Intervento di Hussam Hamdouna del Remedial Educational Center di Gaza City
Hussam Hamdouna, con cui tra l'altro Operazione Colomba ha collaborato costantemente durante la sua presenza nella Striscia di Gaza, è il responsabile del REC (Remedial Educational Center), un'organizzazione che possiede due centri nel villaggio e nel campo profughi di Jabalyia (Gaza City). Il REC, tramite alcuni programmi specifici e avvalendosi di personale qualificato, si occupa di aiutare i bambini che, per effetto dell'occupazione, hanno gravi problemi psicologici e comportamentali e non possono contare sul sostegno delle proprie famiglie.
Anche quest'estate come per lo scorso anno, se ci sarà possibile entrare nella Striscia di Gaza, vorremmo partecipare al campo estivo che il REC organizza ogni anno.
Ci è sembra molto interessante proporre qui di seguito la relazione del discorso che ha tenuto ieri Hussam perché offre un'analisi particolare un po diversa dal solito degli effetti dell'occupazione sulla popolazione della Striscia di Gaza, prendendo in esame soprattutto le condizioni di vita dei bambini, prime vittime di questo conflitto.
Saluti di pace,
Operazione Colomba
Si può immaginare quali effetti possa avere una situazione del genere sulla popolazione. Non vi parlerò infatti tanto dell'occupazione israeliana in sé, quanto piuttosto degli effetti psicologici di questa sui bambini e le famiglie. I padri in generale diventano più aggressivi e sono meno presenti in casa. Anche le madri diventano più aggressive ma, a differenza dei loro mariti, sono costrette a stare in casa con i propri figli.
Il problema più diffuso tra i bambini è quello dell'insonnia notturna. E' di notte infatti che l'attività militare è più intensa e che avvengono le incursioni, perciò i bambini hanno più paura e la tensione non permette loro di dormire. Di conseguenza, i bambini tendono a stare svegli la notte per poi dormire di giorno quando dovrebbero andare a scuola.
Quasi tutti i bambini hanno problemi di concentrazione: dimenticano immediatamente ciò che studiano, hanno scarsi risultati a scuola, sono molto esitanti quando si tratta di prendere una decisione.
Per quanto riguarda i problemi comportamentali, solitamente i bambini hanno serie difficoltà a comportarsi bene in presenza di estranei. C'è un generale disinteresse nei confronti della scuola e di qualsiasi attività che vi si svolge.
La difficoltà maggiore resta l'incapacità di esprimere le proprie preferenze, di essere se stessi e ascoltare le proprie esigenze. In generale, infatti, quasi tutti i bambini hanno scarsa autostima, pensano di non aver alcun valore, di non contare nulla e sono quindi sempre molto tristi.
Pensano frequentemente alla morte in generale e, più in particolare, a se stessi da morti. Sono bambini aggressivi. Confidano poco nelle proprie capacità e hanno molta difficoltà a fidarsi degli adulti perché non credono che questi possano fare qualcosa per loro.
Soffrono di incontinenza perché la situazione in cui vivono li porta ad accumulare stress interiore che poi non riescono a controllare razionalmente.
In generale all'interno della famiglia c'è scarsa comunicazione e poca sensibilità riguardo i problemi dei bambini, che perdono così la prima e più importante risorsa di benessere, il primo stimolo educativo che dovrebbero trovare nella tranquillità della famiglia. I genitori sono aggressivi e violenti nell'educare i figli. Non incoraggiano i bambini quando hanno un successo e non li spingono a riprovare se falliscono.
Però sono soliti intervenire in questioni esterne, per esempio cercano di decidere per i propri figli il tipo di specializzazione negli studi. Permettono anche l'intrusione di nonni e zii nell'educazione dei figli. Queste intromissioni sono chiaramente negative perché i bambini non riescono più un'unica figura di riferimento e si sentono disorientati. Qualche volta i genitori provano ad educare i figli facendo riferimento alla religione, ma in maniera molto superficiale. Si può facilmente comprendere come i bambini, con tutti questi problemi, non saranno mai in grado in futuro di creare una società funzionante. Certo l'occupazione è il principale problema per la società palestinese, ma è importante non rassegnarsi a questa situazione e fare qualcosa per aiutare i bambini che, essendo il 51% della popolazione palestinese della Striscia di Gaza, vengono visti come l'unica speranza futura. Tutti noi quindi desideriamo che essi crescano con una mentalità aperta dando loro la possibilità di stabilire legami con il mondo esterno. Questo è quello che tentiamo di fare al REC (Remedial Educational Center). Naturalmente abbiamo vari programmi per realizzare il nostro progetto:
- programmi volti al miglioramento della situazione scolastica dei bambini.
