Palestina

L'Italia denunci Yona Boaz: ha rubato i soldi agli israeliani e la terra ai palestinesi

Il magnate dell'edilizia israeliano è stato fermato vicino a Verona. E' in attesa di estradizione
6 settembre 2007
Luisa Morgantini
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

>La fuga di Yona Boaz, magnate dell'edilizia e amministratore delegato della più grande compagnia di costruzioni israeliana, Heftsiba, ricercato da settimane e accusato di avere organizzato una colossale truffa in Israele, è finita nella notte del 30 agosto a Castelnuovo del Garda, vicino Verona, quando l'imprenditore 47enne è stato arrestato. Contro di lui, che si era allontanato da Tel Aviv alla fine di luglio facendo perdere le sue tracce, pendeva un mandato di cattura internazionale emesso il 12 agosto dalla magistratura israeliana in relazione allo scandalo di cui sono rimaste vittime almeno 500 famiglie che hanno versato sui suoi conti oltre 50 milioni di euro di caparra per l'acquisto di appartamenti mai costruiti. I soldi, infatti, venivano spostati su altri conti e utilizzati per scopi personali da Yona, che ora è accusato di truffa aggravata, concorso in frode, furto, false entrate nei documenti aziendali. Fin qui la storia nota.
La storia meno conosciuta è che la Heftsiba, come molte altre società edili israeliane, ha basato i suoi affari principalmente sulla costruzione di buona parte degli insediamenti sul territorio palestinese occupato: solo nel 2006 nell'area di Gerusalemme Est la società ha costruito 330 nuove abitazioni a Har Homa, 180 a Maaleh Adumim, e altre a Beitar, Adam, Barkan, Efrat, Ariel. In tutta la West Bank, nonostante il trasferimento dei civili israeliani sia illegale per il diritto internazionale, ogni anno il numero dei coloni è cresciuto di quasi il 5,5%, arrivando nel 2007 a circa 450.000 israeliani (2,4 milioni di palestinesi). Attualmente il 38% della Cisgiordania è occupato da insediamenti, check point, basi militari, infrastrutture e aree off limits riservate agli israeliani, che lasciano ai palestinesi, inclusa Gaza, circa il 12% del territorio della Palestina storica, per di più diviso in bantustan difficilmente connessi tra loro, non essendo garantita la libertà di movimento.
In questa politica di costante erosione di terre palestinesi, spesso le più fertili e quelle maggiormente dotate di riserve di acqua, hanno grandi responsabilità le società di costruzioni israeliane.
Non si tratta infatti solo di una logica di occupazione di terre, ma anche di un'occupazione commerciale che approfitta della situazione attuale -controllo militare israeliano e assenza di un'idonea giurisdizione - per fare facili profitti sulla pelle dei palestinesi derubati, delle famiglie israeliane truffate e in aperta violazione della legge internazionale.
Già nel gennaio del 2006, la magistratura israeliana aveva messo i sigilli al cantiere di Heftsiba per la costruzione di 1.500 unità abitative destinate agli ultra ortodossi a Modiin Ilit, definite illegali perché costruite su terreni di proprietà di contadini palestinesi e perché in realtà il progetto prevedeva il doppio delle case di quelle decise dal parlamento israeliano. Nessuna società di costruzioni avrebbe adottato un simile atteggiamento di noncuranza della legge se si fosse trattato di costruire all'interno di Israele. Per questo società come la Heftsiba e i suoi manager non sono gli unici colpevoli: l'indice va levato anche contro le Autorità israeliane, i ministri del Governo e le Amministrazioni locali che hanno creato, tollerandola, questa situazione da Far West selvaggio, facilitata dalla violenza di un sistema -quello israeliano- che con 40 anni di occupazione militare , con la costruzione del muro e la crescita degli insediamenti continua ad annettersi territori palestinesi.
Come a Bil'in, villaggio a nord-est di Ramallah, a circa sei km dalla linea verde che dovrebbe segnare i confini del 1967 -poco lontano proprio dalla grande colonia in continua espansione di Modi'in Illit- che secondo gli accordi di Oslo è classificato come zona A, quindi sotto completo controllo dell'autorità palestinese. Bil'in, negli ultimi anni è diventato il simbolo della lotta non violenta dei movimenti popolari di resistenza locale e internazionale contro l'occupazione e il muro ( www.bilin-village.org), che qui ha eroso circa il 60% delle terre coltivabili ai 1600 abitanti del villaggio, prevalentemente agricoltori. Un vero e proprio furto di terre, emblematico di quanto sta accadendo ai villaggi palestinesi in tutti i Territori Occupati grazie proprio a società di costruzioni senza scrupoli come la Heftsiba, all'impunità spesso garantita loro dalle Autorità israeliane e infine al silenzio complice dell'inerte Comunità Internazionale. Le proteste contro il muro, cominciate nel 2005 su iniziativa del comitato popolare del villaggio e appoggiate dai pacifisti israeliani e internazionali (lo scorso