Palestina

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Veglia quotidiana a Beit Sahour

Come ogni giorno da più di una settimana, il 6 gennaio circa 40 volontari palestinesi e internazionali si sono incontrati nella piazza Suq Sha’ab al centro di Beit Sahour in segno di solidarietà a Gaza.
9 gennaio 2009
Sofia Filocalossi
Fonte: Go'el Apg23 - Aic

Dopo la consueta veglia con candele e canti della resistenza palestinese, grazie ad un membro del IMEMC (International Middle East Media Center) i volontari hanno partecipato ad un incontro via skype con Rami Almeghari, corrispondente da Gaza per Electronic Intifada, IMEMC e Free Speech Radio News e docente di comunicazione e politica all’Università Islamica.
Rami ha portato la sua testimonianza diretta per raccontare al pubblico la situazione attuale di Gaza, troppo spesso mostrata dai media occidentali in modo parziale e non veritiero.
Rami vive nel campo profughi di Maghazi, nella zona centrale della Striscia. La sua famiglia nel 1948 ha dovuto abbandonare il villaggio originario di Karatiya a causa dell’occupazione dall’esercito israeliano. L’area circostante il campo profughi ha subito numerosi bombardamenti, ma l’invasione terrestre, iniziata il 3 gennaio scorso nella parte nord della Striscia di Gaza, non ha ancora raggiunto la zona di Maghazi, quindi Rami non è testimone diretto degli scontri in corso. Nelle sue parole si legge la frustrazione di essere uno spettatore impotente del “massacro di innocenti che sta avvenendo a pochi chilometri da casa sua, del genocidio che sta decimando il suo popolo e che ogni giorno aggiunge nuovi nomi alla lunga lista di vittime di questo ingiustificato attacco”.
Essere corrispondente a Gaza diventa sempre più difficile. Ogni giorno si è posti di fronte alla scelta tra l’obbligo morale di riportare quanto accade e la necessità di evitare il pericolo per poter continuare a farlo. La diffusione di un’informazione alternativa a quella presentata dai media israeliani ed occidentali è ulteriormente compromessa da difficoltà pratiche e logistiche: la libertà di movimento è drasticamente ridotta e la mancanza di elettricità non permette una continuità nella comunicazione con il mondo esterno, creando un sentimento di profondo isolamento. Queste limitazioni hanno effetti ancora più devastanti quando vanno a intaccare la capacità di fornire cure mediche alle migliaia di feriti. Aggiornare il numero delle vittime e quantificare i danni è molto diffcile per il corrispondente dell’IMEMC; di fatto lo scenario cambia continuamente con l’aggravarsi dello stato di assedio.
Rami ha ricordato al pubblico presente quanto sia importante considerare la condizione palestinese nella sua interezza: l’attacco a Gaza non è che l’ultimo drammatico episodio nella lunga serie di aggressioni cui i palestinesi della Striscia e della Cisgiordania sono quotidianamente sottoposti da oltre 60 anni. Concentrare l’attenzione su Gaza, confinando il conflitto entro quei pochi chilometri quadrati significherebbe ignorare le continue violazioni dei diritti umani che coinvolgono l’intera popolazione, permettendone il perpetrarsi.

Mentre parla, Rami si appella ai volontari internazionali che lo ascoltano in silenzio, e sottolinea l’importanza dell’intervento della comunità internazionale che deve opporsi ai crimini e alle violenze commesse da Israele, tuttora impuniti. La semplice condanna morale cui si sono limitati gli attori internazionali fino ad ora non è sufficiente, occorre un’azione immediata e concreta per non diventare silenti complici dei massacri di Israele.
Quando si chiude il collegamento, nonostante il ritratto drammatico della situazione, nonostante le morti e le paure crescenti, resta chiara tra i presenti la sensazione che i palestinesi continueranno la loro resistenza, saldi e risoluti contro l’occupazione e contro l’ennesimo tentativo di negare il loro diritto all’autodeterminazione.

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