Bambini di Gaza. L'oltraggio dopo la tragedia
«Troppo tardi per fermare il fuoco». I tre bambini palestinesi uccisi martedì scorso sono morti dopo che un'unità di terra dell'esercito israeliano ha sparato sostenendo di mirare contro le postazioni di lancio di razzi nei pressi di Beit Hanoun. Avevano tra i 10 e i 12 anni e stavano solo giocando. Israele ammette l'errore, ma per due giorni ha accusato i miliziani palestinesi di utilizzare i minori come scudi umani a difesa dei lanciatori di Qassam. Invece non è così: sono vittime innocenti. Vittime dell'occupazione e dell'arbitrarietà di Israele, come tantissime altre: dal 2000 ad oggi oltre 800 bambini palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano. Per la maggior parte di queste morti non si troverà mai un responsabile: l'oltraggio dopo la tragedia.
Come per Abir, 11 anni, figlia di Bassam Aramin, -ex prigioniero politico e ora membro dei Combattenti per la pace, organizzazione di ex attivisti palestinesi e di ex soldati israeliani- assassinata, lo scorso 8 febbraio, da un proiettile che l'ha colpita alla testa, mentre usciva dalla scuola di Anata, Gerusalemme Est. Per le autorità israeliane, smentite dalle evidenze e dagli esami medici, non è sicuro che la bimba sia stata uccisa da un proiettile o da una pietra.
e inchieste, spesso, quando ci sono, sono ostacolate con ogni mezzo o vengono insabbiate per garantire un'arrogante impunità all'esercito israeliano, ammazzando una seconda volta quei bambini e rinnovando il dolore di madri, di padri e di tutto il popolo palestinese che assistono impotenti alla distruzione di ogni senso di giustizia e della speranza di dare un volto a chi ha ucciso e continua ad uccidere.
Quelle famiglie in lutto si aggrappano allora disperatamente alla memoria del figlio perduto, ma la povertà di Gaza è tale che spesso non si possiedono videocamere o macchine fotografiche per documentare. Non ci sono filmini che riprendono i primi passi di Yahya Ramdan Abu Ghazala, 10 anni, né di Mahmoud Abu Ghazala, 12 anni, e neanche della cugina Sara, 10 anni. Non ci sono foto digitali scaricate sul computer o sui telefonini ad alleviare - se possibile- lo strazio delle madri. A loro rimangono spesso le immagini immortalate dai fotoreporter di Gaza a tragedia conclusa, quando i corpi dei figli sono già senza vita e i volti ricoperti di sangue. Gaza non è una prigione -come siamo soliti definirla- perché il milione e mezzo di persone che la abitano non sono dei criminali in attesa di scontare una pena, sebbene vengano punite collettivamente e ingiustamente, ma una gabbia senza ossigeno né risorse per la popolazione civile che solo di rado e discrezionalmente viene aperta per introdurre cibo e aiuti sufficienti appena a non farla morire di fame.
Credo che gli incontri di Ehud Olmert e Mahmoud Abbas e il dialogo avviato sulle questioni fondamentali per la creazione di due Stati, autonomi e sovrani, siano certamente positivi e debbano continuare. Ma le politiche del Governo israeliano non dimostrano con i fatti la volontà di lavorare per la giustizia e per la pace, continuando invece a costruire il muro dell'Apartheid, a praticare uccisioni mirate, che tanto mirate non sono, la chiusura dei check point, gli arresti arbitrari, la confisca delle terre e la distruzione di tutto e tutti causata dall'occupazione militare, mentre la bandiera palestinese, simbolo della lotta di un popolo per l'indipendenza, è sempre più spesso sostituita da quelle di Hamas e Fatah, con il popolo palestinese che rischia di rimanere sempre più diviso.
Purtroppo la Comunità Internazionale continua a tacere. Non un gesto né una parola sulle morti di civili, donne e bambini in primis, non un'azione efficace per intimare una volta per tutte al Governo israeliano di porre fine a 40 anni di occupazione militare, non una concreta volontà politica di far rispettare la legalità internazionale e far cessare 60 anni di nakba. L'Unione Europea si allinea un po' per ignavia e molto per pressioni su questa linea di silenzio e di conseguente complicità. La Conferenza Internazionale Onu della Società civile in sostegno della pace israelo-palestinese, ospitata dal Parlamento europeo di Bruxelles il 30 e il 31 agosto, ha suscitato polemiche e una protesta formale da parte delle Autorità israeliane e di alcuni deputati. Ma la Conferenza alla fine si è tenuta ed è stato un importante esempio di democrazia dal basso e partecipazione, in cui associazioni, sindacati, deputati e molti rappresentanti della società civile hanno ribadito il bisogno di una lotta comune per il rispetto della legalità internazionale e ricordato all'Europa e alla Comunità Internazionale che il rispetto dei diritti umani non può e non deve rimanere solo lettera morta.
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