Informatica libera e pacifista: intervista a Carlo Gubitosa
Carlo Gubitosa... presentati in due parole: da che parte hai iniziato con la tecnologia e dove sei arrivato oggi?
Ho cominciato nel 1983. All’epoca facevo la terza media a Taranto e mia mamma mi ha portato ad una festa dell’Unita’ dove c’era un banchetto dell’Arci che raccoglieva iscrizione per un corso di informatica. E’ cosi’ che ho cominciato a muovere i primi passi con il BASIC del Commodore 64 e del TI-99 della Texas Instruments. All’epoca il PC IBM aveva appena due anni, ma c’era chi aveva gia’ intuito profeticamente tutto il potenziale di queste tecnologie. Tra questi c’e’ Alessandro Marescotti, che oggi e’ presidente dell’Associazione PeaceLink e nel 1983 aveva organizzato quel corso di “alfabetizzazione informatica” che mi ha cambiato la vita.
Ricordo come se fosse oggi le prime parole di Sandro, che sono rimaste scolpite nella mia memoria di tredicenne: “tra qualche anno il potere sara’ nelle mani di chi controlla queste tecnologie. Noi organizziamo dei corsi di alfabetizzazione informatica per spostare verso il basso questo potere e consegnarlo nelle mani dei cittadini”. Era solo il 1983. Dopo questo corso ho perso i contatti con Sandro, che ho ritrovato solo 11 anni dopo all’interno dei circuiti di BBS, grazie ad un incontro fortuito con la rivista “Il Giornale della Natura”, che ospitava una rubrica eco-pacifista curata da una rete di BBS che allora muoveva i suoi primi passi: si tratta della Rete PeaceLink, che si e’ successivamente evoluta in una associazione di volontariato dell’informazione, mantenendo intatto fino ad oggi lo spirito dei suoi fondatori: liberare il potere delle tecnologie.
Per molti anni sei stato Segretario di Peacelink: come sei arrivato alla telematica per la pace? I pacifisti erano veramente in anticipo anche sull’Esercito italiano in questo senso?
Le mie scorribande notturne a caccia di files e documenti sulle reti di BBS sono iniziate nell’autunno del 1994, ed e’ cosi’ che ho ritrovato Alessandro e incontrato per la prima volta l’associazione PeaceLink, che in quei mesi era nel pieno della tempesta giudiziaria scatenata dal cosiddetto “Italian Crackdown”, ovvero la piu’ estesa (e stupida) operazione di polizia informatica della storia.
Riguardo al rapporto tra la comunicazione pacifista e l’informazione militare, va detto che ancora oggi i contenuti della rete che parlano di pace sono molto piu’ diffusi dei deliri nazionalisti e militaristi, e sommando la quantita’ di informazioni presenti sui siti delle quattro forze armate (Esercito, Marina, Aviazione e purtroppo anche Carabinieri) non si arriva nemmeno al 10% del materiale presente su www.peacelink.it. Mentre ti scrivo le statistiche del sito rilevano un totale di 20775 articoli, 83 gallerie fotografiche e 375 utenti abilitati all’inserimento dei contenuti sul sito, una “redazione aperta” che cresce di giorno in giorno e alla quale puo’ partecipare chiunque abbia qualcosa da dire.
I pacifisti sono sempre stati piu’ avanti delle forze armate italiane sul “fronte” della comunicazione, basti pensare a situazioni assurde come quelle relative ai militari spediti all’estero nelle cosiddette “missioni di pace”. Dopo la guerra in Kossovo, o meglio dopo i bombardamenti sulla Serbia, molti soldati tornati dalle missioni all’estero si sono rivolti a noi per avere informazioni sulla concentrazione dei proiettili all’uranio impoverito scaricati durante le operazioni di “guerra umanitaria” della Nato. Noi abbiamo fatto quello che avrebbe dovuto fare il ministero della Difesa per informare quei soldati e le loro famiglie: abbiamo preso i dati ufficiali della Nato (una tabella con coordinate geografiche e quantita’ di proiettili esplosi) e abbiamo trasformato quelle informazioni in mappe, dove i pallini rossi indicavano i luoghi dei bombardamenti, e la grandezza dei pallini era proporzionale alla quantita’ di proiettili scaricata sul luogo. Una operazione che chiunque avrebbe potuto fare in un pomeriggio usando un normale programma di trattamento delle immagini. E’ al tempo stesso ridicolo per le nostre istituzioni, umiliante per le nostre forze armate e irrispettoso per i soldati e le loro famiglie lasciare queste attivita’ alla libera iniziativa di associazioni come la nostra.
