Palestina

Perché aspettare? L'interruzione delle relazioni commerciali tra l'Unione Europea ed Israele.

Gerard Waite
Fonte: News from Within Gennaio 2003
Mensile dell'Alternative Information Center http://www.alternativenews.org

Tra le varie tipologie di boicottaggio esistenti, quello economico e finanziario è sicuramente il più efficace. La minaccia che comporta è l’utilizzo di quel tipo di forza che può mettere a dura prova le capacità di un’amministrazione (cosa che è stata dimostrata in Sud Africa ma non in Iraq). C’è poco da meravigliarsi allora che l’articolo 2 degli accordi commerciali tra Unione Europea ed Israele, che contiene l’impegno al rispetto dei diritti umani, divenga sempre più il bersaglio dei sostenitori delle campagne di boicottaggio. Il fallimento del rispetto dei diritti umani, sostengono, determina l’abrogazione dell’accordo. Non è però dello stesso parere Romano Prodi, presidente della Commissione Europea: “L’accordo è uno strumento di cooperazione, non di ricatto politico”.

Il movimento per il boicottaggio

Sicuramente, quanti sostengono il boicottaggio di Israele da parte dell’Unione Europea hanno avuto di recente occasioni per ben sperare. Il supporto finanziario di lunga durata dell’Europa all’Autorità Palestinese (che si è affermato come supporto alle trattative di Oslo), ha causato un certo risentimento fra costoro, ma le relazioni sono ulteriormente peggiorate dal momento che i rappresentanti dell’Unione hanno continuato a fare pressione per essere presenti nel processo di pace.

L’evento che è divenuto una sorta di spartiacque in questa situazione si è verificato nell’aprile del 2002, quando Sharon ha diffidato i pesi massimi dell’Unione Europea, incluso il Segretario Generale Javier Solana, dall’incontrare il Presidente Arafat a Ramallah. Sebbene qualsiasi connessione causale venga negata, questo rifiuto è stato seguito il 10 aprile del 2002 da una risoluzione del Parlamento Europeo (adottata per 269 contro 208, con 22 astensioni) in favore della sospensione delle relazioni commerciali con Israele (e dell’istituzione di un embargo militare), come forma di protesta contro “L’oppressione della popolazione civile palestinese da parte dell’esercito israeliano” e “L’escalation militare perseguita dal governo di Sharon”. Pochi giorni prima della decisione parlamentare, il Ministro degli Esteri spagnolo Josep Pique, allora a capo della presidenza europea, aveva preparato il terreno affermando “Le sanzioni contro Israele costituiscono un possibile scenario”.

Ovviamente, né la dichiarazione della Presidenza del Consiglio Europeo, né la decisione del Parlamento hanno alcun carattere vincolante. Comunque, non vi è alcun dubbio che i ‘Guanti della diplomazia’ siano stati tolti. In un altro recente battibecco il rifiuto da parte di Binyamin Netanyahu di permettere ai rappresentanti degli accordi di pace di recarsi a Londra, a fronte della richiesta del Ministro degli Esteri britannico Jack Straw, si è verificato in concomitanza con l’invio da parte di Londra del delegato Lord Levy per incontrare Arafat senza consultare prima gli israeliani. Abbondano perciò accuse velate (ma fino a un certo punto) all’Unione Europea di finanziare il terrorismo, e Sharon sminuisce in pubblico il ruolo del ‘Quartetto del nulla’, la sola via dell’Europa nel processo di pace.

Sopravvalutazione

Uno degli equivoci più diffusi riguardo all’abrogazione dell’accordo tra Unione Europea ed Israele a causa dell’articolo 2 è l’ampiezza dell’impatto finanziario che la sospensione degli accordi commerciali rischia di avere su Israele. Questo genere di accordi tra l’Europa ed Israele esiste dal 1975, ma se è vero che l’Unione è il partner commerciale più importante di Israele (le cifre del Ministero Israeliano dell’Industria e del Commercio indicano che le esportazioni di Israele verso l’Unione Europea hanno totalizzato nel 2001 7,7 miliardi di dollari, il 31% delle esportazioni totali, mentre le importazioni hanno totalizzato 13,9 miliardi, il 49% del totale), è importante precisare che una sospensione dell’accordo euro-mediterraneo con Israele non comporterebbe un embargo commerciale.

