Palestina

Anticipazione: Al Mawasi, Striscia di Gaza

La vita impossibile in una enclave isolata

Quella che segue e’ un’anticipazione dal report di B’Tselem - The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories (l’Organizzazione israeliana per l’informazione sui diritti umani nei Territori occupati) - su al-Mawasi, un’area palestinese situata nel sud della Striscia di Gaza, circondata dagli insediamenti israeliani di Gush Qatif (il blocco di Qatif).
Presto sara’ pronta la versione italiana dell’intero rapporto.
La traduzione e’ a cura del Go’el – Ass. Papa Giovanni XXIII
B’tselem
Fonte: http://www.b'tselem.org - 05 aprile 2003

Introduzione

Al–Mawasi e’ una piccola area nella parte meridionale della Striscia di Gaza, larga un chilometro e lunga quattordici. Confina con Deir al-Balah a nord, Rafah e l’ Egitto al sud.

Il blocco di insediamenti israeliani di Gush-Qatif e’ abitato da circa 5300 coloni ed e’ situato ad est di al-Mawasi (a ovest c’e’ il mar Mediterraneo – ndr). Al Mawasi e’ divisa in due sezioni, chiamate cosi’ per la loro collocazione topografica: al-Mawasi–Khan Yunis a nord e al-Mawasi-Rafah a sud. L’ area di al-Mawasi e’ molto ricca di acqua e possiede le terre piu’ fertili di tutta la Striscia di Gaza. Circa 5000 palestinesi vivono in questa comunita’.

Vista la prossimita’ con l’ insediamento di Gush-Qatif, gli accordi di Oslo hanno dato ad al-Mawasi uno status particolare, differente rispetto al resto della Striscia di Gaza. L’Autorita’ Palestinese e’ responsabile per l’amministrazione civile mentre Israele per quella militare, come per le zone “B” della Cisgiordania.

Le infrastrutture di al-Mawasi sono arretrate. Solo il 15% delle case sono allacciate alla rete elettrica israeliana, le altre sono collegate a due generatori forniti dall’ Autorita’ Palestinese. Questi generatori funzionano solo la sera: sia per ridurre i costi che per la difficolta’ di trasportare nell’area il carburante necessario a far funzionare i generatori. Le cabine telefoniche sono rare. In seguito alla costruzione dell’insediamento di Gush-Qatif, Israele ha costruito nuove strade nella zona che possono essere usate solo dai coloni e dall’esercito.

Dall’inizio dell’intifada al-Aqsa (la seconda intifada – ndr) l’Idf (Israeli Defence Force, l’esercito israeliano – ndr) ha installato nei Territori occupati dozzine di posti di blocco e ha interrotto centinaia di strade utilizzate dai palestinesi, in modo tale da limitare pesantemente la circolazione tra un villaggio e l’altro. L’Idf ha imposto coprifuoco prolungati in Cisgiordania e impedisce, con poche eccezioni, ai palestinesi di entrare in Israele. Nella Striscia di Gaza, l’Idf ha proibito ai residenti di lasciare la zona per entrare in Israele (tranne pochi casi), e consente via Rafah l’ingresso in Egitto solo a prezzo di grandi difficolta’. L’esercito periodicamente taglia la Striscia di Gaza in tre parti e proibisce alla gente di spostarsi da una parte all’altra.

L’Idf ha posto restrizioni ulteriori agli abitanti di al-Mawasi. L’ingresso nella zona e’ permesso solo attraverso un check-point (il check point di Tufah – ndr) e a condizioni fissate dall’esercito: i criteri possono cambiare in qualunque momento. A causa delle lunghe code e del limitato numero di ore in cui e’ aperto il check-point anche qui i palestinesi che “hanno i requisiti” per entrare non hanno mai la certezza di poterlo fare.

Il seguente rapporto si propone di descivere le difficili condizioni, per lo piu’ sconosciute all’opinione pubblica, in cui si trovano i residenti di al-Mawasi. Le estreme restrizioni di movimento affliggono quasi ogni aspetto della vita quotidiana e violano diritti umani fondamentali quali il diritto al lavoro, all’educazione, il diritto di ottenere cure mediche fondamentali.