Come hai visto crescere le reti in quegli anni in cui Internet in Italia ha imparato a camminare? Hai vissuto il passaggio tecnologico importante, quando Peacelink ha deciso di interfacciare la BBS col web senza perdere l’anima vecchia della community?
Veramente il passaggio tecnologico piu’ emozionante e’ stato quello relativo alla posta elettronica, quando i nostri vecchi indirizzi “in tecnologia Fidonet”, le mailbox che allora si chiamavano “Matrix”, sono stati interfacciati ad un gateway che ci ha permesso di ricevere posta anche attraverso Internet.
Credo che la monumentale quantita’ di spam che arriva su c.gubitosa@peacelink.it sia anche correlata al fatto che questo indirizzo di posta elettronica esiste da piu’ di 10 anni, ben prima del “boom” scatenato dall’avvento di provider come Video On Line e TIN (ma prima ancora c’erano BBS che offrivano servizi internet in formato testo, come Galactica e Mc-Link). Alla fine le tecnologie sono solo degli strumenti, e le persone che c’erano dietro peacelink allora sono le stesse che ancora oggi animano l’associazione, aprendo nuovi spazi a tanti ragazzi che sono diventati nel corso degli anni la vera colonna portante delle nostre attivita’ e che lasciano un po’ di riposo alle nostre vecchie ossa dei dinosauri.
Il primo protocollo di comunicazione che abbiamo usato e’ stato quello postale :-) prima di conoscere le BBS Sandro Marescotti diffondeva un bollettino cartaceo chiamato “NIM” (Notizie Informazioni Messaggi) un foglio di collegamento preziosissimo perche’ all’inizio degli anni 90 nessuno conosceva internet, in pochi usavano il costosissimo fax e quindi le informazioni dei movimenti per la pace passavano attraverso riviste che a volte raggiungevano i lettori con notizie gia’ vecchie di settimane. Per questo Sandro portava in giro per le classi e per la citta’ uno dei primi computer “trasportabili” che utilizzava per produrre il bollettino NIM, successivamente diffuso tramite posta ordinaria. Leggendo i primi messaggi della rete di BBS puo’ sembrare strano l’invito a sostenere PeaceLink con l’invio di francobolli, ma all’epoca i francobolli servivano eccome.
Dalla posta ordinaria siamo passati alle reti di BBS e da qui al web, e dal 2003 grazie al contributo di Francesco Iannuzzelli PeaceLink dispone di un CMS fatto su misura per le esigenze dell’associazione. Questo software, ovviamente rilasciato con licenza GPL, si chiama PhPeace, un nome che mi e’ venuto in mente per contrasto con il PhPnuke, uno dei primi CMS “free” apparsi in rete assieme a quello usato da Slashdot. A dimostrazione del fatto che la pace funziona meglio della guerra lo sviluppo del PhPnuke ormai e’ praticamente fermo, mentre PhPeace sforna nuove build praticamente ogni settimana, e la struttura di questo software e’ pienamente basata sull’utilizzo dei web standards XML/CSS/XSL, il che lo rende particolarmente adatto per siti orientati alla massima accessibilità. Attorno al PhPeace sono nate anche delle buone occasioni di lavoro, basta guardare siti come terre.it, antennedipace.org o resmarche.it, solo per citare alcuni dei progetti che il team PhPeace ha realizzato in questi anni. A proposito, se c’e’ qualche valido programmatore PHP in ascolto che abbia una buona conoscenza dei web standards puo’ mettersi in contatto con noi ai recapiti presenti su phpeace.org.
Hai scritto diversi libri sulla pirateria e l’hacking anche italiano: il volontariato e il pacifismo telematico erano vicini all’ambiente degli hacker e dei cyberpunk? In rete, si scarica da qui il tuo volume Hacker, scienziati e pionieri (Storia sociale del ciberspazio e della comunicazione elettronica). Raccontaci qualcosa anche per i lettori più giovani, per i quali Hacker Crackdown potrebbe il nome di un utensile per snocciolare la frutta agli scoiattoli.
Negli anni ‘90 le reti di BBS hanno rappresentato uno spazio libero utilizzato con efficacia da tutte le culture minoritarie che non trovavano (e non trovano tuttora) spazio all’interno dell’informazione commerciale. E’ cosi’ che in questo spazio si sono ritrovate le minoranze piu’ varie, colorate ed eterogenee: gli scout cattolici hanno creato scoutnet, dalla cultura libertaria dei centri sociali e’ nata cybernet, dal mondo pacifista e dalla cultura nonviolenta ha preso vita PeaceLink, l’area piu’ “geek” delle controculture digitali degli anni 90 si e’ ritrovata attorno a BBS come la Metro Olografix di Pescara, e tutte queste anime della telematica sociale italiana hanno fatto informazione assieme, imparando a rispettarsi a vicenda. Per me quell’epoca e’ stata una grande scuola di tolleranza e di rispetto, e al tempo stesso una finestra su mondi che altrimenti non avrei mai incontrato. Rispetto a questa situazione l’esplosione di massa del web ha avuto anche degli effetti negativi, e oggi in rete e’ piu’ facile trovarsi “tra simili” che incontrare persone molto diverse da te.
