Gli ultimi sedici giusti
Niente lealtà, niente cittadinanza: questo l'impegno per cui Yisrael Beiteinu è stata promossa terzo partito e perno degli equilibri di governo. Dopo il giuramento di fedeltà "a Israele come stato ebraico e democratico", introdotto a ottobre per i nuovi immigrati, arriva dunque la commissione di inchiesta per scandagliare "l'attività di associazioni che mirano alla delegittimazione di Israele attraverso la diffamazione dell'esercito". E altri disegni di legge sono prossimi all'ordine del giorno: il divieto di commemorazione della nakbah, multe per chi aderisce a iniziative di boicottaggio, il respingimento alla frontiera degli internazionali che agiscono, si specifica con l'usuale vaghezza, "contro Israele". Ma le associazioni che denunciano crimini di guerra, in realtà, sono legate a Hamas e Hezbollah, ha chiarito Fania Kirshenbaum, firmataria della proposta: il loro obiettivo è sfibrare l'esercito: "questo voto è una vittoria per Israele e la sua sicurezza". Come Pirro, re dell'antica Grecia, avrebbe dovuto aggiungere: un'altra vittoria come questa e siamo perduti.
Un'incursione parlamentare. Per schivare uno scomodo dibattito all'interno della maggioranza di governo, che già si era divisa sulla questione del giuramento di fedeltà, la proposta è stata formalizzata lunedì e adottata mercoledì, con 47 deputati a favore e 16 contrari. "Una coalizione di gruppi internazionali e israeliani", sostiene il testo, "strumentalizza il discorso sui diritti umani per minare la legittimità dell'operato dell'esercito, invitando alla diserzione e bollando soldati e comandanti come criminali". Una commissione di inchiesta sarà quindi chiamata a esaminare, con poteri che è adesso competenza della Knesset individuare, "le attività di questi gruppi e di singoli attivisti, e le loro fonti di finanziamento". A sinistra Nitzan Horowitz, di Meretz, ha definito la commissione di inchiesta "una vergogna" e rispedito ogni accusa al mittente: "sono queste le iniziative che logorano la legittimità di Israele nel mondo", ha dichiarato, mentre sedici tra le associazioni probabilmente oggetto delle future indagini, da B'Tselem a Machsom Watch a Breaking the Silence, hanno reagito senza scomporsi: "controllate, controllate tutto: non abbiamo niente da nascondere", hanno scritto: "d'altra parte leggere i nostri report", hanno concluso ironici, "vi sarà utile". Avrebbero dovuto essere trentasei in realtà, un po' di più, secondo il Talmud, i giusti che trattengono Dio, sconfortato dall'esito della sua creazione, dall'incenerire gli uomini. Ma l'argine alla deriva autoritaria, in Israele, si fa ogni giorno più fragile e friabile: la notizia della commissione di inchiesta è stata travolta rapida da altre, e non è rimasto che il puntuale editoriale di sdegno di Gideon Levy. E certo non finirà nei titoli di apertura, martedì, l'ingresso in carcere di Jonathan Pollak, un'icona del movimento contro l'occupazione: tra le prime vittime di questo crescendo di caccia alle streghe, è stato condannato a tre mesi per una manifestazione in bici per le strade di Tel Aviv. Ha rallentato il traffico: questa la motivazione dei giudici. Non si sono registrati incidenti: la sola ragione dell'arresto sono le sue opinioni politiche. "Come Liu Xiaobo", ha precisato Uri Avnery.
La sovversione della realtà. Secondo Fania Kirshenbaum, "questi gruppi hanno fornito informazioni e documenti alla commissione Goldstone e sono dietro le incriminazioni formulate in Europa contro ufficiali e funzionari israeliani". In realtà, la sezione del Rapporto Goldstone che ha analizzato il ruolo della polizia durante le manifestazioni pacifiste, le perquisizioni di sedi di associazioni e abitazioni di attivisti, e soprattutto, il divieto di accesso alla Striscia di Gaza per i giornalisti sia israeliani sia stranieri e le organizzazioni come Amnesty International, una sezione intitolata Repressione del dissenso in Israele, ha sottolineato "l'importanza che queste organizzazioni, che svolgono in condizioni difficili una essenziale attività di monitoraggio, possano lavorare liberamente". Israele era obbligato dalla Carta delle Nazioni Unite a cooperare con la commissione Goldstone - a cui ha invece impedito l'ingresso: e è obbligato adesso dalle convenzioni di Ginevra, come tutti i membri della comunità internazionale, a perseguire non chi ha denunciato, ma chi ha compiuto crimini di guerra. Le associazioni su cui si è deciso di indagare, e le loro alleate europee, non sono affatto "sovversive", dunque, secondo la definizione di Yisrael Beiteinu: sono associazioni, al contrario, a presidio dell'ordine internazionale. "Un colono che ruba terra è un sionista, qui. Un guerrafondaio di destra un patriota. Un rabbino che incita all'odio e alla discriminazione nei confronti degli arabi è una guida spirituale. Un razzista che espelle gli stranieri è un cittadino leale. Solo uno di sinistra, in Israele, è un traditore", ha sintetizzato Gideon Levy. Le fonti di finanziamento delle associazioni per la tutela dei diritti umani, inoltre, sono tutte pubbliche, e la loro regolarità certificata: "l'elenco dei nostri finanziatori è online", ha ribattuto Yehuda Shaul, ortodosso che con la sua Breaking the Silence raccoglie testimonianze di soldati di ritorno dal fronte: "diversamente dall'elenco dei finanziatori di Yisrael Beiteinu", ha aggiunto. Negli ultimi anni, infatti, i conti correnti del partito sono stati ripetutamente oggetto di dubbi e indagini della magistratura: e mentre, tra l'altro, i finanziatori di Breaking the Silence sono tutti europei, Avigdor Lieberman non ha mai voluto rivelare il nome del suo "amico personale" che ha contribuito all'ascesa della destra con un controverso milione di dollari. L'uomo misterioso è risultato essere Martin Schlaff, proprietario della metà del casino di Jericho insieme a Mohammed Rashid, il tesoriere di Arafat. Una delle pagine meno trasparenti degli affari occulti che legano certi israeliani e certi palestinesi.
Intanto. Era in realtà un'altra, mercoledì, e molto diversa, la notizia di apertura dei principali quotidiani. Il ministero del Welfare ha illustrato i risultati del primo studio ad ampio raggio sulla povertà in Israele. Una famiglia su cinque, quasi il doppio rispetto a dieci anni fa, ha bisogno di forme di assistenza e sussidio. Dovrebbe essere questo, in parlamento, non la minoranza araba con i suoi sostenitori e difensori, il 20 percento di Israele all'ordine del giorno.
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