Muhammad Ali Taha e la torre di Babele
Provate a cercare in web Muhammad Ali Taha. Troverete Wikipedia con “traduci questa pagina”. Eppure quest’uomo, scrittore palestinese, è tra i più importanti maestri di letteratura araba. Ma lui, come gli altri, non è tradotto, dunque le sue opere non sono distribuite. Non difettiamo di traduttori, ma molto più semplicemente le case editrici occidentali preferiscono non avere rogne. Israele poi, non solo non traduce in ebraico, ma impone totale censura e spesso vere e proprie persecuzioni, dalla confisca dei testi al processare e imprigionare gli autori. Non avere la possibilità di conoscere il pensiero del nostro “altro” può solo voler dire ignorarlo o, peggio, temerlo. Ed è esattamente ciò che oggi ci ha raccontato Ali Taha al 24° salone del libro. Finalmente, per la prima volta nella prestigiosa kermesse letteraria, il Lingotto è riuscito a ottenere un padiglione della Palestina, elegante nella sua semplicità e raffinato per sobrietà.
L’autore ci parla di sé con pacatezza, simpatia, entusiasmo, accogliente spirito amicale: è il suo modo di scrivere. Eppure lui ha vissuto
Dieci anni fa Ali Taha, quale docente per quasi 40 anni, fu invitato da un’insegnante israeliana a raccontare alla classe la sua infanzia. L’insegnante non sapeva che quella scuola era posta proprio nello stesso punto della casa che fu dello scrittore, sulla terra che gli era stata rubata. Fu Ali Taha a riferirlo ai ragazzi. Dalla finestra vedeva il suo prato, il pozzo dell’acqua, i pochi ulivi rimasti. Sommessamente così descrisse la sua storia di ragazzo. Gli allievi erano attenti e qualcuno gli domandò quali sentimenti provasse e se non gli venisse voglia di buttare giù la scuola e riprendersi casa sua. Lo scrittore rispose che in 14 secoli il suo popolo aveva mai distrutto qualcosa e oggi insiste a non farlo, semmai amerebbe costruire. Ciò che vorrebbe fortemente sarebbe il potersi tirare su una casa sua accanto alla scuola, sì da poter condividere con il popolo ebreo la stessa terra. Era pur presente un professore universitario di Haifa che perentoriamente gli rispose che un ebreo tedesco non avrebbe mai potuto vivere accanto a un ebreo polacco, così come uno francese con uno spagnolo, sottintendendo che era inimmaginabile dunque una condivisione di quel genere. C’è di che riflettere e non poco…Sono solo gli insegnamenti che c’inducono a pensare, a ragionare, a discuterli e condividerli con gli altri, dunque a trarre le nostre sacrosante opinioni e infine decidere le nostre scelte. Si preferisce però eliminarne le fonti. Non possiamo e non dobbiamo accettare.
Quale ruolo ha il potere nell’influenzare la letteratura e qual è il potere che resta alla letteratura? Che differenza c’è tra mettere al rogo i libri e il nascondere i loro testi all’umanità? Nessuna.
Sociale.network