L’intesa tra le due parti permette semplicemente degli accordi economici privilegiati per certi prodotti, in certe quantità, ed in certi periodi dell’anno. Al di fuori di questa gamma limitata di beni, tempi e quantità, vengono applicate le normali tariffe. L’accordo commerciale non deve essere confuso con un permesso di intrattenere rapporti economici con gli stati europei. Se l’accordo venisse sospeso, non ci sarebbe nulla che impedisca il commercio con gli Stati membri dell’Unione Europea, come già avviene per qualsiasi stato al di fuori degli accordi speciali con il ‘terzo gruppo’ (vale a dire tutti gli stati tranne gli Stati Uniti, la maggior parte degli Stati dell’Africa, gli Stati candidati all’ingresso nell’Unione, quelli dell’Area Economica Europea etc.).

Israele stesso è stato tiepido sul significato economico di questo accordo commerciale con l’Unione Europea, che era stato descritto come poco vantaggioso per Israele, e ciò non è privo di importanza. Questo accordo fa parte della più ampia strategia europea nei confronti della regione mediterranea (Processo di Cooperazione Euro-Med, Processo di Barcellona), che comprende tutto il Maghreb ed i paesi del Mediterraneo Orientale (Libia esclusa), e che certamente mal si adatta allo status ed alla caratteristiche economiche di Israele.

Euro-Med

Il Processo Euro-Mediterraneo ha avuto origine dal grande successo del Processo di Helsinki, al quale aveva dato inizio in Europa Orientale l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE, Organisation for Security and Cooperation in Europe). Come quello di Helsinki, il processo di Barcellona è organizzato in tre ‘contenitori’, per semplificare comprende una dimensione politica, economica ed ‘umana’. L’aspetto più importante della cooperazione Euro-Mediterranea è quello economico, e, al suo interno, l’impulso per la creazione di un’area di libero commercio euro-mediterranea. Mediante ciò, l’Europa cerca di promuovere una liberalizzazione bilaterale del commercio (tra gli Stati mediterranei e quelli dell’Unione), in vista di una liberalizzazione multilaterale (una zona di libero commercio tra gli Stati mediterranei stessi e l’Unione Europea).

Come sostiene il modello dell’OSCE, si suppone che un progresso in un ‘contenitore’ determini un progresso anche negli altri. Per tutti gli Stati Euro-Mediterranei, tranne Israele, ciò si riduce ad un equilibrio tra le pressioni sugli Stati mediterranei perché stabiliscano delle istituzioni democratiche (o almeno dei sistemi fiscali trasparenti) sulla strada della liberalizzazione dei sistemi economici, in cambio di forti somme di denaro (dai programmi MEDA), per coprire i costi di ‘transizione’.

Considerato come già conforme agli standard europei, Israele non è un destinatario dei fondi MEDA e quindi si trova al di fuori degli iniziali sviluppi di transizione del Processo di Barcellona. Allo stesso modo, gli altri Stati mediterranei sono costretti ad uniformarsi alle ambizioni commerciali europee attraverso prestiti della Banca Europea di Investimento (EIB), un ente di credito non-profit che opera per l’Unione. Fin dall’inizio della loro collaborazione, l’Unione Europea ed Israele firmarono un accordo quadro per i prestiti destinati alle infrastrutture su larga scala ed ai progetti ambientali (vale a dire che 22 milioni di Euro furono presi in prestito dall’Autorità Aeroportuale di Israele), ma Israele ha qualche problema a garantire i prestiti, per cui i bilanci dell’EIB mostrano che dal 1996 non ne ha ricevuto nessun altro.

Nella sfera economica, sono dunque rimasti a disposizione di Israele soltanto gli accordi commerciali preferenziali bilaterali che, almeno dal punto di vista di Israele, non sono poi così preferenziali. A parte l’enorme deficit nei confronti dell’Unione Europea che Israele si trova a gestire (e che l’Europa ha rifiutato di ridurre nei colloqui del 1995 per il rinnovo degli accordi), i termini che assegnano un trattamento preferenziale alle esportazioni israeliane verso l’Europa, sono fortemente sbilanciati in favore di quest’ultima.

Il commercio con l’Unione Europea di prodotti agricoli israeliani ha subito un duro colpo quando il vantaggio di cui Israele godeva per la vendita di primizie fu cancellato in occasione dell’entrata della Spagna e del Portogallo nell’Unione Europea. Come per tutte le relazioni commerciali europee con Stati terzi, i prodotti agricoli sono pesantemente tassati nell’ambito delle politiche agricole, fortemente protezioniste, dell’Unione Europea, cosa che può comportare problemi di vasta portata per un paese come Israele, che manca di risorse naturali significative.

