Hamas attacca Israele. Come tutto è cominciato
Pagine Esteri, 7 ottobre 2023 – Un improvviso attacco con razzi e incursioni è scattato alle prime ore di sabato da Gaza verso decine di località in Israele. Sono stati lanciati da Hamas e altre organizzazioni in pochi minuti centinaia di razzi verso il sud di Israele fino alla periferia di Tel Aviv, razzi diventati, secondo le autorità israeliane, 2.500 in poche ore.
I sistemi di difesa israeliani sono stati colti di sorpresa e diversi razzi hanno colpito vari centri abitati, uccidendo una donna di 70 anni e facendo numerosi feriti. Nello stesso momento, secondo notizie diffuse dai media, almeno 4 unità scelte delle Brigate Ezzedin al Qassam, a bordo di pick-up si sono infiltrate in territorio israeliano ingaggiando combattimenti con l’esercito israeliano, con morti e feriti.
Decine di uomini di Ezzedin El Qassam, l’ala militare di Hamas, sono penetrati in territorio israeliano per molti chilometri, infiltrandosi negli insediamenti israeliani e assaltando la stazione di polizia della città di Sderot. Si sono impossessati di diverse jeep dell’esercito israeliano, portandole dentro Gaza.
Sono 57 al momento, tra civili e militari, gli israeliani catturati dai miliziani di Hamas e portati all’interno Gaza. Non è chiaro se siano tutti vivi.
Il leader di Hamas, Mohammad Deif, ha dichiarato che l’operazione “Tempesta di Al Aqsa” è stata lanciata per rispondere all’occupazione del sito religioso di Al Aqsa e alle azioni dei coloni israeliani che sono penetrati nei villaggi palestinesi, saccheggiando, distruggendo e uccidendo alcuni abitanti. “Questo è il giorno della più grande battaglia per porre fine all’ultima occupazione sulla terra“, ha dichiarato Mohammad Deif, chiamando i gruppi armati palestinesi del Libano alla guerra contro Israele.
Israele ha dichiarato di aver lanciato l’operazione “Spada di Ferro” in risposta all’attacco di Hamas e sono cominciati i bombardamenti della Striscia di Gaza. Nei video pubblicati in rete si vedono decine di corpi tra quelli dei militari israeliani e dei combattenti palestinesi.
Dall’inizio dell’anno, prima di oggi, nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi circa 200 palestinesi, tra i quali civili e bambini. La maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati.
Il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu ha intensificato l’abbattimento delle case dei palestinesi, l’espansione delle colonie illegali, gli arresti e le detenzioni amministrative senza accuse. Ma ha anche consentito e anzi incoraggiato le azioni del movimento dei coloni. Questo si è tradotto, soprattutto sotto la spinta e la protezione del Ministro della sicurezza, l’estremista e suprematista Ben Gvir, in impunità politica e legislativa che ha incentivato azioni violente e provocatorie nei confronti della popolazione araba residente in Israele e di quella palestinese dei Territori. Molti di questi coloni ritengono che Israele debba comprendere l’intera Palestina storica (il territorio di Israele più la Cisgiordania e Gaza palestinesi) e che gli arabi non debbano veder riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini israeliani. Cosa che di fatto già accade, per quanto riguarda i permessi di lavoro, gli spostamenti, i processi, la detenzione e tantissimi altri aspetti che condizionano la vita quotidiana.
“Il mio diritto, quello di mia moglie e dei miei figli, di muoverci sulle strade in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr), è più importante del diritto di movimento degli arabi (i palestinesi sotto occupazione israeliana, ndr)”. Si è espresso con queste parole il ministro israeliano della Sicurezza ed esponente di punta dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, alla fine dello scorso agosto, durante una intervista alla tv Canale 12 sull’aumento della tensione e delle uccisioni in Cisgiordania.
E questa tensione crescente si è trasformata in raid militari senza precedenti negli ultimi anni, come quello dell’esercito israeliano nel campo profughi e nella città palestinese di Jenin, lo scorso luglio, in attacchi palestinesi ai coloni e ai civili israeliani. Ma anche in incursioni e scorribande dei coloni che sono entrati nei villaggi palestinesi, hanno distrutto, incendiato e in alcuni casi uccido residenti. In quei momenti l’esercito israeliano non è intervenuto e, se lo ha fatto, è stato spesso per arrestare e fermare i palestinesi che si opponevano alla distruzione dei propri negozi, delle automobili, dei raccolti, degli alberi di olivo.
Come nel villaggio di Huwara dove, dopo i pogrom di maggio, i coloni sono rientrati, lo scorso giovedì 5 e, guidati da un deputato e protetti dalle forze di sicurezza israeliane, hanno montato una tenda e cominciato a celebrare la festività ebraica dei Tabernacoli, recitando e cantando preghiere nel cuore della notte.
La Moschea di Al Aqsa, luogo sacro per l’Islam, è stato più volte chiuso ai fedeli arabi per consentire “passeggiate” del ministro Ben Gvir e dei coloni, come quella che fece Sharon nel 2000, provocando lo scoppio della Prima Intifada.
Proprio Ben Gvir alla fine di Luglio ha guidato un gruppo di oltre mille coloni ultranazionalisti sul complesso di Al Aqsa, nella Gerusalemme Est occupata. Era il suo terzo ingresso, solo nel 2023 e in quella occasione ha espresso parole minacciose sul futuro del luogo sacro: “Questo posto è importante per noi e dobbiamo tornarci e dimostrare la nostra sovranità. L’unità della nazione di Israele è importante”.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, in un discorso all’ONU tenuto solo pochi giorni fa, il 22 settembre, ha sventolato nella sede delle Nazioni Unite delle mappe di Israele che comprendevano tutta la Palestina storica, con la Cisgiordania e Gaza.
Tutto ciò è accaduto nel silenzio pressoché totale dei governi occidentali, della comunità internazionale e della maggior parte dei governi degli Stati arabi. Questi ultimi hanno anzi spesso espresso soddisfazione e felicità per la normalizzazione dei rapporti con Israele e per le possibilità economiche che queste portano o potrebbero portare.
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