Israele-Palestina l'Europa non sia equidistante
Se n'è andato, il 10 dicembre, giornata internazionale dell'Onu dedicata ai diritti umani. Per un giorno tragedie umane e politiche hanno almeno avuto qualche eco. Ieri ero all'Aja ad un seminario convocato dalla presidenza olandese del Consiglio europeo per esaminare la pratica delle linee guida dell'Ue sulla figura dei difensori dei diritti umani. Molte le presenze, dell'Africa, Asia, America Latina. Molte le assenze, tra queste spiccava la mancanza di palestinesi e israeliani. Nella relazione del network euro-mediterraneo il relatore non ha citato Israele o Palestina, ma molto Siria e Tunisia. Ho chiesto il perché di questa rimozione, perché Israele, per esempio, può impunemente tenere in carcere più di 8mila palestinesi su neppure 4 milioni di abitanti, al di fuori di ogni legalità internazionale, senza che vi sia una protesta. Mentre sulla Birmania che ha 48 milioni di abitanti e circa 1200 prigionieri si scatenano (giustamente) tutti. «Perché è più facile parlare della Birmania dove non ci sono interessi o sensibilità in gioco», mi sussurra una meravigliosa attivista birmana. Sui diritti violati dei palestinesi ci sono sempre i se e i ma. Per le violazioni dei governi israeliani si trovano sempre giustificazioni. Non lo facciamo però noi, che aderiamo ad Action for peace e che abbiamo deciso, insieme al forum sociale di Londra di dedicare il 10 e l'11 dicembre ad iniziative in tutta Europa per il diritto di vivere e di convivere in Palestina e Israele. Action for peace si è formata agli inizi della seconda Intifada dopo l'azione di interposizione pacifica in Palestina delle "Donne in nero" e un appello dell'ong palestinesi per la protezione della popolazione civile attaccata dall'esercito e costretta a vivere chiusa nei propri villaggi. In tante siamo andate a cercare a rimuovere i check-point. Insieme a pacifisti israeliani e palestinesi abbiamo manifestato contro la costruzione del muro, considerato illegale dalla sentenza della Corte internazionale di giustizia dell'Onu.
Troppo forte fu l'impatto della nostra presenza sul territorio perché il governo Sharon lo potesse permettere. Denied entry, entrata negata ed espulsione per centinaia di pacifisti di ogni parte del mondo che volevano fare ciò che le nazioni unite avrebbero il compito di fare ma che per il tentennamento europeo, e il veto Usa non è mai stato fatto: mandare le forze dell'Onu a proteggere i civili palestinesi israeliani. L'associazione per la pace ha un presidio permanente a Nablus. Il 2 gennaio una delegazione partirà per osservare le elezioni palestinesi. Oggi nell'assemblea che teniamo al Parlamento europeo avremo la testimonianza di un pilota israeliano che ha avuto il coraggio di dire «no», ed ha capito che, «la parola "no" ha il peso di una montagna». Jonathan Shapira ha detto no al bombardamento ai civili palestinesi all'occupazione militare, ad un esercito che mostra ogni giorno di più la perdita di qualsiasi moralità. Molti hanno obiettato attivamente, chi rifiutandosi di servire sui territori, chi di fare il servizio di leva come i cinque giovani che sono rimasti in carcere per più di un anno ma oltre a loro vi sono le resistenze silenziose, più del 40% di soldati di leva, denuncia "New profile", un gruppo israeliano per la "smilitarizzazione" d'Israele, riesce ad evadere la leva dandosi malato.
Negli ultimi tempi si è formato un gruppo di soldati che hanno raccolto in foto testimonianze degli orrori ai quali hanno assistito. E' loro la foto che vede militari sorridenti mentre, dopo aver impalato la testa di un palestinese, gli infilano una sigaretta in bocca e si mettono in posa. Poco ne è stato dato risalto sui giornali, non si trattava di fanatici crudeli islamici ma dell'esercito «più morale del mondo». E' invece delle donne israeliane del "Machsom watch" la denuncia del palestinese che doveva passare un check-point per recarsi a scuola di violino, costretto a suonare lo strumento dai soldati israeliani. Immagine che non ha portato alla mente il "dolce violinista" sui tetti di Chagall, ma invece quella del dolce ebreo obbligato a suonare davanti a un ufficiale nazista.
Tremila soldati hanno firmato la petizione per dire che si metteranno al servizio dei coloni di Gaza nel caso avvenisse la loro evacuazione. Oggi Jonathan Shapira e Ali Rashid, (accusato di essere ambasciatore di odio e per il quale da parte di alcuni fanatici si è chiesta l'espulsione dall'Italia), cercheranno insieme a parlamentari, giuristi e attivisti, una strada per una pace giusta, che veda realizzato il diritto dei palestinesi di avere un loro Stato sui confini del '67 con Gerusalemme capitale condivisa per due popoli e due Stati.
La strada è la fine dell'occupazione e la libertà per le migliaia di detenuti palestinesi tra cui 370 adolescenti e Marwan Barghouti. Ma sono anche le elezioni che si terranno a maggio nei Territori. La leadership palestinese insieme al suo popolo ha saputo reggere la perdita di Arafat dimostrando una maturità straordinaria. Ogni giorno che passa la popolazione palestinese sembra via via dar credito ad Abu Mazen. Pare infatti che stia calando il sostegno sia ad Hamas che alla Jihad, segno che la popolazione ritorna a sperare in un'uscita dalla dannazione dell'occupazione militare. Noi ci incontriamo per chiedere all'Europa di non essere "equidistante" ma di scegliere il diritto e l'applicazione delle risoluzioni dell'Onu. Per questo l'Europa deve usare non solo la diplomazia ma chiedere conto al governo israeliano della mancata applicazione dell'articolo 2 dell'accordo di associazione con l'Ue che prevede la sospensione in caso di violazione dei diritti umani. Chiedere all'Europa di applicare l'embargo sulle armi e al governo italiano di non fare accordi con Israele per la cooperazione sugli armamenti. Noi continueremo sempre ad affermare che la convivenza è possibile.
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