Palestina

Se cade la foglia di fico dello Stato-bantustan

Caro Mofaz ti scrivo. In una lettera la prova dell'accordo con Tel Aviv dell'ex leader dell'Anp. L'obiettivo di Dahlan? Un governo fantoccio
27 luglio 2007
Ali Abunimah
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

«Sia certo che i giorni di Yasser Arafat sono contati, ma permetteteci di finirlo alla nostra maniera, non alla vostra. E sia anche sicuro che...le promesse che ho fatto davanti al Presidente Bush, darò la mia vita per mantenerle». Queste parole sono scritte dal signore della guerra di Fatah Mohammed Dahlan - le cui forze sostenute da Israele e Usa sono state messe in rotta da Hamas lo scorso mese nella Striscia di Gaza - in una lettera del 13 Luglio 2003 all'allora ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz pubblicata sul sito di Hamas il 4 Luglio di quest'anno.
Dahlan descrive la sua cospirazione per rovesciare Arafat, distruggere le istituzioni palestinesi e rimpiazzarle con una leadership collaborazionista. Dahlan scrive della sua paura che Arafat convochi il consiglio legislativo palestinese e gli chieda di ritirare la fiducia al Primo Ministro Mahmoud Abbas, che era stato nominato agli inizi del 2003 su insistenza di Bush al fine di assottigliare l'influenza di Arafat.
Arafat traditoDahlan rivela che «abbiamo già iniziato dei tentativi di polarizzare le opinioni dei membri del consiglio tramite intimidazioni e tentazioni così che essi stiano al nostro fianco e non al suo (di Arafat)». Dahlan chiude la sua lettera a Mofaz dicendo: «Mi rimane solo da esprimere la mia gratitudine a lei e al primo ministro (Ariel Sharon) per la vostra continua fiducia in noi, e a lei tutto il rispetto».
Questo mese, cominciato con la nomina di un «governo di emergenza» in stile Vichy guidato da Salam Fayad, leader storici di Fatah come Farouq Qaddumi e Hani al-Hassan hanno espresso la loro opposizione alle azioni di Abbas, rifiutando soprattutto il suo ordine ai combattenti della resistenza palestinese di deporre le armi mentre l'occupazione israeliana continua indisturbata. Ciò sottolinea che la divisione tra palestinesi oggi non è tra Hamas e Fatah, tra gli «estremisti» o i «moderati», o tra gli «islamisti» e i «laici», ma tra la minoranza che collabora con il nemico e coloro che difendono il diritto dovere di resistenza.
Lo scontro in CisgiordaniaEphraim Sneh, fino a poco tempo fa vice ministro della difesa, così ha espresso su Ha'aretz la visione dell'establishment israeliano: «La missione più importante ed urgente a questo punto è impedire che Hamas prenda il controllo della West Bank. È possibile ottenere ciò indebolendo Hamas attraverso visibili progressi diplomatici; aiutando l'efficace funzionamento del governo del primo ministro palestinese Salam Fayad, e la creazione di condizioni per il totale fallimento del regime di Hamas nella Striscia di Gaza». Sneh chiarisce che «è imperativo causare la sconfitta pubblica e politica di Hamas attraverso un altro elemento palestinese». Questo elemento è Fatah. Sneh elenca un numero di misure per ottenere ciò, compresa l'assunzione di più Palestinesi come lavoratori a basso costo nell'economia israeliana, il rilascio dei prigionieri di Fatah e la restituzione del denaro delle tasse rubato ai Palestinesi, ma non dice assolutamente nulla riguardo uno stop alle costruzioni di colonie ebraiche, della fine dell'occupazione militare, e dell'abrogazione delle leggi e delle pratiche razziste. Con caratteristica vaghezza afferma solo che «è necessario imbarcarsi in una discussione con il presidente palestinese circa i principi di un accordo sullo status permanente». Da quando gli accordi di Oslo sono stati firmati, Israele ha fatto tutto quanto gli era possibile per indebolire la prospettiva di uno stato palestinese, azzoppando di continuo l'Autorità palestinese. Cosa c'è dietro la determinazione di Israele nell'appoggiare la leadership quisling di Abbas? Perché non lasciarla collassare e dichiarare semplicemente vittoria?
