Palestina

Reportage dalla quasi guerra civile palestinese tra raffiche di mitra, esasperazione e funerali

Gaza, morire un po' alla volta

19 dicembre 2006
Michele Giorgio
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Heba Musabbeh stringeva forte la mano del fratello quando è stata colpita ed uccisa da un proiettile vagante. Sotto il tradizionale tendone del lutto, eretto alle spalle del mercato ortofrutticolo di Shajaiyeh, non si parla d'altro che della terribile sorte toccata alla ragazza di 19 anni, morta due giorni fa durante gli scontri a fuoco tra militanti di Hamas e agenti della guardia presidenziale.
«Heba da pochi mesi frequentava la facoltà di economia e commercio e a marzo si sarebbe dovuta fidanzare con un giovane laureato. Aveva tutta la vita davanti ma questa assurda guerra tra palestinesi ha cancellato tutto, con un colpo di spugna». A parlare è Ziad Mughanni, uno zio di Heba. Il padre, Sagher, un dentista, non ha la forza di rispondere alle nostre domande, è troppo stanco e addolorato. Heba era la sua unica figlia tra sette maschi e lui, ci spiegano parenti ed amici, la amava molto e la colmava di tenerezze. «Siamo disgustati da tutte e due le parti in conflitto» prosegue Ziad. «Heba è rimasta vittima del caos, della voglia di potere (di Al-Fatah e Hamas, ndr). Abu Mazen ha chiesto nuove elezioni ma è un proposito vuoto, senza significato: gli shebab (giovani) si ammazzano tra di loro, persone innocenti come mia nipote muoiono e tutti sanno che quelle elezioni non si faranno e che le due parti faranno un governo nazionale».
Mentre Ziad racconta il dolore della sua famiglia e la frustrazione per la situazione politica, gruppi di uomini giungono sotto la tenda e altrettanti, nello stesso momento, vanno via stringendo le mani dei parenti più stretti di Heba. Ad ogni nuovo arrivo tutti si alzano in piedi in segno di rispetto. Le donne non ci sono, stanno in casa a consolare la madre della giovane vittima che non riesce ad accettare di aver perduto la figlia in quel modo assurdo.
Si spara di meno a Gaza, per merito della fragile tregua raggiunta domenica notte da Hamas e la presidenza palestinese, si dice con la mediazione egiziana. Ma le armi non tacciono. Andare in giro a piedi è rischioso perché, all'improvviso, partono scambi di raffiche di mitra. Tutti si abbassano cercando riparo e guardano intorno cercando di capire da dove siano partiti i colpi ma senza risultato. Il crepitio delle armi è più insistente nei pressi dei campi militari e del quartier generale di Abu Mazen sul lungomare. Un ragazzo di 16 anni, colpito al torace, ha rischiato ieri di subire la stessa sorte di Heba ma i medici dell'ospedale Shifa sono riusciti a salvargli la vita.
«La colpa è tutta di Abu Mazen, perché vuole togliere il governo ad Hamas», protesta uno studente dell'università islamica. I giovani della vicina università Al-Azhar, politicamente schierata con Al-Fatah, ribattono che Hamas ha paura di perdere le elezioni e per questa ragione rifiuta il voto anticipato. La maggioranza delle persone invece scuote la testa di fronte all'escalation di violenze. «Non sono di Hamas e anche se prego non sono religioso - ci dice Mahmud, proprietario della rosticceria di fronte alla Azhar - il premier Haniyeh però ha ragione. Hamas ha vinto le elezioni con merito e ora Al-Fatah vuole tornare al potere con la forza. Questo è sbagliato». Nayef, un insegnante di 53 anni, non si schiera con nessuno: «Non mi interessano i partiti in lotta per il potere quando molti dei miei fratelli, dei miei zii e cugini vive in miseria. Non ho ancora trovato un leader palestinese in grado di realizzare i nostri sogni».
Il crepitio delle armi automatiche riprende ad intervalli quasi regolari. Giunge nel frattempo la notizia dell'uccisione a Jabaliya di un attivista di Al-Fatah in scontri con militanti di Hamas. Poco dopo si aggiunge quella del rapimento, da parte di sconosciuti, del fratello di un deputato di Al- Fatah nel nord di Gaza. Da Ramallah, dove ha amichevolmente conversato con il sorridente premier britannico Tony Blair, il presidente Abu Mazen fa sapere che «nessuno lo potrà fermare». Le elezioni anticipate, assicura, si faranno e ad impedirle non sarà il boicottaggio di Hamas. Blair sorride ma non va oltre un tiepido e scontato appoggio al presidente palestinese che continua a non avere nulla di nuovo e di concreto da offrire ai palestinesi in cambio del terremoto politico che ha scatenato annunciando il voto anticipato.
In casa Al-Fatah intanto ci si prepara al «futuro». Rimasta paralizzata per un anno, l'intera classe politica uscita bocciata nettamente dalle elezioni parlamentari dello scorso gennaio sogna il ritorno nella stanza dei bottoni. Il più solerte a mettersi in moto, e la cosa non sorprende, è stato l'ex ministro e «uomo forte» di Gaza Mohammed Dahlan. Lasciata, anche per motivi di sicurezza, la sua residenza fortificata di Gaza, seduto in prima fila ad applaudire sabato scorso il discorso di Abu Mazen, Dahlan è riapparso a Jenin (Cisgiordania), dove ha parlato del ruolo storico di Al-Fatah e fatto capire di avere importanti ambizioni politiche. Punta alla presidenza? In casa Al-Fatah ripetono che l'unico candidato alla carica di rais è Abu Mazen ma nessuno è disposto a giurarlo. Per il momento l'unica novità in Al-Fatah è l'espulsione dal partito, non ancora ufficiale, del segretario generale Faruk Qaddumi, reo di essere apparso sabato sera a Damasco assieme al leader di Hamas Khaled Mashaal nella conferenza stampa di rifiuto dell'annuncio di elezioni anticipate. «Abu Lutuf (Qaddumi) ha smesso di prendere decisioni a nome del partito, con le sue azioni e le sue parole si è chiamato fuori da Al-Fatah. Il suo è stato un atto inqualificabile», ha commentato il portavoce del partito Ahmed Abdel Rahman, anch'egli ritornato in primo piano dopo l'oblio degli ultimi mesi. La vecchia guardia di Al-Fatah rialza la testa. Per il rinnovamento del partito - che la nuova generazione di Al-Fatah, con Marwan Barghuti in testa, ha chiesto a gran voce in questi ultimi due-tre anni - c'è sempre tempo, fa capire Abu Mazen.

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