le caratteristiche delle ferite del ragazzo, e di altri come lui, sono sconosciute ai dottori dell’ospedale.

“Abbiamo fatto molte radiografie sulle ferite di queste persone, per ben cinque volte li abbiamo passati ai raggi x, cercando ogni scheggia, ogni frammento di proiettile, eppure non abbiamo trovato nulla. Non abbiamo mai visto un tale tipo di ferite, né nella prima Intifada né in quella corrente. Solo da sei mesi stiamo vedendo cose simili” afferma.

“Non ci sono dubbi, Israele attualmente sta utilizzando delle armi illegali ai sensi del diritto internazionale” conferma ancora il dottor Alwehaidi.

Yousef, con altre quattro persone provenienti dal campo profughi di Maghazi, era stato trasportato all’ospedale israeliano per l’impossibilità dai parte dei medici palestinesi di curare questo tipo di ferite. I dottori a Gaza sono indubbiamente competenti, ma mancano di attrezzature. Manca perfino l’elettricità, a causa dei costanti attacchi israeliani e delle chiusure imposte alla Striscia. Diversi palestinesi hanno subito l’amputazione degli arti per le ferite inferte dai proiettili israeliani durante il bombardamento contro il campo rifugiati di Maghazi.

L’esercito d’occupazione israeliano ha invaso Maghazi la settimana scorsa, uccidendo diverse persone e ferendone più di 130, in una massiccia operazione militare che ha completamente distrutto i due chilometri quadrati del campo rifugiati, con il pretesto della liberazione del soldato israeliano fatto prigioniero dai combattenti della resistenza palestinese lo scorso 25 giugno. Tutta la popolazione palestinese della Striscia di Gaza sta subendo una punizione collettiva a causa di un attacco della resistenza palestinese ad una base israeliana nel sud della Striscia.

Note: Rami Almeghari è traduttore superiore al Sis di Gaza (Servizio di Informazione Statale) e responsabile editoriale del sito dell’International Press Center.
Lo si può contattare all’indirizzo rami_almeghari@hotmail.com

Traduzione di Francesca Ciarallo per Peacelink.it
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