Alessandro Marescotti, una vita per l’ambiente
Dal 2001 Alessandro Marescotti segue le vicende dell’Ilva
Laureato in filosofia, insegnante da oltre 30 anni, docente di italiano e storia all’istituto industriale Augusto Righi di Taranto. Ateo, fin da ragazzo impegnato in politica e partecipazione civile, comunista e militante del Pci fino all’89, si è formato sui testi di Marx ma ha poi approfondito la nonviolenza di Gandhi e oggi si definisce eco-pacifista. Alessandro Marescotti, 56 anni, tra i fondatori della rete telematica PeaceLink, di cui è presidente, è uno dei protagonisti dell’ambientalismo tarantino. Da anni è impegnato nella battaglia di informazione e denuncia del disastro sanitario e ambientale di Taranto e della sua provincia. Un impegno iniziato quando per la prima volta scoprì che l’acciaieria Ilva emetteva diossina: oltre il 90 per cento della diossina industriale prodotta in tutta Italia. Dall’esplosione dell’inchiesta “Ambiente Svenduto” della procura con sequestri e arresti, cura un blog sulla testata webilfattoquotidiano.it, nel quale aggiorna i lettori sulla questione Ilva, la fabbrica ritenuta responsabile dell’inquinamento e delle malattie nel territorio, incalzando politici e rappresentanti istituzionali su omissioni e complicità nella vicenda.
Dal comunismo al pacifismo, dall’uso pionieristico della rete all’ambientalismo. Ne ha fatta di strada.
«Ho militato nel Pci, dai primi anni universitari fino allo scioglimento della Bolognina del partito, nell’89. Assieme a me, se non alla mia sinistra, ho avuto a che fare con compagni dell’epoca che oggi sono su posizioni molto distanti dalle mie».
Chi ad esempio?
«Luigi D’Isabella, un tempo marxista-leninista ed extraparlamentare. Oggi è segretario provinciale della Cgil di Taranto. Poi Ludovico Vico, ex parlamentare del Pd, intercettato nell’inchiesta Ambiente svenduto. Era al telefono col factotum Ilva Girolamo Archinà, che gli richiedeva pressioni sul parlamentare e suo collega di partito Roberto Della Seta, affinché non intralciasse il rinvio dell’applicazione dei limiti di emissione del benzo(a)pirene, un potente cancerogeno emesso dall’Ilva. Con Vico siamo stati molto vicini negli anni Ottanta, quando frequentavamo l’Associazione per la Pace. Era un pacifista ed ecologista convinto. Per noi un punto di riferimento, una persona preparata e carismatica. Era nel Pci e fungeva da leader per coloro che a Taranto si riferivano a Pietro Ingrao e alla sue idee».
Era comunista, marxista, o lo è ancora?
«In un certo senso lo sono ancora, anche se mi ritengo più che altro eco-pacifista. Sono per l’onnicrazia di Aldo Capitini. Marx ebbe il coraggio di porre i beni comuni al primo posto, al di sopra della sacralità della proprietà privata e questo mi va bene ancora oggi. E la lotta oggi sulla salute e sull’ambiente è per la preminenza di questi beni comuni sul diritto di proprietà privata. L’articolo 41 della Costituzione sancisce che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Questo è per me oggi il mio riferimento. Oggi con l’ecologia e il diritto alla salute possiamo entrare dentro la fabbrica e porre delle regole a cui la proprietà privata deve sottostare. Da questo punto di vista mi sento in piena sintonia con il marxismo che mi entusiasmava quando ero ragazzo. Ma filosoficamente posso dire che il testo su cui mi sono formato è il Discorso sul metodo di Cartesio, quello basato sull’evidenza. Io sono un cartesiano, mi piacciono gli assi cartesiani, il fascino dell’evidenza con cui mettere a nudo il potere e le sue falsità, come fece Galileo Galilei. Amavo studiare la storia e la filosofia della scienza. Ero e sono convinto che la conoscenza sia uno strumento di trasformazione».
E il pacifismo, l’ambientalismo, l’uso efficace del web?
“Vengono di conseguenza. PeaceLink nasce come associazione eco-pacifista nel 1991. Allora la telematica era vista come uno strumento tecnico per matematici e ricercatori ma noi la piegammo ad altri scopi: elaborammo la “telematica sociale”. Un network per attivisti sociali. Nel 1996, assieme a Carlo Gubitosa e Enrico Marcandalli, scrivemmo il libro Telematica per la pace, cooperazione, diritti umani, ecologia, per promuovere proprio la telematica sociale. Era una sorta di manifesto sul valore della rete come strumento necessario e formidabile per acquisire informazioni e condividerle. Fu un libro per prendere coscienza che la telematica non era una cosa per addetti ai lavori. Il nostro intento quello dell’alfabetizzazione telematica delle persone, perché Internet poteva essere uno strumento di partecipazione attiva».
