Palestina

«Subito gli osservatori nei Territori»

26 novembre 2006
Michelangelo Cocco
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Libanese, docente di sociologia politica a Beirut, Nala Chahal anima da Parigi, dove vive da dieci anni, la Campagna civile per la protezione del popolo palestinese (www.protection-palestine.org). La sua associazione si batte per una forza multinazionale Onu che blocchi l'assedio israeliano e garantisca la sicurezza dei palestinesi. Abbiamo incontrato la Chahal a Roma, durante il convegno Medlink-intrecci mediterranei, a cui partecipano associazioni, sindacati e movimenti di 31 paesi del Mediterraneo che si battono per la democrazia e contro il neocolonialismo, le guerre e le occupazioni militari. L'incontro si concluderà oggi, con un dibattito sul tema «Medlink. Cosa è la società civile nel nord e nel sud?» che inizierà alla 9.00 a villa Piccolomini (via Aurelia Antica 164)
Perché una forza internazionale nei Territori palestinesi occupati da Israele?Perché in Palestina l'occupazione militare israeliana sta superando un limite dopo l'altro. Faccio un esempio: fino a poco tempo fa, quando l'esercito compiva un massacro parlava di «errore». Ora non sente più alcun bisogno di giustificarsi e dice che i terroristi sono tra la popolazione. L'effetto è che negli ultimi mesi le vittime civili palestinesi sono decuplicate, nel silenzio assoluto della Comunità internazionale. La mancanza di un'opposizione all'Onu del resto porterà Tel Aviv a superare anche questo limite, giustificando le stragi e il disprezzo totale del diritto.
Il ministro degli esteri italiano, Massimo D'Alema, ha prima ipotizzato la possibilità dell'invio di una forza d'interposizione, precisando poi che, senza il consenso d'Israele un simile impiego è impossibile.Israele non accetterà mai una forza d'interposizione, così come rifiuta ogni forma di critica nei confronti della sua politica folle nei confronti dei palestinesi. La nostra associazione - soprattutto dalla Francia - spedisce ogni mese decine di osservatori civili nei Territori occupati. Ma oggi c'è necessità d'imporre una forza di osservatori internazionali (armati e con un mandato chiaro, non come quelli della Tiph nella città di Hebron, che possono solo prendere nota delle violenze) in tutte le città palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Solo internazionalizzando il conflitto si può cercare di porre un argine all'impunità di cui gode l'esercito di Tel Aviv.
E se non si arriverà a una soluzione simile?Il risultato sarà una società come quella irachena, con molta violenza e molte divisioni al suo interno. Ma uno sviluppo del genere porta con sé possibilità inquietanti: nasceranno piccoli gruppi autonomi e disposti a compiere atti terroristici. Il 60% degli arabi ha meno di 15 anni, è poco preparato culturalmente, ha poca esperienza e si trova di fronte a un Occidente che non sa dirgli altro che: siete dei selvaggi e dei terroristi.
I palestinesi sono molto divisi. Avranno anche loro delle responsabilità per la situazione in cui versano?Non c'è dubbio. Fino al periodo degli accordi di Oslo (1993, 2001, ndr) avevano una strategia, che io non condividevo: fare la pace con Israele nei termini di Oslo. Anche il discorso degli islamisti ruotava attorno a Oslo, per osteggiarla. Ora non c'è più nessun obiettivo. La strategia israeliana, al contrario, si è aggiornata e, con il muro, l'espansione delle colonie e lo sviluppo di nuove strade solo per israeliani prevede la riduzione della Palestina in cantoni separati e la conquista di Gerusalemme.

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