- programmi di consulenza ai bambini e alle loro famiglie in cui si fa una valutazione complessiva del bambino (intellettiva, psicologica, del comportamento, delle condizioni di salute,...). Le consulenze che si offrono sono di vario tipo (individuali, di gruppo, famigliari).
- programmi per aumentare le consapevolezza delle madri tramite corsi di aggiornamento organizzati appositamente per loro. In tutti questi programmi specifici coinvolgiamo gli studenti dell'Università di Gaza che svolgono da noi i periodi di tirocinio.
- programmi che prevedono attività ludiche e di svago: disegno, musica, ballo, teatro, campi estivi (in cui viene coinvolta anche la famiglia). In tutti i nostri programmi siamo soliti evitare di avere contatti solo con i bambini, ma preferiamo coinvolgere sempre anche le loro famiglie.
Una frase che mi piace particolarmente è: "Un uomo non può essere veramente uomo se non ha avuto la possibilità di essere bambino quando era bambino". Il nostro obiettivo è quindi quello di far vivere ai bambini la propria infanzia nel migliore dei modi, con la speranza naturalmente che l'occupazione finisca presto.
Domande del pubblico
Qual è il bacino di utenza del centro (lavorate solo nella zona di Gaza City o anche al di fuori) e quante sono le persone che collaborano nella realizzazione dei progetti? Il REC è presente solo a Jabalyia ma con due centri: uno presente da più tempo nel villaggio (Jabalyia Village) e uno più recente nel campo profughi che si è creato a ridosso del villaggio (Jabalyia Camp). In totale nei due centri vengono accolti circa trecento bambini.
Gli educatori sono approssimativamente venti, inclusi psicologi, insegnanti, medici, educatori, ...
A volte abbiamo carenza di personale; per esempio abbiamo un solo psicologo che adesso è in Egitto per un corso di aggiornamento sulla psicologia infantile.
Ci sono interferenze nella vostra attività da parte degli occupanti (sia positive che negative) o avete comunque relazioni con loro?
Jabalyia è la terza località a sud del check point di Erez, dopo Beit Lahia e Beit Hanoun. Tutta questa area a nord di Gaza City è abitualmente teatro di incursioni.
E' rarissimo vedere soldati a terra e poter avere un contatto con loro, ma la loro presenza è permanente e massiccia a bordo di mezzi pesanti quali blindati, tank, apache, aerei F16, ... In questo ultimo periodo quasi tutte le notti, quando non c'è un'incursione, gli apache sorvolano comunque per molte ore la zona e nessuno può sapere cosa faranno finché non si ritirano. Potete immaginare gli effetti psicologici di questa situazione sulla gente.
Come è possibile educare i bambini ai valori del rispetto, della collaborazione, della tolleranza quando vivete in un luogo dove la realtà vi sconfessa continuamente, quando si vive continuamente a contatto con la violenza?
Non abbiamo solo un concetto teorico della democrazia e della non-violenza, ma abbiamo intenzione di applicarle concretamente. Nell'ultimo campo estivo per esempio, abbiamo insegnato ai bambini quali sono i diritti umani fondamentali. Prima facciamo loro capire che hanno perso dei diritti, poi chiediamo di proporre una soluzione per riappropriarsene. Noi lasciamo che loro si esprimano liberamente e molti dicono: " andrei a combattere, andrei a farmi martire, ...".
Quindi interveniamo facendo capire qual è la soluzione migliore. Ricordiamoci che sono bambini che hanno perso i loro diritti e hanno bisogno di essere accompagnati costantemente in questo percorso.
Alla fine del campo estivo dello scorso anno, i bambini hanno scritto dei messaggi in cui facevano le loro richieste personali al mondo e poi li hanno messi in lanterne che hanno lasciato in mare nel porto do Gaza. In questa attività abbiamo coinvolto anche le madri.
Cerchiamo sempre di far comprendere che nel mondo ci sono tanti bambini che soffrono quanto loro, ma che ci sono anche tante persone che possono ascoltarli e aiutarli.
Anche quest'anno ci sarà il campo estivo che però sarà leggermente diverso rispetto a quello degli altri anni perché sono previsti due livelli:
- Ail gruppo dei bambini che metterà in pratica i propri diritti attraverso il gioco (con la partecipazione anche delle madri).
- cinque nuovi gruppi composti da:
- le madri;
- i padri;
- gli studenti dell'università;
- gli studenti delle scuole superiori;
- gli anziani (più di 50 anni).
Come sono le relazioni con le altre associazioni che si occupano di educazione e con gli insegnanti delle scuole?
