Palestina

CONFLITTO ISRAELIANO-PALESTINESE

In Medioriente ci vuole un nuovo ruolo per l'Onu

30 dicembre 2004
Sam Bahour (da Electronic Intifada - http://www.electronicintifada.com)
Fonte: Il Manifesto

È impressionante l'andirivieni di dignitari internazionali che stanno visitando Israele e i Territori occupati da quando è subentrata l'attuale leadership palestinese di transizione. Il segretario di stato americano uscente, Colin Powell, l'inviato dell'Onu per il Medioriente, Terje Roed-Larsen, il ministro degli esteri britannico, Jack Straw, quello russo, Sergei Lavrov, e quello tedesco, Joschka Fischer, tra gli altri, si sono precipitati nella regione, come se la morte di Yasser Arafat abbia rappresentato l'evento di cui l'intera area era in attesa. Sfortunatamente però nessuno di questi diplomatici, né alcuno all'interno della leadership palestinese, ha proposto qualcosa che vada oltre un maquillage delle iniziative già fallite. Tutti hanno posto il fardello del progresso sui risultati delle elezioni presidenziali palestinesi del 9 gennaio.

Il Quartetto, una finzione Usa

Ma l'euforia internazionale che circonda quest'appuntamento passerà rapidamente e la regione si ritroverà nello stesso punto morto dove l'aveva lasciata Yasser Arafat. Ciò di cui c'è bisogno urgentemente è invece un cambiamento degli organismi che hanno finora mediato nel conflitto israelo-palestinese. Al contrario, la navetta diplomatica da parte di superpotenze che non possono o non vogliono porre il diritto internazionale e umanitario alla base della riconciliazione tra israeliani e palestinesi non rappresenta che una perdita di tempo, di denaro e di vite palestinesi e israeliane. Gli Stati uniti hanno dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la loro storica alleanza con Israele impedisce agli Usa di fare da mediatore imparziale. Nel corso degli ultimi anni, la politica israeliana è diventata un problema interno degli Stati uniti, strettamente legata alle elezioni statunitensi, alla politica estera statunitense e al complesso militare-industriale a stelle e strisce. L'orribile processo di Oslo aveva dato a Washington la storica possibilità di passare una spugna sul passato del suo appoggio cieco ad Israele. Ma gli Stati uniti hanno proseguito sulla strada di sempre, perdendo qualsiasi credibilità come mediatore imparziale.

Gli Stati uniti sono perfettamente consapevoli che i loro progetti di mediazione, soprattutto negli ultimi anni, sono screditati, ed è per questo che hanno creato il cosiddetto «Quartetto», che non è altro che un camuffamento del ruolo dominante degli Usa nel conflitto, attraverso l'inclusione al suo interno di Unione europea, Russia e Nazioni unite. Questa inutile struttura diplomatica, che si è autoproclamata mediatrice, non ha praticamente nessuna legittimità internazionale. Negli ultimi quattro anni il Quartetto se n'è stato tranquillamente a guardare un'aggressione israeliana contro i palestinesi che non ha precedenti e il collasso del processo di pace, senza fare nient'altro che quello che gli veniva ordinato dagli Stati uniti.

L'alternativa al Quartetto può essere la creazione di un gruppo di mediazione - istituito su mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu - all'interno del quale però nessun membro abbia diritto di veto. Questo organismo dovrebbe avere le risorse necessarie per portare Israele (l'occupante) e i palestinesi (gli occupati) davanti a un tavolo di trattative, col compito di porre fine all'occupazione militare che va avanti da 37 anni. E le basi per la cessazione dell'occupazione dovrebbero essere quelle prescritte dal diritto internazionale e umanitario. A quest'organismo dovrebbe essere data la possibilità d'impiegare un certo numero di militari per il peacekeeping, qualora ce ne fosse bisogno. Un approccio di questo tipo dovrebbe sostituire il Quartetto con un gruppo composto dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina). Data la particolarità e la storia del conflitto, ad essi dovrebbero essere aggiunte l'Unione europea e la Lega araba. E a favorire un simile percorso potrebbero essere proprio gli Stati uniti.

Ma perché gli Usa, e in particolare l'amministrazione Bush, dovrebbero accettare un meccanismo di mediazione che causerebbe contrasti tra Usa e Israele? Ci sono 101 ragioni per cui gli Stati uniti sono interessati ad essere meno coinvolti nel conflitto israelo-palestinese, non ultime il pantano che gli americani si sono creati in Iraq e i costi crescenti che Israele sta imponendo agli Stati uniti, sia finanziariamente che politicamente. Prima o poi gli Usa si dovranno decidere a rimuovere il dominio israeliano sulla propria agenda politica. Dopo la rielezione Bush ha il «capitale politico» - come continua a dichiarare - da spendere per iniziare a porre riparo ad alcuni dei danni che il suo primo mandato ha creato nel Medioriente. Tuttavia scommettere su una sua mossa unilaterale di Bush è azzardato: c'è bisogno quindi di un intervento della comunità internazionale.

Da questo punto di vista un'opportunità si è aperta l'estate scorsa, quando la Corte internazionale di giustizia, con il parere dato all'Assemblea generale delle Nazioni unite, ha dichiarato «illegale e da smantellare» il «muro di separazione» che Israele sta costruendo nei Territori occupati. Se ne ha la volontà politica, la Comunità internazionale può convincere gli Usa che è nel loro interesse creare un gruppo di mediatori adeguato, che possa deliberare e agire al tempo stesso. L'Europa in particolare ha molto da guadagnare da un allontanamento dalla politica americana sul Medioriente, per proporsi come mediatore autorevole nella regione. Lo stesso può essere detto per la Cina. E se gli Stati uniti rifiutassero di cooperare, allora la Comunità internazionale potrebbe comunque passare all'azione.

Sospendere Tel Aviv dall'Onu

Secondo la procedura delle Nazioni unite chiamata «Uniting for peace», l'Assemblea generale dell'Onu può chiedere un immediato cessate il fuoco e il ritiro di Israele dai Territori palestinesi occupati. L'Assemblea ha anche il potere di inviare una forza di peacekeeping in Palestina per proteggere i palestinesi dalla potenza occupante. La procedura «Uniting for peace» è stata già usata in passato, proprio dagli Stati uniti. Richard Cummings, un professore di diritto internazionale, ha fatto osservazioni simili nel suo saggio «Diritti umani, diritto internazionale e pace nel Medio Oriente» (Tikkun, gennaio 2004). Cummings ha scritto: «Il rifiuto da parte di un membro delle Nazioni unite di rispettare un parere consultivo (come quello della Corte di giustizia) può portare alla sospensione del diritto di voto da parte dell'Assemblea generale. Un esempio di questo tipo fu quando al Sudafrica venne tolto il diritto di voto, perché aveva violato un parere consultivo. Forte di un parere consultivo della Corte di giustizia, l'Assemblea generale può muoversi per rendere effettive le proprie opinioni, scavalcando il Consiglio di sicurezza perennemente bloccato dal veto degli Stati uniti». Il diritto internazionale deve essere definito e applicato dalle istituzioni create per questo scopo e non dalle superpotenze o dalle parti in conflitto che hanno gli eserciti più potenti. La fine dell'occupazione israeliana, in tutte le sue forme, ha il potere di portare giustizia, stabilità e sicurezza in una regione che è sull'orlo dell'autodistruzione. È arrivato il momento che la comunità internazionale si decida ad agire. È arrivato il momento che la comunità delle nazioni imponga il diritto internazionale per far cessare questa tragedia globale.

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