Ventiquattr’ore
In Israele e’ scattata l’ora legale. Non nei Territori palestinesi
occupati. Riesco a vederne l’aspetto comico quando passando da una parte
o dall’altra di Gerusalemme faccio una gran confusione di orari, arrivo
tardi o presto ad appuntamenti e ho la sensazione di stare nello stesso
posto nello stesso momento ma con un orario diverso. Il piu’ delle volte
pero’ questa differenza di un’ora e’ una grande scocciatura. Soprattutto
perche’ a causa di questo i check point chiudono in anticipo. Ad esempio
il check point di Qalandia, che prima chiudeva alle nove, ora continua a
chiudere alle nove (ora israeliana) che pero’ sono le otto ora
palestinese. A causa di questi disagi, l’Autorita’ palestinese farebbe
bene a decidere di cambiare l’ora, ma non lo fa, forse per dimostrare che
in qualcosa ha ancora autorita’.
Non so quanto sia durata la mia giornata oggi, in ogni caso so che e’
stata lunga e piena della solita routine di incontri con ragazzi
israeliani vestiti da soldati con i fucili in mano, e sempre piu’ duri e
inariditi. E la solita routine di storie di palestinesi sempre piu’
stanchi apatici e ormai assuefatti ai disagi e abituati alle umiliazioni:
ore di attesa ai posti di blocco, ispezioni continue, confisca di
automezzi, controlli su malati e anziani, molestie a personale medico. Una
quotidiana normalita’ di cui si riesce ad essere perfino contenti, in
quanto lo scenario catastrofico che sarebbe dovuto seguire allo scoppio
della guerra in Iraq non si e’ avverato, per cui e’ consolante sapere che
si potrebbe stare peggio.
La mia normale giornata e’ cominciata alle otto e mezzo stamattina, quando
un amico mi ha chiamato al telefono per dirmi che la casa di sua sorella,
nel villaggio di Ain Airik, vicino Ramallah, da tre giorni e due notti e’
occupata dai soldati. La casa e’ in una buona posizione panoramica,
sovrasta il villaggio. Dalle finestre i soldati possono controllare bene I
movimenti delle persone e probabilmente stanno cercando qualcuno. Intanto
la famiglia della sorella di Nassif, moglie marito e quattro figli di cui
il maggiore ha quattordici anni, sono chiusi in una stanza senza poter
uscire, e nessuno puo’ andare a trovarli. Pero’ possono usare il
telefonino.
La giornata e’ continuata. Alle due nel pomeriggio Mazeed mi ha
telefonato. La voce era concitata e le parole veloci. Era molto
spaventato. Stamattina era partito da Ramallah, dove lavora, per andare a
trovare la famiglia a Jenin. Al sesto check point sul percorso, il check
point chiamato Maale Fraim, I soldati, dopo aver controllato la sua
identita’, hanno fatto ripartire il taxi sul quale viaggiava e hanno detto
a lui di tornarsene indietro, a piedi (e’ un posto dove non si trovano
facilmente taxi). Il motivo e’ che sul suo documento c’e’ scritto
“residente a Ramallah” per cui cosa ci doveva andare a fare a Jenin? Sul
documento c’e’ anche scritto che e’ nato a Jenin, e ha provato a chiedere
a soldati di farlo passare, aveva un gran bisogno di vedere sua madre. Ha
detto “Anche voi avete una madre… cercate di capire” ma loro l’hanno
picchiato con il calcio del fucile, gli hanno strappato la sigaretta dale
mani e l’hanno riempito di parolacce.
A conclusione della giornata, alle otto meno dieci stasera, mi trovavo al
check point di Al-Aram, sulla strada tra Gerusalemme e Ramallah. Il taxi
collettivo su cui viaggiavo era gia’ stato fermato e controllato due
volte. L’ultima solo venti metri prima, e i soldati avevano visto. Per cui
ho chiesto educamente di velocizzare le pratiche, spiegando che dovevo
raggiungere Ramallah e Qalandia, l’ultimo check, avrebbe chiuso dopo dieci
minuti. Il soldato mi ha risposto “no problem. Bad Ramallah. No problem” e
ha continuato tranquillamente l’ispezione. Mentre stavo aspettando che
finisse e’ passata un’ambulanza del Medical Reliefe, con due amici a
bordo, diretta a Ramallah. Stufa di aspettare, ho chiesto un passaggio.
Hanno fermato anche l’ambulanza, l’hanno controllata per venti minuti e
l’hanno fatta ripartire, ma senza uno dei due, Ibrahim, che ha ventuno
anni e lo conosco come una persona sorridente e mite. Solo che e’ di
Jenin, per cui i soldati l’hanno strattonato, l’hanno fatto spogliare e
gli hanno detto che si meritava questo perche’ quelli di Jenin “sono
tutti immondizia e tutti terroristi”
Ho passato il check point di Qalandia insieme all’ambulanza alle otto e
mezzo, in ritardo, ma non ci hanno fatto troppe storie.
Arrivati a Ramallah con Ibrahim e Jahuish ci siamo andati a bere una
birra, ridendo e scherzando e raccontando barzellette sugli abitanti di
Hebron, I khalili, che sono un po’ come da noi in Italia i carabinieri, e
cosi’ si e’ conclusa una normale giornata di routine nella Palestina
occupata. Tutto sommato poteva andare peggio.
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