Quella notte che rifiutai di obbedire
Qualche settimana fa ero ancora un pilota attivo e capo di una squadra d'elicotteri dell'aeronautica israeliana. La vigilia dell'ultimo Yom Kippur, il Comandante mi ha convocato per annunciarmi che ero stato dimesso dalle mie funzioni per avere annunciato che non avrei più obbedito ad ordini illegali e immorali.
Negli ultimi mesi, il Comandante ha fatto il giro delle basi e delle squadre di volo per annunciare che una grande e potente organizzazione sostiene il nostro gruppo e che l'esercito ha tutte le intenzioni di scoprirla e denunciarla al mondo intero. Voglio rivelare l'identità di quest'organizzazione: le Forze Israeliane della Difesa (Fid). Questa organizzazione si ispira ad alcuni valori fondamentali. La dignità umana: ogni essere umano dev'essere rispettato indipendentemente dalla sua razza, dalla sua religione, dalla sua nazionalità, dal suo genere, dal suo statuto o rango sociale. La purezza delle armi: il soldato non utilizzerà le proprie armi né il proprio potere se non per raggiungere l'obiettivo, secondo l'importanza di tal fine e deve conservare la propria umanità anche durante la battaglia. Il soldato non utilizzerà le proprie armi né il proprio potere per far del male a persone che non sono soldati, combattenti o prigionieri e farà tutto ciò che è in suo potere per impedire un'aggressione alle loro vite, ai loro corpi o alle loro proprietà.
La notte tra il 22 e il 23 luglio 2002. Era tardi, la squadra F-16 era alla base. La squadra mobilitata è composta da un pilota e un navigatore. Rotta su Gaza. Attesa dell'ordine d'attacco. L'ordine arriva. Le bombe vengono lanciate. Atterraggio. Rapporto e ritorno. La routine. In quella specifica missione è stata lanciata una bomba da una tonnellata su una casa nel quartiere Al Daraj di Gaza, uno dei quartieri più popolati. In quest'azione 14 persone sono state uccise e 150 ferite. Quattro famiglie, 9 bambini, 2 donne e due uomini sono stati ammazzati dalla squadra dell'aviazione che ha eseguito la missione e centrato l'obiettivo, credendo di difendere gli Israeliani.
Il Comandante delle Forze Aeree Dan Halutz parlando della suddetta missione ha detto: «Dichiaro che tutto quanto è stato fatto in questa missione, secondo la mia morale è giustificato». E rivolgendosi ai piloti ha ribadito: «dormite bene questa notte, avete eseguito la missione alla perfezione».
Quella notte, però, non abbiamo dormito bene, come non abbiamo dormito bene il 31 agosto 2002 quando Daraghmeh è stata annientata e 4 bambini sono rimasti uccisi. Oppure l'8 aprile 2003 quando al Arabib e al Halabi sono state sterminate e con coloro 2 bambini e 5 adulti. O il 10 giugno 2003, durante un tentativo di annientare Rantissi, una bambina, una donna e 5 uomini sono stati ammazzati. Non abbiamo dormito bene nemmeno l'11 giugno 2003 quando Abou Nahel è stata rasa al suolo e altre 2 donne e 5 uomini hanno perso la vita e nemmeno il 12 giugno 2003, dopo l'attacco a Yasser Taha dove un bambino di un anno, una donna e 5 uomini sono morti. (...)
Quale genere di sicurezza abbiamo avuto in cambio? Attacchi su attacchi, noi con i nostri Apache e loro con i loro attacchi suicidi. Una danza folle. Nemmeno quella notte abbiamo dormito e abbiamo deciso di scrivere questa lettera:
«... Noi piloti veterani e attivi che abbiamo servito e serviamo lo stato d'Israele per lunghe settimane ogni anno, rifiutiamo d'obbedire ad ordine d'attacchi immorali e illegali che lo Stato d'Israele sferra nei territori occupati.
Noi che siamo educati ad amare lo Stato israeliano e a contribuire all'impresa sionista, noi rifiutiamo di prendere parte ad attacchi dell'aviazione su concentrazioni popolate da civili.
Noi, per i quali le FID e l'aviazione sono parti integranti di noi stessi, rifiutiamo di continuare a fare del male a civili innocenti.
Questi attacchi sono illegali e immorali e sono il risultato diretto dell'occupazione attuale che corrompe tutta la società israeliana. La continuazione dell'occupazione sferra un colpo mortale alla sicurezza d'Israele e alla sua forza morale».
Abbiamo parlato a più di un centinaio di piloti, tra i quali comandanti veterani dell'aviazione, molti hanno avuto paura di firmare ma hanno sostenuto la nostra idea. (...)