La rapidissima espansione industriale di Israele - nell’alta tecnologia-, è stata anch’essa oggetto di una disputa con l’Unione Europea, che si è protratta a lungo nel tempo. In quest’ambito, Israele ha continuato ad ignorare le leggi europee sull’origine dei prodotti (in base alle quali uno Stato esportatore deve stabilire che un bene, o una parte sufficiente di esso, è stata prodotta all’interno del suo territorio, al fine di ottenere l’autorizzazione ad un trattamento commerciale preferenziale). Essendo uno Stato di piccole dimensioni, ed avendo quindi necessità di un’elevata percentuale di componenti di importazione per le produzioni industriali, Israele ha incontrato delle difficoltà a conformarsi alle restrittive leggi sull’origine. Questa discussione, iniziata con l’accordo economico originario del 1975, non ha ancora potuto trovare una soluzione nel 1995 e, afferma Israele, sta diventando fonte di problemi sempre maggiori nelle relazioni commerciali con l’Europa.

Non è un problema di soldi

Sebbene l’Unione Europea faccia molta attenzione a conservare il suo vantaggio finanziario su Israele, l’economia non è il solo motivo dietro l’interesse europeo a mantenere Israele all’interno degli accordi di Barcellona. Né, per questo motivo, Israele partecipa al processo Euro-Mediterraneo credendo che, se venisse realizzata un’area di libero commercio mediterranea, la sua presenza sarebbe vista di buon grado. No, l’Unione europea è semmai alla ricerca di un’influenza politica che le permetta di ancorarsi al Medio-Oriente, mentre Israele tenta di staccarsi dal Medio Oriente e di ancorarsi all’Europa.

Per l’Europa, Israele è una chiave cruciale per aprire le porte del Medio Oriente, ed il processo Euro-Med è l’unica arena nella quale l’intera regione possa intrattenere qualche relazione significativa con Israele. È per questo motivo che l’Europa è particolarmente rapida a ridimensionare qualsiasi elemento delle proprie relazioni con Israele che si trovi minacciato, e costante nel riaffermare il principio di ‘impegno costruttivo’ nei suoi rapporti con esso. In seguito al furore diplomatico determinato dal tentativo fallimentare da parte di Solana di render visita ad Arafat lo scorso anno, l’ambasciatore Giancarlo Chevallard, il rappresentante dell’Unione in Israele, ha subito rinnovato l’inno in onore di Israele “Dobbiamo mantenere il dialogo con Israele, e non ostacolarlo”.

Sebbene questo approccio possa sembrare debole ed ambiguo, esso deve essere visto sia nei termini dell’attuale mancanza (forse esagerata) da parte dell’Unione Europea di influenza economica su Israele, sia in quelli dei suoi genuini sforzi nell’impegnarsi con modalità non antagonistiche, che molti all’interno dei suoi corridoi potrebbero considerare fallaci, nei confronti degli altri Stati. Per l’Europa, la minaccia maggiore è il disordine, ed essa lavora per combatterlo ovunque esso sia in agguato.
Le critiche contro la politica europea di ‘impegno costruttivo’ nell’ambito delle sanzioni possono rivelarsi piuttosto faziose nella loro stima dei risultati dell’Unione al riguardo. Ad esempio, il recente impegno europeo a sviluppare delle relazioni con l’Iran (alla faccia delle forti critiche statunitensi) sono spesso considerate coraggiose e previdenti da coloro che propendono per la causa palestinese, mentre i continui sforzi nei confronti di Israele sono percepiti come segni di debolezza. In considerazione di ciò, bisognerebbe anche rilevare che l’Unione Europea ha già stipulato un accordo Euro-Mediterraneo con l’autorità Palestinese, e, come viene spesso fatto rilevare dagli israeliani, gli appelli europei, tutti caduti nel vuoto, per porre fine agli attentati suicidi, non hanno comportato alcun’altra azione punitiva da parte dell’Unione.

Un grande pesce per un piccolo lago

La partecipazione israeliana al processo di Barcellona è particolarmente favorita dall’Unione Europea in quanto si tratta dell’unico forum internazionale di un certo peso al quale Israele partecipi senza la protezione degli Stati Uniti. Il processo di Barcellona costituisce una possibilità per l’Europa di promuovere la sua visione del Medio Oriente, al di fuori dei dettami della politica estera statunitense per i quali essa dimostra entusiasmo con sempre maggiore difficoltà. Afflitta dal cosiddetto ‘Dislivello dell’ambizione’, l’Unione Europea ha rivelato una sempre maggiore frustrazione per il suo ruolo di guardiano delle ‘Misure per la costruzione della fiducia” (CBMs, Confidence Building Measures). L’Unione Europea vuole convertire il suo primato economico regionale in una forza che possa modellare politicamente il Medio Oriente, non soltanto organizzare le visite degli scambi scolastici.

