Alessandro, il ragazzo che a Taranto gridava ‘noi vogliamo aria pulita’
17 febbraio 2012, sulla ringhiera
A febbraio dell’anno scorso Alessandro si era arrampicato su una ringhiera davanti alla Procura di Taranto. Ritmava lo slogan: “Noi-vo-glia-mo-a-ria-puli-ta”.
Alessandro era lì a manifestare a sostegno dei magistrati con tanti ragazzi. Una folla aveva pacificamente accerchiato il tribunale perché cominciava il procedimento penale sull’inquinamento dell‘Ilva di Taranto.
Il suo non era solo uno slogan. Alessandro era affetto da fibrosi cistica, una malattia polmonare. Le persone affette da questa patologia di tipo infiammatorio sono predisposte a sviluppare, in seguito ad esposizione alle polveri sottili, un rilevante aggravamento. Fino a soffocare.
Alessandro giocava a pallone ma poteva stare solo in porta. Attendeva il giorno del suo trapianto polmonare. “Così potrò giocare all’attacco”, diceva. Ma all’attacco Alessandro già ci giocava nella vita. Era un trascinatore e a scuola incitava i suoi compagni all’impegno civile, a non voltarsi dall’altra parte e ad essere presenti con lui ovunque ci fosse un’iniziativa cittadina per l’ambiente e per la salute.
Quella lotta era diventata la sua vita. I suoi amici lo chiamavano “il guerriero”. Alessandro si era anche scontrato con alcuni insegnanti che non apprezzavano questo suo impegno. Lui era arrivato a rispondere: “Voi non avete capito cosa è veramente la vita”.
Alessandro dimostrava la maturità di un adulto, forse perché sentiva di essere vicino alla fine. Aveva deciso di non sprecare il suo tempo. Diceva che se Taranto avesse vinto la lotta contro l’inquinamento forse anche lui l’avrebbe vinta e probabilmente non sarebbe stato urgente il trapianto dei polmoni.
“Alessandro amava Taranto in maniera smisurata e, anche se i dottori avevano consigliato di cambiare città, lui aveva deciso di restare per dare il suo contributo”, mi spiega il papà Aurelio.
Cerco su Internet: ‘Alessandro Rebuzzi‘. E, come se aprissi uno scrigno segreto, mi imbatto nelle parole di una ragazza: “E’ come se ancora sentissi il suono della tua voce, della tua risata. La tua allegria coinvolgente che illuminava il mondo e dava un senso alla mia vita. A 15 anni cosa ti aspetti? Le delusioni d’amore, i 4 in matematica, il genitore che non ti fa uscire il sabato. Ma la morte? No… quella no. Perché? Perché le persone muoiono? Non ti ho mai detto ciao, non ti ho mai abbracciato come avrei voluto, non ti ho mai detto quanto ti amassi, e quanto avrei voluto vivere la mia vita, i miei successi, i miei fallimenti insieme a te”.
25 luglio 2012, l’ordinanza
Il 25 luglio dello scorso anno il Gip Patrizia Todisco dava l’ordine di spegnere gli impianti inquinanti dell’Ilva dichiarando che “la gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all’ambiente e alla salute delle persone”.
Il Gip aveva letto la dettagliata perizia epidemiologica di tre consulenti – Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere – i quali concludevano: “L’esposizione agli inquinanti emessi ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi che si traducono in malattia o morte”.
Il Gip Patrizia Todisco in quell’ordinanza di sequestro preventivo degli impianti dell’area a caldo, scriveva: “Non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico”.
In quei giorni sembrava imminente il fermo degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva. E Alessandro ci sperava.
2 settembre 2012, la morte
Ma in quegli stessi giorni si stava avvicinando alle settimane del suo calvario. Il 2 settembre i suoi polmoni avrebbero finito di respirare per sempre.
Il papà Aurelio mi racconta la storia di suo figlio come una corsa contro il tempo. Una storia illuminata dalla fiducia che Alessandro – figlio unico – infondeva ai suoi genitori. “Vedrete che ce la farò, non vi preoccupate”. Già all’età di 12 anni aveva scritto: “Chi butta la vita non è degno di essere ricordato”. Il signor Aurelio me le mostra e si commuove.