Due settimane dopo la pubblicazione della lettera dei piloti è apparso un rapporto nel supplemento del giornale Yedioth Aharonoth, supplemento nel quale apparivano cinque comandanti di brigata e colonnelli dell'esercito, fotografati in uniforme e armati, che hanno espresso il loro sostegno a Sharon, ai coloni e alla politica d'annientamento. In questa occasione, Yuval Steinitz, membro della Knesset e i suoi amici, non hanno sollevato alcuna obiezione. Il Ministro della Difesa non li ha chiamati sostenitori del terrorismo e non ha decretato sul fatto che si esprimessero in uniforme. Perché? Perché rappresentano il consenso. Perché sostengono il governo. Un governo che ogni giorno diventa sempre meno democratico. Se si chiede ad un cittadino che vive in uno Stato che è diventato una dittatura in quale momento è successo, non potrà rispondere poiché è un processo che cresce senza rendersene veramente conto(...)
Quando il mio paese si trova in una situazione simile ad un aereo che scende in picchiata, ho tre opzioni: posso lanciarmi e lasciare Israele, posso anche continuare e lasciare l'aereo precipitare provocando la morte di più persone, oppure posso tirare la manipola, con tutte le mie forze, per ristabilire la rotta dell'aereo. Noi abbiamo scelto la terza opzione e la gente ci chiede come abbiamo potuto farlo... bisogna combattere il terrorismo che dilaga nelle strade. A costoro rispondo che hanno ragione e che conosco il terrorismo da vicino. Questi ultimi anni ho fatto volontariato in un'organizzazione che aiuta i nuovi immigrati, vittime del terrorismo. Ho aiutato i feriti durante la loro degenza, ho sorretto gruppi d'orfani e membri di famiglie in lutto. Ogni persona è un mondo a parte e ogni lutto provoca cerchi di dolori e ferite, proprio come un sasso gettato nell'acqua che forma una serie di cerchi che si allargano sempre più. Il dolore, la collera, la speranza... Si, bisogna combattere questo terrorismo criminale.
Se devo uccidere un kamikaze che sta compiendo una missione terroristica rischiando la mia vita, sapendo che sto salvando altre vite umane, lo faccio con tutto il cuore; ma nessuno degli annientamenti, cosiddetti selettivi, sono stati diretti contro un terrorista in atto. Dobbiamo combattere i terroristi ma dobbiamo anche combattere per non diventare sempre più uguali a loro. Le esplosioni degli autobus non giustificano le decisioni di Sharon, Mofaz e del Capo dell'Aeronautica, Dan Halutz, di uccidere involontariamente nove bambini nel sonno e di seminare terrore tra un popolo di milioni di persone che vivono sotto il regno degli accerchiamenti, del copri fuoco, dei check-point. Un popolo chiuso in delle mura, in dei campi, sotto il mirino di fucili di un enorme e spaventoso esercito armato fino ai denti, con aerei a reazione che attraversano il cielo in continuazione ed elicotteri d'attacco che lanciano uno dopo l'altro missili sulle automobili, contro le finestre di case in città sovrappopolate e prive di tutto. Ho detto che sacrificherei di tutto cuore la mia vita per fermare, anche con il mio corpo, un kamikaze terrorista, ma credo sia il momento di parlare della coscienza.
Abbiamo perso la fiducia in un sistema che ci chiede di applicare una politica scandalosa e dubbia. Non crediamo ai dirigenti dello Stato, al Ministro della Difesa e ai nostri comandanti altolocati quando ci ordinano di lanciare missili in luoghi dove, questo lo scopriamo sempre dopo, uccideremo donne e bambini(...)
Oggi, i piloti hanno l'obbligo di conoscere le statistiche nauseanti delle missioni che compiono: il 50% delle vittime delle missioni di sterminio selettivo sono civili innocenti. Quando si elimina, intenzionalmente, dal planning e dalle esecuzioni, la cifra, quasi certa, del 50% di vittime civili, mi dico che le candide intenzioni dei pianificatori non sono più così candide ma sono piuttosto macchiate(...)
Mi chiedo se siamo veramente tanto ottusi ed ingenui fino al punto di credere che possiamo reprimere un milione e mezzo di persone che non hanno più nessuna paura di morire. Mi chiedo se non stiamo diventando matti anche noi. Apparentemente si. Mi sembra di far parte di una società in stato di psicosi avanzato, una sorta di personalità divisa e che il solo modo per sopravvivere sia quello di rinchiudersi e di sparire nella nostra propria sfera e, se c'è qualcosa che dovremmo far saltare in aria, è proprio questa sfera.
(Traduzione italiana a cura di Gabriella Pozzobon)
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