Essere giovani in Palestina
Mohamed Akram Abu Salah muore a soli 17 anni, dopo essere stato ferito alla testa dalle forze d’occupazione sioniste (IOF), durante un violento raid nella città di Silat al-Harithiya (Jenin). L’incursione aerea aveva come scopo la demolizione della casa della famiglia di Jaradat, con l’intenzione di punire i suoi due figli (Ghaith e Omar Jaradat) poiché accusati di aver ucciso un colono israeliano il 16 dicembre vicino all’insediamento illegale di Homesh. Violenti scontri si sono verificati tra le forze d’occupazione e i residenti della zona, dopo aver saputo dell’arrivo di bulldozer e di macchine di demolizione. Si sono recati sul posto anche i palestinesi dei villaggi vicini per mostrare solidarietà alla famiglia e per protestare contro la demolizione della casa. Le IOF hanno represso la protesta nel sangue, ferendo 8 palestinesi tra cui anche il 17 enne Mohamed Akram Abu Salah. La Mezzaluna Rossa ha riferito che le IOF hanno ostacolato anche l’arrivo dell’equipe medica, impedendo le cure ai feriti.
In meno di una settimana le forze d’occupazione israeliane hanno ucciso 2 giovani palestinesi, Mohamed Akram Abu Salah e Nihad Barghouti.
Nihad Barghouti è stato colpito all’addome dalle IOF martedì scorso, nel villaggio di Nabi Saleh (nord di Ramallah, Cisgiordania), durante gli scontri. È stato portato nell’ospedale di Ramallah, ma nella stessa giornata è deceduto date le gravi ferite riportate. Il fratello Ehab, con grande tristezza e rabbia, ha comunicato al quotidiano Quds News Network che è stato ammazzato a sangue freddo e senza nessun scrupolo. https://qudsnen.co/34552-2/
Molte volte ci domandiamo, noi che viviamo distanti, che cosa significhi vivere sotto l’occupazione sionista. La storia di Mohamed e di Nihad ci rende testimonianza di come sia imprevedibile e dura la vita in Palestina. I palestinesi sopravvivono alle ingiuste espropriazioni, alle uccisioni illegali, ai trasferimenti forzati, ai continui arresti amministrativi (detenzioni arbitrarie), alle continue sofferenze di bambini e bambine, alla continua discriminazione ed apartheid sionista. Dal 1948, i palestinesi sono continuatamente perseguitati e la comunità internazionale preferisce rimanere cieca di fronte al folle progetto sionista di Israele. I nomi dei due ragazzi palestinesi uccisi si aggiungono alle innumerevoli vite spezzate dall’odio razzista e che nessun politico dall’alto tenta frenare. I grandi media, anche loro, scelgono la strada dell’indifferenza e da tale distacco possiamo comprendere che esiste una certa complicità. I giornalisti, che dovrebbero essere i primi nel raccontare la verità, preferiscono silenziare questo grido di dolore.
Martin Luther King diceva: “Le nostre vite cominceranno a finire il giorno in cui staremo zitti di fronte alle cose che contano”.
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