Dello stesso segno, comunque, è anche il fatto che l’assenza degli Stati Uniti impedisca a qualsiasi discussione significativa abbia luogo, così come Israele è instancabile nel ricordare a tutti che Euro-Med è separato istituzionalmente dal processo di pace in Medio Oriente (MEPP, Middle East Peace Process), che viene condotto sotto gli auspici del Consiglio dell’unione Europea. Allo stesso modo, Israele rifiuta di prender parte a qualsiasi discussione nel processo Euro-Med che pertenga al processo di pace. Per Israele, è possibile impegnarsi sugli aspetti economici e cooperativi del processo di Barcellona, senza doverlo fare nelle questioni della difesa e della sicurezza. In sostanza, Israele non può andare da nessuna parte senza gli Stati Uniti.

Per motivi collegati, anche il CBS è fallito su larga scala. Per la maggior parte degli altri Stati mediterranei, fare affari con Israele senza progredire nel processo di pace costituisce una ‘normalizzazione’ nella stessa limitata misura nella quale sono stati realizzati dei risultati nell’ambito della cooperazione, anche all’interno dei vari programmi culturali che esistono nella dimensione umana di Euro-Med. La rappresentanza di Israele continua a sedere con le rappresentanze dei partner dell’Europa settentrionale.

Le tensioni sono state particolarmente persistenti tra Israele e Siria (e, di conseguenza con il Libano), sebbene Israele tenda ad essere emarginato dai partner mediterranei in tutti gli incontri organizzati nel quadro di Euro-Med. In un momento particolarmente critico, i rappresentanti dell’Unione cercarono di facilitare alcuni sviluppi di Euro-Med chiedendo ad Israele di adottare un basso profilo in alcuni incontri chiave, permettendo dunque agli Stati Mediterranei di concludere i loro affari, richiesta che Israele ha apparentemente rifiutato.

Per gli Israeliani

Come abbiamo già accennato, non è poca cosa per gli Israeliani partecipare ad Euro-Med. Certamente, lo sforzo iniziale di Israele con Euro-Med è stato ostacolato dalle forti opposizioni interne di quanti ritenevano che fosse incauto impegnarsi in un contesto multinazionale con l’Unione Europea senza il patrocinio degli Stati Uniti. Ciò che spinse avanti gli Israeliani fu la convinzione che attraverso l’unione Israele avrebbe potuto ancorarsi all’Europa, premunendosi di conseguenza di una relazione economica e sociale stabile che permettesse di soverchiare i vicini arabi- Israele dunque come una parte d’Europa trapiantata in altra sede. Da parte sua, l’Europa dapprima incoraggiò quest’attitudine, per poi tergiversare e decidere che Israele faceva parte di fatto del Medio Oriente.

Israele non si era illuso nella convinzione di poter realizzare un legame permanente con l’unione Europea, ed anzi era stato incoraggiato a pensarla così. Dopo la guerra del Golfo, ci fu un suggerimento da parte del Ministro degli Esteri italiano De Michelis affinché l’Unione Europea cementasse le sue relazioni con Israele invitandolo a diventare membro dell’Area Economica Europea, una soluzione molto più sicura ed economicamente vantaggiosa di un accordo Euro-Mediterraneo. Anche se alla fine l’idea fu bocciata in Commissione Europea, il Ministro degli Esteri al Consiglio Europeo non rifiutò la proposta.

Poco più tardi, nel 1994, lo status particolare di Israele era ancora una volta evidente all’incontro promosso dal Consiglio Europeo ad Essen, nel quale si affermò che “Il Consiglio Europeo ritiene che Israele, in conseguenza del suo alto livello di sviluppo economico, dovrebbe godere di uno status speciale nelle sue relazioni con l’Unione Europea su basi di reciprocità ed interessi comuni”.

Questa considerazione speciale si trovò riflessa nell’accordo Euro-Mediterraneo del 1995 (la rinegoziazione dell’accordo del 1975), che conteneva numerosi provvedimenti mirati per Israele, che non erano previsti negli accordi con gli altri Stati mediterranei. Fra queste innovazioni, alcune delle più importanti erano la cooperazione alla ricerca, nella quale Israele divenne l’unico Stato non europeo interamente associato nel quadro del programma di ricerca dell’Unione, cosa che lo pose in una situazione paragonabile a quella dei Paesi europei non membri, ed a quella dei Paesi candidati. Nell’insieme, l’accordo di associazione di Israele (al di fuori del commercio di prodotti agricoli), è stato considerato molto più simile a quello degli Stati in via di sviluppo dell’Europa Orientale, che a quello della Conferenza di Barcellona.