aprile la Seconda Conferenza Internazionale), sono continuate ogni venerdì dopo la preghiera, con un corteo che partiva dal villaggio per arrivare il più vicino possibile alla zona in cui il muro è in costruzione, cercando di bloccare le ruspe con azioni di disobbedienza, ma subendo ogni volta attacchi brutali da parte dei soldati, arresti e ferimenti. Proprio grazie ad una petizione e alla resistenza non violenta del villaggio, è arrivata martedì 4 settembre, una sentenza dell'Alta Corte di Giustizia israeliana che ordina di rivedere il percorso di una sezione di quel muro, lunga 1,7 km e costruita sulle terre dei contadini di Bil'in attorno al quartiere di Matitiyahu East, nei dintorni di Modi'in Illit, per proteggerne - secondo le motivazioni del Governo israeliano - i residenti. In realtà il muro occupa qui 260 dunams (1 dunam = 1000 mq) della terra del villaggio ed impedisce l'accesso ad altri 1.700 dunam dei campi coltivati e degli orti tra la barriera e la linea verde. Per questo i residenti del villaggio si sono appellati alla Corte che ora intima la distruzione di alcune parti del muro "in un periodo ragionevole di tempo". Una notizia "meravigliosa" hanno commentato dal Comitato di Bil'in, dove si spera però "che la sentenza venga realmente applicata".
Non sono rari, infatti, i casi di inadempienza delle sentenze. E' successo recentemente a sud di Hebron, dove l'esercito israeliano si è rifiutato di rimuovere un muro di cemento, alto 82 cm e lungo 41 km, costruito a ridosso di villaggi di pastori palestinesi, impedendo loro e ai greggi di attraversare la strada 317, di fatto sotto il controllo esclusivo dei coloni israeliani. Nel dicembre del 2006 la Corte aveva chiesto la rimozione di quella parte di muro entro i sei mesi successivi ma "le forze armate israeliane hanno ritardato deliberatamente l'applicazione del decreto"- secondo quanto dichiarato da una nuova sentenza della Corte Suprema, comprovando un comportamento arrogante, irrispettoso di ogni principio di legalità e la chiara volontà di proteggere i coloni contro ogni senso di giustizia. Questi episodi mostrano che Israele al suo interno si articola: le voci che chiedono il rispetto della legalità esistono ma rimangono isolate, inascoltate o addirittura represse dalle forze di sicurezza israeliane, determinando uno pericoloso scontro tra la giustizia e la sua applicazione.
Per questo l'esempio di Bil'in, le proteste e le denunce di attivisti e associazioni, come Peace Now , particolarmente attiva nel denunciare la crescita degli insediamenti, sono fondamentali. Grazie a loro è stata congelata per oltre un anno la costruzione dell'insediamento di Matityahu East, una vittoria che di fatto ha contribuito al fallimento della Heftsiba, a detta degli stessi coloni, che pare stiano cercando di occupare abusivamente gli appartamenti incompiuti. Ma il rischio ora, come ci ricorda la gente di Bil'in, che esprime forti dubbi sul fatto che una Corte israeliana dichiari tutta la colonia illegale, è che le Autorità israeliane cerchino un'altra ditta costruttrice per terminare l'opera, con o senza Heftsiba. Per questo Mohammed al-Khatib del Comitato Popolare di Bil'in e la gente del villaggio chiedono all'Italia di assumere il caso di Yona Boaz, di denunciarlo per violazione del diritto internazionale o crimini contro l'umanità, ricordando che la sua ditta ha rubato non solo i soldi degli israeliani, ma anche le terre dei palestinesi . Yona, che è ora rinchiuso nel carcere di Verona comparirà probabilmente il prossimo 10 settembre in una corte a Milano per dichiarare se intenda o meno resistere all'estradizione. Se non lo facesse potrebbe venir estradato entro pochi giorni in Israele, dove, come spiega il sito del Jerusalem Post , potrebbe scontare una pena fino a 27 anni di carcere per i reati di truffa, ma naturalmente senza alcun riferimento alla violazione del diritto internazionale, al furto delle terre palestinesi, alle pratiche illegali che sono parte integranti dell'occupazione israeliana tuttora in corso in Cisgiordania.
La sentenza della Corte Suprema israeliana sul muro a Bil'in, la vittoria del Comitato popolare del villaggio e il caso Yona rappresentano un'occasione in più per chiedere al nostro di Governo esprimersi nettamente contro l'occupazione militare e il muro, e la visita oggi a Roma del neo-presidente Shimon Peres, dovrebbe anche essere un'occasione per presentare una protesta uffici alle alle Autorità israeliane.
Ma anche i movimenti pacifisti, le associazioni per i diritti umani, giuristi, partiti dovrebbero mobilitarsi per aiutare il movimento di resistenza popolare non violenta di Bil'in ad avere dei risultati concreti e impedire che con la continuazione dell'illegalità della costruzione delle colonie si precluda ogni possibllità alla pace e alla fine dell'occupazione militare dei territori palestinesi.

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