Dalla cultura del "che fare" (e dell'apparire) alla cultura del "come fare" (e dell'essere efficaci)
(Il Corriere della Sera 8/11/04)
Tutti gli esseri umani, per sentirsi reali e dotati di valore hanno bisogno del riconoscimento degli altri. Ma alcuni cercano questo riconoscimento solo quando sono riusciti a realizzare qualcosa bene, un lavoro, un libro, un film, una impresa. Altri invece lo desiderano per se stessi, senza procurarsi prima un qualsiasi merito.
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Anche fra gli studiosi, gli artisti, i manager, i politici ci sono personaggi a cui interessa essenzialmente il risultato. Inventano, lavorano, discutono, se lo ritengono necessario si battono per promuovere il proprio progetto, rilasciano interviste, ma non cercano la visibilità in quanto tale. Ad altri, invece, interessa essenzialmente apparire. Appena possono si procurano una carica altisonante e poi non mancano a nessun congresso, festa, mostra, sfilata, concerto, spettacolo, manifestazione, celebrazione o inaugurazione. E ogni volta parlano, fanno discorsi, cercando sempre di essere ripresi dalla televisione.
Ma le persone a cui interessa il fare e quelle a cui interessa apparire spesso si differenziano per un'altra caratteristica. Le prime distinguono nettamente quello che è solo un progetto da ciò che è una realizzazione concreta. Gli altri no, non danno alcuna importanza a che le cose vengano fatte, a loro basta parlarne.
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Alcune delle persone a cui interessa apparire e non fare, a poco a poco sviluppano una mentalità che le porta a trascurare la realtà e a vivere in un mondo fatto di sole relazioni sociali, politiche, di parole, dichiarazioni. Non gli viene in mente di studiare, approfondire un problema, cimentarsi con i fatti concreti, compiere accertamenti, verifiche. E arrivano a disprezzare quelli che invece studiano, calcolano, misurano, pongono scadenze, e poi vanno di persona a controllare a che punto sono le cose. Finiscono per considerarli dei tecnici incapaci di pensare in grande, oppure dei seccatori che disturbano con la loro pignoleria. Per loro l'atto che conta è solo l'annuncio, il momento in cui emerge la loro persona e la gente ne parla. Poi considerano tutto già finito, realizzato, compiuto.
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