Palestina

La strada verso la liberta’: lo sciopero della fame dei prigionieri politici nelle carceri israeliane

10 settembre 2004
Nassar Ibrahim
Fonte: Pubblicato sul mensile “News from Within”, Palestine/Israel, Vol XX, no. 5, agosto 2004, pubblicato dall’Alternative Information Centre di Gerusalemme (http://www.alternativenews.org)

Il 15 agosto 2004, migliaia di prigionieri palestinesi ed arabi trattenuti nelle carceri israeliane, hanno cominciato uno sciopero della fame, nel tentative di migliorare le condizioni insostenibili di detenzione e spingere il governo israeliano a rispettare la Convenzione di Ginevra.

La risposta israeliana ai prigionieri e’ stata veloce e chiara. Il ministro per la sicureza Tzahi Hanegbi, ha affermato che “per quel che mi riguarda, i prigionieri possono scioperare per un giorno, un mese o anche digiunare fino alla morte”. Questo atteggiamento riflette la mentalita’ razzista che dirige e guida la politica israeliana sotto la leadership di Sharon: “si, lasciamoli morire, laciamo morire tutti i palestinesi, lasciamo che Gaza affondi nel mare e, piu’ importante, facciamo in modo che l’occupazione e ‘annessione dei territori palestinesi continui”.
Il ministro israeliano non avrebbe osato fare questa affermazione senza supporto americano a questa politica razzista israeliana. Il governo americano fornisce continue giustificazioni al suo appoggio, riconoscendo che le azioni di Israele sono “legittima difesa” e, allo stesso tempo, negando il diritto dei paelstinesi alla resistenza, considerata come una forma di terrorismo.
Nessuna persona ragionevole si aspetterebbe altro atteggiamento dall’amministrazione Bush, in particolare, dopo gli scandali dellla “Democrazia Americana”, svelati su Abu Ghreib e Guantanamo.

Quando parliamo dei prigionieri palestinesi ed arabi detenuti nelle prigioni israeliane, non parliamo solo di migliaia di giovani e bambini che si trovano dietro alle sbarre per aver compiuto “atti criminali”, ma anche di migliaia di leader del movimento nazionale palestinese.
Infatti, parliamo di un settore molto istruito del popolo palestinese, di persone che pagano un duro prezzo per il loro rifiuto all’occupazione e oppressione israeliana, per il loro credo politico e per il loro attivismo nella lotta per la liberta’ e l’indipendenza.
La “causa” dei prigionieri e’ infatti, la “causa” del popolo palestinese ed e’ una questione molto delicata per tutti i palestinesi.
I palestinesi considerano i prigionieri come degli eroi, nonostante i continui tentativi da parte di Israele, di dipingerli come terroristi. La loro importanza deriva dall’importanza della terra, sono la chiave della liberta’ e l’esempio vivente della resistenza all’occupazione.
Questi prigionieri, palestinesi ed arabi, non hanno trovato altra soluzione che dichiarare il loro sciopero, nel tentativo di fermare la politica di Israele di lento assassinio di massa, che si verifica nelle prigioni, dove le loro vite sono sprecate e la morte diventa la loro unica speranza per una liberta’ finale.

La politica di occupazione di Israele e’ fondata sull’illusione e sull’inganno e i principi della politica governativa non sono cambiati molto in tutti i suoi 37 anni. E’ molto difficile trovare una famiglia palestinese di cui qualche componente non sia in prigione. Centinaia di migliaia di famiglie palestinesi hanno sofferto a causa dell’esperienza detentiva. E nonostante questo, Israele continua a condurre questo tipo di politica.

Inoltre, attraverso la costruziuone del muro di separazione, l’amministrazione Sharon, piu’ di qualsiasi governo precedente, ha contribuito a inculcare una percezione di detenzione nella coscienza collettiva palestinese. “Lasciamo vivere i palestinesi dietro alle sbarre, all’interno delle loro citta’, villaggi, campi profughi e, conseguentemente, facciamo diventare la West Bank, la Striscia di Gaza ed anche Gerusalemme, niente meno che immense prigioni per i palestinesi”.

Parlano di pace, coesistenza…che bugia…

Lo sciopero della fame dei palestinesi diventa una scintilla che infiamma le strade gia’ piene di rabbia contro l’occupazione israeliana. Questo appare evidente nella reazione dei palestinesi che hanno espresso la loro solidarieta’ nei confronti degli amici o dei propi cari denetuti nelle carceri israeliane.
I prigionieri hanno atteso cosi’ a lungo per avere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla loro situazione. Hanno atteso fin dall’Accordo di Oslo perche’ la loro situazione cambiasse. Ciononostante, la debole leadership palestinese e la continua politica aggressiva israeliana hanno reso la questione dei prigionieri una illusione.

Lo sciopero della fame e’ una questione molto pericolosa e delicata, che richiede una reazione immediata da parte della sociea’ israeliana, per poter correggere l’atteggiamento del governo israeliano verso i prigionieri, prima che la situazione raggiunga un punto di non ritorno.
Conseguentemente, la dichiarazione irresponsabile del mistro israeliano per la sicurezza, non solo danneggia i prigionieri palestinesi e le loro famiglie, ma anche gli israeliani.
Che sia chiaro, nessun israeliano e’ al sicuro, fin tanto che il governo israeliano procede con il suo genocidio contro il popolo palestinese che combatte per la propria liberta’.

Questa e’ una richiesta urgente rivolta a tutta la societa’ israeliana, con le sue forze democratiche e progressiste, di agire rapidamente e stare al fianco del popolo palestinese, per porre fine alla pericolosa stupidita’ rappresentata dal ministro per la sicurezza e dall’intero governo Sharon. Questa e’ una richiesta urgente a queste forze, di fermare il ciclo di violenza, ponendo fine all’occupazione e liberando i prigionieri, come primo passo verso la speranza.
La battaglia dei prigionieri politici e il loro sciopero della fame e’ anche un messaggio alle istituzioni politiche internazionali, alle organizzazioni umanitarie e all’opinione pubblica mondiale di fermare al piu’ presto questa catastrofe condotta da Sharon con il supporto e l’appoggio di Bush, dietro il pretesto della democrazia e della liberta’.

Note: Traduzione a cura di Carlotta Bellini

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