I diritti dei profughi nel mirino d'Israele
Il Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila tornerà a settembre in Libano per partecipare alle manifestazioni in ricordo delle vittime del massacro del 1982 e per esprimere solidarietà ai profughi palestinesi che vivono nel paese dei Cedri e alla Resistenza libanese contro l'occupazione israeliana. Saremo una cinquantina di persone e, tuttavia, ci sentiremo soli: ci mancherà infinitamente Stefano Chiarini che il Comitato aveva fondato e che ogni anno, dal 2000, tornava in Libano con una delegazione sempre nuova.
Era riuscito, insieme a tutti questi compagni di strada e ai palestinesi, a ridare dignità alla fossa comune nella quale erano stati gettati una parte dei tremila cadaveri, diventata una discarica a cielo aperto.
L'aveva trasformata in un luogo del ricordo, facendo rimuovere i rifiuti e ristrutturando l'area: lì, grazie alla tenacia di Stefano, il tentativo di cancellare la memoria non è riuscito. Stefano ha insegnato a molti di noi tante cose del Libano, della sua storia, della sua complessità e molte cose sulla solidarietà: teneva molto a raccogliere quella «dal basso», ed infatti coinvolgeva uomini e donne che viaggiano per capire e tornano per far conoscere ciò che hanno visto. La sua mancanza ci accompagnerà per tutto il percorso, insieme alla consapevolezza di fare la cosa giusta: stare accanto ai dimenticati, come sono i profughi palestinesi, quelli che risultano solo nell'anagrafe dell'Unrwa, l'organizzazione delle Nazione Unite che si occupa dei rifugiati.
La precarietà e il caos dell'intera regione mediorientale sono stati aggravati ultimamente da fatti nuovi, come la conflittualità interpalestinese nei Territori Occupati, frutto avvelenato degli accordi di Oslo, o l'infiltrazione di gruppi del terrorismo di stampo qaedista in Libano - vera e propria mina quest'ultima, posta lungo il percorso tracciato dalla resistenza di Hezbollah.
In ogni caso, in un quadro così in evoluzione, c'è sempre una costante perversa: le vittime designate di questo o quel gioco sono sempre loro, i palestinesi. Recentemente uno degli organi d'informazione di Tel Aviv in Italia, Il Foglio, ha decretato con un articolo firmato da Giuliano Ferrara e Giorgio Israel che la questione palestinese «è morta»: la loro esortazione a tornare al «realismo» è sostenuta dal vecchio refrain dell'inaffidabilità dei terroristi che trattato a nome dei palestinesi, ma non solo. I due «soldati» della Grande Israele vanno oltre: «Oggi abbiamo dimenticato - dicono - che nessuno ha mai conosciuto fino al 1964 la parola "palestinese". La storia non ha mai conosciuto né l'esistenza né il nome di un popolo palestinese. L'attribuzione della loro identità è frutto della creazione dello stato di Israele, una sorta di feed-back di tal evento».
L'integralismo della pretestuosa e odiosa argomentazione che nega l'esistenza di un popolo e di una della tragedie più grandi del '900, cioè la diaspora palestinese, non ci è sconosciuto, anzi, è lo stesso di sempre: ebbene,noi torniamo in Libano perché non cada l'oblio sulle vittime di Sabra e Chatila come di quelle di altri eccidi e per ricordare che finché ci sarà anche solo un uomo o una donna palestinese il loro diritto al ritorno e ad una Patria non sarà mai morto.
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