I giochi col fuoco di Olmert e Barak
Una guerra fra Israele e Siria può scoppiare in qualsiasi momento. Non perché Israele e la Siria la vogliano, ma perché uno di loro può fare una provocazione sbagliata che spingerà l'altro alla guerra. E nessuno può prevedere come andrebbe a finire.
Quasi ogni giorno il primo ministro israeliano e il ministro della difesa affermano che Israele non è interessato alla guerra. Assolutamente. Neanche per sogno. I capi della intelligence israeliana riferiscono che, a quanto ne sanno loro, la Siria non ha intenzione né interesse, al momento, di iniziare una guerra.
Dal «basso» non ci sono pressioni per una guerra. L'opinione pubblica israeliana la teme e, pare, anche la popolazione siriana.
E allora da dove viene tutto questo chiacchericcio quotidiano sulla guerra? Perché i media in Israele e nel mondo parlano di «tensioni sul confine settentrionale di Israele»? Perché l'esercito israeliano è freneticamente impegnato in manovre militari sul Golan? Perché ci sono rapporti su un rapido ammassamento di armi da parte della Siria? Perché il governo turco s'affretta a offrisi di mediare fra Israele e Siria? Tutto molto misterioso.
Sembra che la chiave di questo mistero non sia a Gerusalemme o Damasco, ma a Washington.
Quando Ehud Olmert rifiuta di rispondere alle serenate di Bashar al-Assad, insinua che sia il presidente Bush ad avere proibito ogni contatto con i siriani. L'anno scorso l'America ha spinto Israele alla guerra contro il Libano, ha ostacolato qualsiasi rapido cessate-il-fuoco e, così è sembrato, era interessata a estendere la guerra alla Siria.
La Siria appartiene, naturalmente, all' «asse del male» di Bush. I suoi alleati arabi gli dicono, inutilmente, che questo è un errore: la Siria sunnita non è un alleato naturale degli sciiti iraniani. Ha bisogno di loro solo perché gli Usa la stanno isolando. Damasco si serve degli hezbollah sciiti, gli spiegano, solo per poter esercitare una pressione su Beirut e Gerusalemme. La logica dice che è negli interessi degli Usa agevolare una pace fra Israele e Siria per spingere la Siria ad allentare l'abbraccio dell'Iran. Ma Bush non ascolta.
Forse egli sta spingendo Olmert verso una guerra con la Siria per distogliere l'attenzione dal suo personale fiasco iracheno, che peggiora di giorno in giorno. O forse è interessato solo a creare qualche tensione artificiale per provocare la caduta del regime di Assad. L'obiettivo principale è mettere in sella un'altra democrazia araba, tipo Egitto, Giordania o Arabia saudita.
La domanda è: perché Israele sta al gioco?
La figura centrale di questa partita è Ehud Barak. Le sue connessioni con la Siria non sono di ieri. Otto anni fa, da primo ministro, accarezzò l'idea di fare la pace con la Siria. Negoziò con Hafez al-Assad e - sorpresa - le due parti arrivarono alla soglia di uno storico accordo di pace. Il Golan sarebbe stato restituito ai siriani, i coloni israeliani rimossi, un altro importanto paese arabo avrebbe potuto vivere in pace con Israele.
Ma poi tutto franò. Il pretesto fu che il vecchio Assad voleva arrivare fino al lago di Tiberiade. Ma la vera ragione fu Barak, che batté in ritirato all'ultimo istante e si lanciò nell'irresponsabile avventura di Camp David, che allora io definii «una pace criminale». Dopo il fallimento di Camp David - a causa della sua incredibile arroganza e disprezzo per gli arabi - si inventò il mantra: «Non abbiamo un partner» per la pace. Non ci può essere pace con i palestinesi, come non ci può essere pace con i siriani. Lo diceva l'ultra-ultra-destro Yitzhak Shamir: «il mare è sempre il mare, gli arabi sono sempre gli arabi».
Il mantra distrusse il movimento della pace israeliano e causò danni irreparabili.
Olmert tiene Barak fuori dal gioco e s'impegna con Mahmoud Abbas. Barak replica escludendo l'idea della pace con i palestinesi. Dice che non si pone perché uno Stato palestinese seppellirebbe Israele sotto una pioggia di missili. Quel che accade oggi a Sderot accadrebbe domani all'aeroporto di Tel Aviv, che è a pochi chilometri dalla Linea verde. Questo significa che la pace si potrà fare solo quando Israele avrà un sistema di difesa impenetrabile ai missili di corto raggio palestinesi. Quando? Entro pochi anni. La pace nei prossimi tre anni? O trenta? O trecento?
Nel frattempo Olmert va avanti con i suoi giochi. Ogni giorno qualche nuovo palloncino sale in cielo: proposte di pace, principi per la pace, accordi di pace. Tutti discorsi che non tengono conto della realtà di oggi.
E' Bush, di nuovo, a spingere Olmert in questa direzione. E' lui che vuole la tensione fra Israele e Siria; lui che esige qualche riscontro positivo alla sua «visione» del «processo di pace» fra israeliani e palestinesi. Il tutto, fra sorrisi e abbracci, per dimostrare che in fin dei conti Bush sta vincendo, che la sia «visione» sta prendendo forma. Questo è buono per Bush, per Olmert, per Abbas.
Per chi non è buono? Per i palestinesi, schiacciati sotto il giogo dell'occupazione. La miseria della striscia di Gaza si fa ogni giorno più drammatica, mano a mano che diviene chiaro il piano per provocare il collasso totale, l'anarchia e la caduta di Hamas. La situazione della popolazione della Cisgiordania non è molto migliore. I blocchi stradali restano dove sono, idem le colonie e gli avamposti ebraici. La rete di strade «per soli israeliani» si fa più lunga, la costruzione del muro è in pieno corso.
La più crudele espressione della situazione nei territori occupati sotto Olmert e Barak, sono gli assassinii quotidiani. Quasi non passa giorno senza nuove atrocità. Storie che sono diventate routine, ignorate dalla stampa. Non fanno più notizia.
Ci si poteva aspettare qualche reazione rabbiosa di fronte ai vuoti giochi del «processo di pace». Dopotutto, qualsiasi persona raziocinante sa che se Abbas non raggiunge qualche risultato politico concreto, Hamas lo caccerà fuori dalla Cisgiodania come ha fatto a Gaza, e questo si suppone dovrebbe spaventare gli israeliani. Ma loro non sono spaventati. Hamas vincerà? E allora? Gli arabi sono sempre gli arabi.
La Siria ha missili che possono raggiungere ogni punto di Israele. Anche Tel Aviv. Anche la centrale nucleare di Dimona. Una guerra con la Siria non sarebbe una passeggiata. E allora? La gente non se ne cura. Barak dice che non ci sarà la guerra, ma forse la guerra ci sarà. Però sarà solo per un leggero errore di calcolo...
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