Sharon e Bush soli contro tutti
Malgrado l'aberrazione che il muro rappresenta e produce, sono state necessarie due condanne da parte di istituzioni internazionali del calibro della Corte di giustizia dell'Aja e dell'Assemblea generale delle Nazioni unite, per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e dei governi sulla gravità della situazione e della pericolosità della cultura di governo che regna in Israele. Una cultura di governo che ha intossicato anche gran parte del pensiero della sua opinione pubblica. Naturalmente, un altro paradosso al quale siamo ormai abituati: l'unica superpotenza che condiziona ed orienta la politica internazionale nel mondo si è schierata dalla parte di Israele, come sempre. Un fatto che dimostra la centralità di Israele nella politica aggressiva e di dominio dei conservatori americani. Come prova il loro isolamento: in effetti non sono riusciti a modificare, se non in parte minima, l'opinione e l'atteggiamento dell'insieme della comunità internazionale. La pretesa, con la complicità di alcuni governi come quello italiano ed olandese, che questa risoluzione di condanna fosse di carattere non vincolante, indica una concezione del diritto internazionale a doppio standard, uno fatta di chiacchiere e parole importanti ma destinate a rimanere vuote e disattese, l'altro dove le enunciazioni solenni sono l'anticamera dell'azione di forza.
Questa divisione priva il diritto internazionale della sua efficacia e rende centrali ed efficaci solo la forza della guerra ed i fatti compiuti grazie all'uso della forza, che stanno caratterizzando il normale esercizio del diritto internazionale.
Questo non è nuovo. Israele lo ha messo in pratica in tutta la sua breve esistenza, e non ha rispettato neanche la risoluzione delle Nazioni unite che aveva sancito la sua nascita condizionandola a quella dello Stato palestinese, peraltro con un rapporto territoriale e unacomposizione demografica diversi da quelli attuali.
Solo grazie all'uso della forza e dei fatti compiuti che rappresentano elementi costanti nella sua politica, Israele ha potuto espellere i palestinesi, installare le colonie, costruire il muro della vergogna e negare la possibilità stessa di sopravvivenza del popolo palestinese.
Oggi questa ideologia insieme alla guerra preventiva e permanente in nome della sicurezza e della lotta contro il terrorismo, entra a fare parte della nuova dottrina americana e di qualche dilettante che aspira a uno status di alleato privilegiato, minacciando la convivenza pacifica nel mondo intero.
In questo contesto non si può non constatare che il terrorismo, da non confondersi con il legittimo diritto di ogni popolo di lottare contro l'occupazione, è il peggiore prodotto della guerra e di questa concezione del diritto internazionale. Allo stesso tempo rappresenta il migliore alleato senza cui risulta difficile giustificare e presentare questa guerra e la guerra in generale come strumento per la difesa dei diritti e dell'ordine internazionale.
Dentro la difesa di questi fantomatici diritti ritornano le attuali aberrazioni giuridiche come la guerra preventiva, lo spazio e gli interessi vitali o addirittura il rifiuto di sottoporsi al giudizio della Corte dell'Aja e della legalità internazionale: concetti che danno a tali violazioni una sorta di immunità preventiva.
Oggi, grazie alla grande mobilitazione contro la guerra, si è diffusa una nuova consapevolezza, più rigorosa ed attenta, ed una nuova cultura della pace che ha già sconfitto, almeno sul piano culturale, la dottrina di Bush e Sharon.
Non passerà molto tempo prima che segni anche la loro sconfitta politica. A questa nuova cultura di pace il genere umano, i filosofi e gli intellettuali «di cui la politica di oggi ha fatto a meno», sono chiamati a dare una risposta teorica e di rappresentanza politica affinché i diritti individuali e collettivi possano trovare una loro nuova legittimazione universale.
Una sfida che non concede scorciatoie e vede in particolare i cittadini d'Europa in prima fila.
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