I leader israeliani sanno che per puntellare il sostegno ad uno «stato ebraico» occorre nascondere la realtà che gli Ebrei non sono più la maggioranza di Israele, West Bank e Striscia di Gaza, l'insieme dei territori controllati dallo stato israeliano. Israele ha bisogno della foglia di fico di uno stato palestinese sovrano per cancellare milioni di palestinesi dai suoi registri, così come l'apartheid in Sudafrica cercò di usare il pretesto delle «patrie nere indipendenti», i bantustan, per prolungare il governo dei bianchi e dare ad esso una parvenza di legittimità. Se l'Autorità palestinese collassa, Fatah, che non ha una base popolare, collasserà con essa.
Hamas, poi, si trova a un bivio. Può sopravvivere al collasso dell'Autorità Palestinese, ma cosa diventerà? È nata da un segmento della società palestinese - povero, mobilitato in massa su contenuti religiosi - trae però un sostegno più ampio per la sua resistenza contro Israele da palestinesi desiderosi di un'alternativa basata su principi. Hamas ha la scelta di articolare un programma che sia all'altezza delle aspirazioni della società palestinese in tutta la sua diversità, o può finire nelle trappole che vengono messe davanti ai suoi piedi.
Qual è la strategia di Hams?
I leader di Hamas hanno fatto dichiarazioni esemplari a favore di una genuina democrazia, ma essi devono essere giudicati dalle loro azioni, e ci sono segni scoraggianti. Il Centro palestinese per i diritti umani ha riportato diversi casi di abusi, sequestri, torture da parte di membri della Forza Esecutiva di Hamas, e la morte di un prigioniero tenuto dall'ala militare di Hamas. Hamas ha conquistato la sua legittimazione mettendo fine alle brutte pratiche delle milizie di Fatah sostenute da Israele. Deve mantenere la promessa o rassegnarsi a vedere svanire l'attuale sostegno. Allo stesso tempo deve iniziare ad articolare una visione del futuro che contempli la realtà di 11 milioni di Ebrei israeliani e palestinesi che vivono in un piccolo paese. Sappiamo a cosa Hamas si oppone, ma non sappiamo che cosa vuole. Hamas si sta lentamente avvicinando ad accettare una soluzione a due stati proprio nel momento in cui la realtà sta cominciando a farsi strada persino tra i più convinti sostenitori dell'industria del processo di pace di Oslo che la soluzione a due stati, necessaria a salvare Israele come enclave di privilegi ebraici, è ormai fuori portata. Mentre una soluzione a due stati «sta diventando meno credibile», osserva sul Los Angeles times Aaron David Miller, per 25 anni nel Dipartimento di Stato Usa e rappresentante d'alto rango dell'Amministrazione Clinton al summit di Camp David nel 2000, «si parla maggiormente nel campo palestinese di una soluzione ad un unico stato - che naturalmente non è la soluzione di tutto, e che potrebbe significare la fine di Israele come stato ebraico».
Il nuovo slogan: uguaglianzaIl commentatore di Ha'aretz Danny Rubinstein prevede che «prima o poi Hamas verrà meno alla sua guerra contro Israele. Ma questo non significa un ritorno ai giorni di Oslo e alla visione dei due stati». Piuttosto, egli teme, «ci sarà questa crescente domanda da parte degli Arabi palestinesi, che costituiscono quasi la metà degli abitanti di questa terra, nel dire: nelle circostanze presenti non possiamo stabilire un nostro stato, e ciò che ci rimane da fare è esigere il rispetto dei nostri diritti civili in quella che è la nostra patria. Adotteranno gli slogan della lotta degli Arabi che sono cittadini di Israele, che chiedono uguaglianza e la definizione di Israele come stato di tutti i suoi cittadini». Pertanto possiamo vedere come Abbas è attualmente l'ultima speranza di Israele nella lotta contro la democrazia. Questa patetica coalizione non può mettersi di traverso sulla via della libertà.

Note: Tratto da Electronic Intifada Tradotto da Gianluca Bifolchi, Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística
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