Alessandro aveva preso contatti con ragazzi e ragazze nelle sue condizioni e a tutti faceva coraggio.
Aurelio Rebuzzi racconta gli ultimi giorni: “Non farò il trapianto, sto morendo, disse qualche giorno prima di lasciarci”. Di fronte ho un papà straordinariamente comunicativo.
Mi dice che al prossimo incontro con gli studenti mi accompagnerà lui, “perché in me vive Alessandro”. E aggiunge: “Alessandro sarebbe venuto sicuramente all’incontro che farete con i ragazzi e quindi verrò io per lui. Adesso vado da Alessandro e glielo dico. Mi sento carico”. Aurelio ogni giorno va dal figlio e gli parla. Gli racconta quello che succede, il suo dolore e le sue speranze. “Sono andato a chiedergli scusa – racconta – per tutti i tarantini che non hanno votato al referendum sull’Ilva. E gli ho detto: non andando a votare ti hanno tradito”.
Il signor Aurelio sarà con me e Fabio Matacchiera quando voleremo a Bruxelles a parlare del caso Taranto al Parlamento Europeo. Non dobbiamo portare solo statistiche con noi.
6 maggio 2013, il compleanno
Il 6 maggio è il primo compleanno senza Alessandro e il signor Aurelio lo festeggia portando un regalo ad una ragazza che non sta bene. Come se a portarlo fosse Alessandro.
“L’unico stimolo che ho – mi racconta il signor Aurelio – è continuare il progetto di Alessandro”. Mi dà una fotografia del figlio e io gli prometto di scrivere questo articolo per il compleanno di Alessandro.
Lo ascolto commosso questo papà così fiero e determinato. Rimango in silenzio e lui mi dice: “Qui non c’è Aurelio Rebuzzi, qui c’è Alessandro Rebuzzi”.
I genitori di Alessandro Rebuzzi si sono premurati di contattare il Primario del Reparto di Fibrosi Cistica per fornire informazioni scientifiche sulla malattia del figlio. Ci hanno pregato di inserirle qui in modo che tutti possano farsi un'idea chiara e precisa della correlazione fra inquinamento e aggravamento della fibrosi cistica.
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L’inquinamento atmosferico può danneggiare il paziente con fibrosi cistica
Il danno cronico delle vie respiratorie rappresenta il maggior problema clinico della fibrosi cistica. Le vie aeree sono particolarmente suscettibili alle infezioni e rispondono agli stimoli infiammatori in modo amplificato rispetto a quanto succede in persone sane. Gli inquinanti atmosferici hanno un effetto infiammatorio sulla mucosa delle vie respiratorie alte e basse e il loro effetto nocivo è stato dimostrato in malattie respiratorie croniche come l’asma o le broncopneumopatie ostruttive. Si può facilmente pensare che possano peggiorare la malattia nei pazienti con fibrosi cistica.
Uno studio condotto negli Stati Uniti ha chiaramente dimostrato l’effetto nocivo dell’inquinamento atmosferico sulle vie aeree del paziente affetto da fibrosi cistica. I ricercatori (1) hanno trovato una correlazione fra la presenza di piccole particelle nell’aria e il numero di episodi gravi di esacerbazione infettiva che rendevano necessario un trattamento antibiotico per via endovenosa. Le particelle più pericolose sono quelle cosiddette PM 10 o PM 2.5 in cui la sigla numerica è un indicatore del diametro della particella stessa. Si tratta di corpuscoli molto piccoli che più facilmente possono raggiungere le basse vie respiratorie dove tendono a depositarsi e a provocare reazioni da parte dei tessuti. Queste piccole particelle sono presenti prevalentemente nelle zone urbane intensamene trafficate.
Lo studio ha preso in considerazione i pazienti i cui dati clinici sono raccolti nel Registro della Fondazione per la Fibrosi Cistica americana. Questi sono stati combinati con quelli ottenuti dall’Agenzia americana per la protezione ambientale e per il controllo dell’inquinamento atmosferico. (U.S. Environmental Protection Agency and local air pollution). Sono stati analizzati di dati di 11 484 pazienti che vivono in varie regioni del paese e i loro dati clinici sono stati confrontati con i livelli di inquinamento misurati nelle rispettive regioni di residenza.