Abbiamo buonissimi rapporti con la scuola pubblica. Per quanto riguarda le altre organizzazioni, già sei campi estivi sono stati gestiti in collaborazione con altre organizzazioni non governative.
Quest'anno verranno coinvolte altre organizzazioni che manderanno bambini con le madri e i padri.
In futuro si spera di riuscire a coinvolgere tutte le organizzazioni che lavorano nella zona di Jabalyia.
Per quale motivo è più facile lavorare con le madri?
Perché tradizionalmente nella società araba il padre dovrebbe avere la responsabilità delle relazioni all'interno della famiglia e tra la famiglia e il mondo esterno. La situazione che si è creata conseguentemente all'occupazione però gli ha fatto perdere questa autorità. I padri difficilmente accettano e ammettono questa debolezza e rifiutano qualsiasi aiuto dall'esterno, vedendolo come un'imposizione, una mancanza di rispetto e un affronto alla sua dignità.
Fate campi estivi anche al di fuori della Striscia di Gaza?
Tramite la Regione Emilia Romagna abbiamo mandato alcuni bambini a fare campi estivi a Bologna e a Grottammare. Al loro ritorno abbiamo notato un gran cambiamento tanto che pensiamo di ripetere quell'esperienza in maniera più scientifica sottoponendo i bambini a test psicologici prima della partenza e dopo il loro arrivo. Abbiamo dei criteri di selezioni secondo i quali cerchiamo di dare priorità ai bambini con le situazioni più critiche che hanno reale e urgente bisogno di evadere.
Per esempio abbiamo avuto il caso molto difficile di un bambino che esprimeva continuamente il suo desiderio di diventare martire. Aveva anche un buon rapporto con la madre la quale però non aveva alcuna autorità su di lui. Dopo il campo all'estero lo abbiamo ritrovato molto cambiato e ha iniziato addirittura a collaborare con la madre.
Possiamo dire di essere riusciti a salvare questo bambino.
La vostra attività trova resistenza e opposizione nella società palestinese? Da parte di chi e in che modo?
Abbiamo buone relazioni con l'intera società. Per esempio poco tempo fa siamo riusciti a convincere cinque organizzazioni non governative a partecipare ai campi estivi di quest'anno. Questo è possibile perché non abbiamo posizioni politiche dirette, ma semplicemente agiamo sui bambini e le famiglie. I palestinesi sono persone in tutto e per tutto uguali a voi e desiderano veramente migliorare la situazione attuale, perciò sono molto collaborativi e partecipativi.
Ci può dare un suo parere personale sulla Road Map?
Non è la prima volta che il governo di Israele approva e firma risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ma in pratica non è poi cambiato nulla. Il problema non è firmare e stipulare accordi, ma cambiare la mentalità di Sharon.
Come si può parlare di diritti e di rispetto dell'altro a chi è costretto a vivere in una situazione che lo priva di qualsiasi strumento utile ad attuare questi valori? Tutto questo non aumenta la frustrazione e il senso di impotenza delle persone? Non sarebbe più giusto agire in questo senso sugli israeliani?
Sono d'accordo. Quello che cerchiamo di fare però è anche insegnare ai bambini quelli che sono i loro diritti in una società ancora discriminante, indipendentemente dal problema, seppur determinante, dell'occupazione. Per esempio i maschi vengono ancora trattati diversamente dalle femmine, oppure a volte i bambini poveri vengono discriminati dagli insegnanti. Anche di fronte a questi problemi della vita quotidiana i bambini propongono soluzioni violente, mentre noi insegniamo loro la soluzione più giusta del dialogo. Molti dei loro diritti vengono calpestati non dall'oppressore esterno, ma internamente alla società palestinese che si deve prendere le proprie responsabilità. La fine dell'occupazione non significherebbe la fine di tutti i nostri problemi, perciò noi continueremmo a fare ciò che facciamo ora anche se non fossimo sotto occupazione.
L'Intifada, la resistenza armata sembra, vista da fuori, un gesto senza prospettive, ma per chi vive in quella situazione è comunque un modo per agire, per far fronte alla frustrazione. Chi non sceglie la soluzione armata, la resistenza come può sfogare la propria frustrazione e vincere il proprio senso di impotenza?
Nella società palestinese ormai si è tutti d'accordo sulla necessità di tenere i bambini fuori dall'Intifada e sull'importanza di far vivere loro esperienze "da bambini". Possiamo inventarci un'infinità di attività per tenerli occupati e per stimolarli. Ovviamente nei nostri obiettivi non c'è un super-bambino senza problemi perché comunque rimane sempre il problema onnipresente dell'occupazione, ma la cosa importante è essere consapevoli della sofferenza e impegnarsi per contrastarla.
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