Attacco israeliano a Gaza: una rivalsa sui fallimenti strategici
Una corretta analisi della guerra lanciata da Israele contro Gaza non può fermarsi alla lettura data dal governo israeliano, che presenta questa aggressione come una legittima reazione al lancio di missili palestinesi contro le città del sud di Israele.
Questa teoria non si limita a garantire una giustificazione politica e morale alle uccisioni di massa attualmente in corso: presentare questa guerra come un atto difensivo, riducendola ad un meccanismo di azione-reazione, ha effetti tangibili sulle reazioni delle istituzioni internazionali e di alcuni paesi arabi.
Infatti, nonostante le Nazioni Unite e l’Unione Europea definiscano l’offensiva come un “terribile uso di potere”, nessuna condanna esplicita, spiegabile alla luce di una violazione della legge internazionale, è stata fino ad ora emessa.
Anche parte del mondo arabo, pur esprimendo solidarietà e vicinanza alla situazione palestinese, non ha comunque preso una posizione chiara nei confronti di Israele, mostrando di fatto una silente collusione.
L’analisi promossa da Israele estrapola volutamente l’aggressione dal suo contesto. Contesto che, specialmente nei due anni seguenti la vittoria elettorale di Hamas del 2006, è stato caratterizzato da drastici peggioramenti della condizione palestinese. All’ascesa al potere di Hamas sono infatti seguiti una serie di provvedimenti volti a colpire non solo il partito, ma l’intera popolazione di Gaza: il governo democraticamente eletto è stato boicottato e sono state fomentate le divisioni tra Hamas e Fatah; l’economia è stata immobilizzata e, di fatto, schiacciata dall’embargo; gli accessi alla Striscia di Gaza sono stati chiusi, impedendo anche l’ingresso di beni di prima necessità; ripetuti attacchi militari e omicidi extra giudiziali sono stati messi in atto dall’esercito israeliano.
Isolando l’azione militare dal contesto entro il quale si muove, Israele mira a nascondere le strategie politiche che sono alla base dell’attacco stesso. Strategie delineate conformemente alla politica americana in Medio Oriente. La guerra a Gaza ha infatti un forte valore simbolico per la politica conservatrice israelo-americana: essa si propone di diventare una compensazione per la sconfitta schiacciante subita in Libano da Hezbollah nell’estate del 2006. Questa sconfitta non solo ha messo in discussione l’immagine ed il potere deterrente della forza militare israeliana, ma ha anche creato un clima di contrarietà da parte dell’opinione pubblica. In qualche modo l’attacco a Gaza rappresenta una rivalsa anche per la politica americana: le grosse perdite registrate in Iraq e in Afghanistan necessitavano una compensazione attraverso un’azione vincente in Medio Oriente.
Identificare in Hamas il “nemico terrorista” permette ad Israele di far rientrare la guerra in atto all’interno della “guerra al terrorismo” portata avanti dalla comunità internazionale ed in particolare dagli USA.
In realtà le vittime di questo attacco non sono solo le frange armate di Hamas, ma tutti i movimenti di resistenza e i civili che rifiutano di piegarsi all’occupazione ed alla logica israelo-americana di “riconciliazione palestinese” (rovesciare il governo Hamas per un governo gradito alla leadership israeliana). La guerra a Gaza è quindi prima di tutto una guerra politica.
La difficile ma risoluta resistenza di tutto il popolo palestinese simboleggia la resistenza di tutte quelle persone che si oppongono alle logiche imperialistiche e riflette la resistenza degli oppressi chiamati a pagare il prezzo delle politiche capitalistiche in tutto il mondo.
Alla luce di tutto ciò, e’ giusto chiedersi: quali sono la risposta ed il compito di tutte le forze, le istituzioni, le nazioni e i popoli che credono nella libertà e nella giustizia a livello globale?
Questa domanda evidenzia il ruolo fondamentale che ricopre l’opinione pubblica nel mondo arabo, in Europa e negli USA. Ruolo che ha bisogno di essere supportato e direzionato dalle forze democratiche e dalle istituzioni, al fine di rimuovere il “velo di legittimità” che Israele ha posto su questa guerra. Non meno importante è l’impegno dei movimenti ebraici e antisionisti nel rinnegare le azioni aggressive compiute in loro nome.
In questo momento Gaza è in prima linea nella battaglia per la libertà di tutti i popoli. Ciò che sta accadendo non è un semplice scontro tra Israele e i “terroristi”. E’ piuttosto uno scontro tra una strategia ed una forza egemonica e arrogante da un lato e forze di resistenza e libertà dall’altro. In una simile situazione, non ci sono spazi per zone grigie: le scelte e le risposte devono necessariamente essere chiare e definitive.
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