La sinistra non ha colto la novità della telematica: e voi?
«Chiedevamo una telematica gratuita, scegliemmo allora di costruire la nostra rete con il software di un anarchico americano, Tom Jennings. Volevamo una rete di cambiamento che venisse dal basso e non che fosse venduta dalla Sip di allora. Provammo a organizzare dei corsi negli anni Novanta. Corsi per associazioni e attivisti, per condividere le conoscenze acquisite. Non fummo mai davvero creduti e appoggiati. La sinistra puntava all’epoca sul fax e su quel costosissimo Videotel. Noi abbiamo dovuto lottare per far capire il valore di una tecnologia libera che permettesse il rapporto sociale molti-a-molti, condiviso, tra tutti i cittadini, e non solo uno-a-tutti (come il Videotel), o uno-a-uno (come il fax)».
Come si è accorto invece del potenziale del web?
«Ricordo che mi collegai in quegli anni con il sito del Pentagono, e nella finestra di ricerca, scrissi la parola “Taranto”. Uscirono fuori notizie sorprendenti, che contraddicevano quanto ci raccontavano i politici nazionali e locali, perché in malafede o, semplicemente, ignoranti. Fu formidabile scoprire che eravamo diventati una base Nato ad altra prontezza d’uso senza che i parlamentari delle commissioni Difesa lo sapessero. Potevano arrivare sommergibili americani a propulsione nucleare e portammo alla luce il piano di emergenza che era coperto dal segreto militare. Mettemmo in rete per la prima volta le informazioni sull’uranio impoverito e la mappa dei siti colpiti da quelle armi. Tutti documenti scottanti».
E nel caso Ilva cosa accadde?
«Qualcosa di simile. Nel 2001 pubblicammo sul sito le fotografie impressionanti delle cokerie Ilva. Era un inferno dantesco. Il procuratore capo di allora, Aldo Petrucci, invitato a scuola per parlare di legalità, le vide e rimase senza parole. Io gli chiesi se avesse voluto commentare. Lui rispose che non c’era bisogno di commentarle e mi chiese di portargliele in procura. Furono sequestrate le batterie dalla 3 alla 6».
Le cokerie Ilva. E il web quando ha iniziato a incidere riguardo al caso Ilva?
«Trovammo i dati sulle emissioni di diossine sul web nel database europeo Eper. Era la stessa Ilva che nel 2001 dichiarava di produrne in quantità abnormi. Ma nessuno lo sapeva. I numeri della diossina rimanevano confinati in alcune caselle che nessuno era andato a consultare in quel database europeo. Quando feci vedere quei dati ad alcuni esperti, capimmo che i valori erano stratosferici. Così scoprimmo nel 2005 che a Taranto si produceva il 30% della diossina industriale nazionale. Fino a quel momento nessuno ne aveva mai parlato. Nel 2007 scoprimmo che il dato aveva superato il 90% e la diossina esplose come notizia e come problema per il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola che, nel frattempo, non aveva agito. Poi, nel 2008, facemmo analizzare da un laboratorio specializzato un pezzo di pecorino prodotto nelle masserie vicine alla fabbrica. Era contaminato da diossine e pcb oltre tre volte il limite di legge. Era il segnale che le sostanze nocive erano entrate nella catena alimentare. Di lì in poi è esploso davvero il caso Taranto. Dal 2002 al 2007 erano state commissionate dalla Regione Puglia analisi sugli alimenti per verificare diossine e pcb, ma stranamente non era risultato mai nulla di rilevante».
E in questa battaglia la sinistra l’ha delusa?
«Ho avuto grandi delusioni, certamente. Sicuramente è una sinistra in molti casi arruffona, che non studia, non va a fondo nelle cose, senza sale critico, che non va oltre le informazioni che le possono dare giornali come Repubblica o Corriere. Non va oltre la notizia. In altri casi è stata invece guidata da uomini che sono finiti sotto inchiesta per non aver agito. E qui il caso è ancora più grave. Come non rimanere delusi e feriti? Ho abbandonato l’idea che si potesse cambiare la realtà da quelle postazioni politiche “inquinate” e ho abbracciato l’idea della contro-informazione su Internet. E il web serve proprio a questo».
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