Il Momento Cruciale

Nonostante l’aumento dei rapporti fra l’Unione Europea ed Israele, il momento cruciale si verificò nel 1995 con l’apertura della Conferenza di Barcellona. Sebbene l’Europa intrattenesse degli accordi commerciali con alcuni Stati mediterranei (incluso Israele) già prima del 1995, essi erano eseguiti in maniera bilaterale, al di fuori di un piano politico ed economico complessivo. La Conferenza costituì un mezzo per costruire un piano cogente ed a lungo termine per i vicini meridionali dell’Europa, e definì il futuro delle relazioni europee con il Maghreb ed il Mashreq, quest’ultimo che comprende Israele.

Anche in questo caso, comunque, Israele dimostrò la sua condizione piuttosto ambigua. Il titolo ‘Accordi Associativi con l’Unione Europea’ è tecnicamente riservato ai partner non-europei (in primo luogo gli Stati candidati all’ingresso), mentre le associazioni subordinate al Processo Euro-Med sono chiamate ‘Accordi Euro-Mediterranei’; alla fine, Israele ha concluso con la dicitura ‘Accordo Euro-Mediterraneo che stabilisce un’associazione’.

A parte le sfumature, comunque, Israele fa parte del Medio Oriente, come si era espressa l’Unione Europea. Perfino mentre promuoveva lo status di Israele all’interno dell’Unione Europea, quest’ultima ha sempre insistito sulla necessità di un ‘doppio binario’ nell’approccio, con la finalità di cercare di incoraggiare le relazioni con gli Stati vicini del Medio Oriente, in parallelo agli sviluppi interni all’unione. Con l’inclusione di Israele nel Processo di Barcellona, l’Europa stava coronando la possibile relazione tra questo paese e l’Unione. Israele doveva coesistere con i suoi vicini, e non gli sarebbe stato permesso di saltare direttamente all’interno dell’Unione Europea.

Boicottare o non boicottare

Date le dinamiche dei rapporti tra Israele e l’Unione Europea, l’abrogazione dell’accordo euro-mediterraneo tra le due entità avrebbe invidiabilmente costituito la fine dei loro contatti istituzionali. Considerato il desiderio europeo di maggior potere, il cosiddetto ‘Dislivello nell’ambizione’, ciò rende assai improbabile che l’Unione Europea, o almeno le parti in causa in quest’ambito, ratificherebbe la fine di questa relazione, sebbene non stiano facendo di tutto per evitarlo.

In generale, verrebbe da dire che l’influenza che l’Unione Europea mantiene ora su Israele è così lieve che sia ritrattare l’accordo come tentativo di coercizione, o mantenere i rapporti come mezzo di incoraggiamento, fa temere che il contributo all’avanzamento del processo di pace sarà molto scarso. Mentre l’impatto economico del ritiro dell’accordo verrebbe senza dubbio avvertito, è dubbio che costituirebbe un atto definitivo. In un certo senso, Israele è ai margini degli accordi economici euro-mediterranei.

Detto ciò, è comunque improbabile che si produrranno dei risultati mantenendo l’accordo così com’è. Istituzionalmente, l’accordo Euro-Med è debole. Sebbene il Processo di Barcellona sperasse di emulare sotto certi aspetti il successo di quello di Helsinki, la differenza sta nel fatto che la struttura dell’OSCE aveva riunito insieme i giocatori più importanti, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Euro-Med ha escluso gli Stati Uniti, e risulta difficile concepire che sorta di pressione possa esercitare l’Europa per indurre Israele ad impegnarsi nel quadro di quest’accordo relativamente a questioni di sicurezza sostanziale nella regione.

L’effetto attuale di un boicottaggio di Israele attraverso la fine dell’accordo Euro-Mediterraneo costituirebbe una forma più ‘soft’ di boicottaggio, piuttosto che una sostanziale, come quelle tradizionalmente associate agli ambiti commerciale e finanziario. Anche come forma leggera, comunque, è improbabile che le procedure piuttosto oscure ed élitarie del Processo euro-mediterraneo colpiranno vigorosamente la coscienza dell’opinione pubblica israeliana. L’Unione Europea, assegnando Israele al Medio Oriente ha abbandonato il suo unico punto di influenza effettiva su Israele.

Dal momento che il processo di pace si muove in un’altra cornice (la Roadmap del ‘Quartetto’), l’Unione Europea può aspettare che le venga comunicato quale sarà il suo ruolo di supporto questa volta o tentare di aumentare la sua influenza sugli Israeliani. In base all’esperienza passata, ciò significa avvicinare a sé Israele, non allontanarlo.

Note: Traduzione di Susanna Valle per PeaceLink
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