Lo studio ha stabilito che un piccolo aumento delle particelle PM10 o PM2.5 nell’aria ambientale comporta un significativo rischio di peggioramento delle condizioni respiratorie, fino a rendere necessario un trattamento antibiotico per riacutizzazione dell’infezione polmonare cronica. In particolare, un aumento di concentrazione delle particelle PM10 di 10 millesimi di milligrammo per metro cubo d’aria, provoca un aumento di 8% delle infezioni polmonari gravi, mentre la stessa entità di aumento delle particelle più piccole (PM2.5) provoca un aumento di infezioni gravi del 21%.
Basta che le concentrazioni di PM2.5 aumentino di 10 millesimi di milligrammo per metro cubo d’aria per provocare una diminuzione importante dei parametri respiratori. Un simile aumento, infatti, determina una netta perdita di valori spirometrici. E’ presumibile, anche se mancano dati statistici per dimostrarlo, che a lungo termine l’inquinamento atmosferico comporti un peggioramento della qualità di vita, un aumento di necessità di ricoveri e di trattamenti per via endovenosa e un aumento di mortalità.
Anche un aumento delle concentrazioni di ozono nell’aria si è dimostrato associato a un peggioramento delle condizioni respiratorie dei pazienti.
In generale, i pazienti che vivono in zone meno inquinate hanno migliori funzioni respiratorie.
I pazienti con fibrosi cistica sono affetti da un’infezione cronica e le cellule che ricoprono le vie respiratorie sono sottoposte per questioni genetiche a una risposta infiammatoria aumentata. Si può dunque facilmente comprendere come la reazione a agenti infiammatori ambientali sia per essi molto più pericolosa e come possa provocare un’accelerazione del danno alla mucosa respiratoria. Il danno si esprime di più nelle regioni già danneggiate dalla malattia e meno ventilate del polmone.
L’azione dannosa dell’ozono era già stata dimostrata nell’asma e viene qui confermata per la fibrosi cistica.
Lo studio ha dimostrato che il livello medio di particelle e di ozono erano correlati al numero di episodi di riacutizzazione infettiva che rendevano necessario un trattamento antibiotico per via endovenosa.
La dimostrazione a livello epidemiologico ha valore di per sé, ma la questione del perché le vie respiratorie del paziente con fibrosi cistica presentino una tale suscettibilità resta di interesse scientifico. Ed infatti, ancora nel 2008, sono proseguite le ricerche sperimentali e si sono individuati alcuni meccanismi (2) peculiari che determinano nelle cellule che ricoprono i bronchi una eccessiva risposta infiammatoria dopo esposizione a inquinanti ambientali.
La questione è certamente preoccupante. Molti pazienti cercano di avvicinarsi ai grandi centri urbani dove in genere sono collocati i Centri per l’assistenza e dove sono presenti ospedali dotati di quanto serve per l’assistenza a un malato complesso. Ma in questo modo finiscono per esporsi a situazioni ambientali che peggiorano la propria malattia per l’intensità del traffico e per l’addensamento abitativo.
Per ora non esistono rimedi se non un miglior controllo dell’ambiente che non gioverebbe solo a persone affette da gravi malattie croniche respiratorie, dato che si sa bene che questi dati si aggiungono a quanto già noto sull’associazione fra presenza di particelle fini nell’atmosfera e aumento di mortalità per cause cardiovascolari nella popolazione generale.
Christopher H. Goss, Stacey A. Newsom, Jonathan S. Schildcrout, Lianne Sheppard, and Joel D. Kaufman
Effect of Ambient Air Pollution on Pulmonary Exacerbations and Lung Function in Cystic Fibrosis
Am J Respir Crit Care Med Vol 169. pp 816–821, 2004
O.Kamdara, Wei Lea, J.Zhanga, A.J.Ghiob, G.D.Rosena, D.Upadhyaya
Air pollution induces enhanced mitochondrial oxidative stress in cystic fibrosis airway epithelium
FEBS Volume 582, Issues 25-26, 29 October 2008, Pages 3601-3606
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