Hebron: la città dell’amicizia?
Al-Khalil o Hevron, nome arabo ed ebreo di questa cittadina nel sud della West Bank, sicuramente famosa per la presenza della Tomba dei Patriarchi, significa "amico".
Per più di quattrocento anni, fino a circa la metà dell'Ottocento, Hebron ha rappresentato per un certo verso, un centro di amicizia, in cui ebrei e mussulmani condividevano pacificamente la loro quotidianità, i loro affari, il loro commercio e la loro vita sociale.
Le cose cambiarono nel Novecento: prima, negli anni '20, a causa delle tensioni e scontri sviluppatisi con il diffondersi del movimento sionista e la paura dei palestinesi di perdere le loro terre; poi, negli anni '60, con l'arrivo di coloni ebrei, completamente distinti dal nucleo di ebrei che abitavano originariamente la città. Attualmente, anche come conseguenza della politica dello Stato di Israele, di agevolazioni per le case e dei sussidi, vivono illegalmente nella zona più di 7.000 coloni, che abitano le colonie di Kiryat Arba', (la prima e la più estesa), Tel Rumeida, Beit Hadassa, Avraham Avinu e Beit Romano. Tra di loro, vi sono alcuni dei più noti estremisti del movimento dei coloni, che ritengono che Hebron sia ebrea per diritto divino. Il gruppo degli estremisti, vive principalmente nella città vecchia, in quattro delle citate colonie, a ridosso delle case dei palestinesi e ha reso la loro vita impossibile. Organizzazioni per i diritti umani israeliane e palestinesi, riconoscono che la costante, quotidiana violenza dei coloni, viene esercitata anche con il -più o meno- tacito consenso di Israele.
Oggi la città è divisa in due aree: l'area H2, che comprende la città vecchia e le zone circostanti e che è posta sotto il controllo di Israele; e l'area H1, che comprende il resto della provincia e che è posta sotto il controllo palestinese. Questo spezzettamento è stato regolato con il Protocollo su Hebron del 1997. Nell'area H2 la sicurezza dovrebbe essere garantita dalla presenza dell'esercito israeliano che, si noti bene, è composto per buona parte, proprio dai coloni i quali, infatti, secondo un regolamento del 1973, devono adempiere ai loro obblighi militari nell'area in cui vivono. I coloni sono anche organizzati in Pattuglie per la sicurezza e dispongono tanto di elmetti e armi, spesso fornite dallo stesso esercito, ulteriore causa di violenza verso i palestinesi.
L'impunità degli israeliani è un grave problema e, ancor prima, la connivenza tra esercito e coloni.
Dal momento della divisione e a seguito della sempre crescente violenza dei coloni, molti palestinesi sono scappati dalla Casbah, dalla città vecchia che, infatti, al visitatore che si spinge nelle sue labirintiche vie, pare una città fantasma. I negozi sono chiusi, le serracinesche sigillate e la rete protettiva stesa tristemente sui tetti delle abitazioni si piega al peso della spazzatura e oggetti lanciati dai coloni per turbare la già inquieta esistenza degli abitanti palestinesi rimasti. Ma neppure i fantasmi sembrano abitare Hebron quando cala il coprifuoco che viene imposto con ordine militare, non solo dopo incidenti particolarmente gravi (come ad esempio l'attentato di Beer'Sheva lo scorso agosto), ma anche quando i coloni organizzano eventi pubblici o in occasioni di festività ebraiche: i coloni sono in vacanza e i palestinesi chiusi in casa. Già, perché il coprifuoco è valido solo per i palestinesi. Per questa natura discriminatoria e la frequenza, i coprifuoco sono considerabili come "misura di punizione collettiva" verso i palestinesi e violazioni dei loro diritti umani. Eppure, dietro al silenzio e tra le mura della città, vi sono ancora 45.000 palestinesi che resistono con forza di fronte ai continui soprusi e violazioni compiute nei loro confronti.
Insieme a loro, in un edificio che si trova proprio a cavallo tra le case palestinesi e quelle dei coloni, vivono anche i volontari dei Christian Pacemaker Teams, che cercano di prevenire tale violenza in tutta la municipalità di Hebron, spingendosi fino alle colline a sud. Uno dei compiti da loro svolti consiste nell'accompagnare a scuola, ogni mattina, i bambini palestinesi, assicurandosi che i giovani studenti raggiungano l'edificio e abbiano il diritto di essere educati. Ma la mattina del 29 settembre, due volontari, Kim e Chris, mentre svolgevano il loro lavoro, sono stati attaccati da cinque uomini incappucciati e colpiti con catene e bastoni fino allo svenimento. Qualche giorno fa, ho chiesto a Chris, ancora ricoverato in ospedale -"Ed ora cosa farete?". Mi ha risposto- "Abbiamo già spedito un team che ci sostituisca". Tra di loro, anche una volontaria italiana dell'Operazione Colomba.
Lunedì Chris, di origine sud-africana, ha concluso una sua mail ricordando una frase di Martin Luter King Jr. a lui molto cara: "Nel perseguire la libertà altrui, qualcuno a volte deve sacrificare la propria".
La presenza e l'azione di questi volontari sembra ricordarci che, dopo tutto, Hebron può essere ancora considerata la città dell'amicizia.
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