B’Tselem ha dovuto superare numerose difficolta’ per preparare questo rapporto. L’ingresso ad al-Mawasi e’ limitato ai soli residenti, con pochissime eccezioni.
Solo uno dei nostri ricercatori e’ stato in grado di entrare per raccogliere testimonianze, e a prezzo di grandi difficolta’. A differenza di altre zone dei Territori occupati, molti abitanti esitano a rilasciare testimonianze: molti di quelli che lo hanno fatto hanno chiesto di rimanere anonimi per paura di rappresaglie.

Il rapporto prende in esame le restrizioni alla liberta’ di movimento: la loro consistenza temporale, in che misura siano tollerate secondo i principi della legge internazionale e le ripercussioni di tali restrizioni sui residenti in termini di diritti umani.

[...]

Gli sforzi che sono stati necessari al ricercatore israeliano Raslam Mahagna per attraversare il check-point di Tufah danno una pallida idea del tipo di difficolta’ che si trovano ad affrontare gli abitanti.

Raslam Mahagna arriva al check-point alle 11:30 della mattina del 24 ottobre 2002. Si e’ precedentemente accordato con alcuni funzionari dell’Ufficio del portavoce dell’Idf (Israeli defense force, l’esercito israeliano –ndr), che gli hanno promesso che avrebbero provveduto a fargli avere un permesso di entrata. Alle 15:00 gli viene concesso il permesso col quale potra’ rimanere nell’area di Mawasi fino alle 16:00. Considerato il poco tempo a disposizione chiede di poter tornare il mattino dopo. Riesce a raggiungere un accordo con l’Ufficio del portavoce dell’Idf: potra’ rientrare alle 8:30 del giorno seguente. Ecco, secondo la testimonianza dello stesso Mahagna, quello che succede il giorno dopo:

“Il venerdi’ arrivo al check-point di Tufah, alle 8:15. Sono passato da Gaza a Khan Younis attraverso il check-point di Kfar-Darom, senza particolari problemi o ritardi. Quando arrivo a Tufah incontro, ad aspettare, le stesse persone del giorno prima ed alcuni automezzi in attesa di caricare merce da al-Mawasi. Ho parlato con Nir, addetto dell’Ufficio del portavoce dell’Idf: i soldati di guardia hanno il mio nome, dunque posso attraversare tranquillamente il check point ed entrare ad al-Mawasi. Gli ho spiegato come e’ fatto il check point e che, siccome non e’ possibile vedere i soldati di guardia, e’ pericoloso attraversare la porta di ferro senza accordarsi con loro e senza che i soldati dentro la torretta sappiano chi sono. Da dove mi trovo e’ impossibile vedere i soldati.

Loro sono dentro una torretta metallica, e, a quanto sembra, anche dietro ad alcuni sacchi di sabbia sparsi lungo il check-point. Aspetto per un’ ora prima che Nir dia il via libera per avvicinarmi dopo che mi ha descritto ai soldati. Dice anche di tenere la mia carta di identita’ [israeliana] ben in vista in una mano: per questo motivo devo lasciare la mia macchina fotografica e porto solo il quaderno per gli appunti. Metto il cellulare in tasca. Avanzo lentamente verso il check point, le mani alzate, in una la mia carta di identita’, nell’altra il quaderno. Dopo circa trenta metri, da una delle torrette sento gridare in arabo di fermarmi. Mi fermo e spiego in ebraico ai soldati che ho ricevuto il permesso di entrare dall’Ufficio del portavoce dell’Idf e che [i soldati al check-point] hanno il mio nome. Non riesco a vedere il soldato. A quanto pare e’ dentro una delle torrette. Mi dice di non muovermi ed aspettare. Parla ebraico. Dopo pochi minuti mi dice di tornare indietro. Dice che non ho il permesso di entrare. Provo ancora a spiegargli che ho un permesso dell’Ufficio del portavoce dell’Idf. Ma mi grida, stavolta piu’ forte, di tornare da dove vengo.

Torno indietro e richiamo Nir. Gli racconto quanto successo e lui promette di risolvere tutto velocemente. Trenta minuti piu’ tardi mi dice di ritornare al check-point. Ripeto la procedura ma lo stesso vengo rimandato indietro, provo quattro volte senza successo. Poi finalmente alle 13:15 i soldati mi lasciano passare”.

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