Come hai visto evolvere l’etica collaborativa e libertaria col passare del tempo e le innovazioni tecnologiche che trasformano il web ogni tre anni?
Per parlare degli aspetti puramente comunicativi, che riguardano la sociologia, la storia e la cultura, una intervista e’ uno spazio troppo corto. Mi limito ad osservare due cose: la prima e’ che finalmente le tecnologie cominciano ad avere un impatto anche sulla nostra vita quotidiana, e non solo sulla nostra vita in rete. A gennaio ho trascorso un mese in Africa, comunicando con l’Italia via SMS anche da angoli sperduti, contattando via email e via voip le persone che mi hanno ospitato, continuando a scrivere articoli e a collaborare come giornalista freelance con il settimanale Carta per il quale seguo una rubrica fissa, e questo solamente cinque anni fa non sarebbe stato possibile.
Quando parli di “etica collaborativa e libertaria” penso a come sarebbe cambiato il mondo se persone come Danilo Dolci, Mohandas Gandhi o Aldo Capitini avessero potuto disporre degli strumenti che noi oggi utilizziamo per scaricare suonerie o fare blog autoreferenziali. In una tua intervista dicevi di pensare che “l’informazione e la comunicazione non siano solamente degli “accessori” da mettere al servizio dei contenuti ma dei veri e propri ambiti strategici”, ci puoi spiegare in due parole concetti come Information Warfare oppure consumo critico dei media?
Purtroppo l’informazione pacifista e nonviolenta e’ molto meno strutturata di come potrebbe esserlo. Da questo punto di vista la Rete Lilliput e’ stata una grossa speranza per l’affermazione del modello TCP/IP anche nell’ambito dell’impegno sociale: una rete fatta di nodi tutti uguali, con una struttura orizzontale e una organizzazione leggera dove ogni nodo puo’ attivarsi istantaneamente coinvolgendo a catena anche tutti gli altri nodi, insomma una vera e propria struttura militante per il cambiamento sociale, aperta non solo agli attivisti di professione ma anche ai padri di famiglia che hanno solo un’ora di tempo alla settimana da regalare alla rete. Purtroppo la sovraesposizione mediatica durante i giorni del G8 genovese e il ripetersi dei meccanismi associativi di sempre hanno trasformato la Rete di Lilliput in un’altra megaassociazione/comunicatificio che ha perso molto della sua freschezza iniziale.
PeaceLink, per la sua stessa natura di gruppo molto disperso sul territorio, non e’ mai riuscita a creare dei punti di presenza sul territorio, e quindi se nell’ambito della produzione di cultura il mondo pacifista e’ piu’ avanti delle strutture militari, sull’analisi strategica dell’utilizzo dei media i cosiddetti “think thank” del Pentagono sono avanti anni luce rispetto allo spontaneismo dei movimenti. E’ proprio da questi “serbatoi di cervelli” che nasce il concetto di “Information Warfare”, che in due parole puo’ essere definito come l’estensione della guerra dalla sfera fisica e materiale a quella informativa e culturale. Per i teorici dell’Information Warfare (letteralmente “la macchina da guerra dell’informazione”) i media sono al tempo stesso una macchina da guerra (che costruisce nelle nostre teste il consenso necessario per bombardare altri paesi) un campo di battaglia (dove vincere la resistenza culturale di chi si oppone alle invasioni di altri paesi) e anche un obiettivo militare (basti pensare che nelle ultime tre guerre combattute dagli Usa con il nostro appoggio sono stati bombardati il palazzo della televisione RTS di Belgrado, la sede di Al Jazeera di Kabul e quella di Baghdad).
Credo che l’impatto sociale delle comunicazioni sia stato studiato molto piu’ accuratamente dalle strutture militari che dal settore pacifista, anche se in questo senso le tre persone che ho citato prima (Dolci, Gandhi e Capitini) sono stati dei precursori anche nel settore della comunicazione: Dolci ha realizzato la prima radio pirata Italiana nel 1970, Gandhi ha collaborato con giornalisti per rivoltare l’opinione pubblica inglese contro l’occupazione coloniale dell’India, Capitini ha capito che un simbolo universale di pace come una bandiera arcobaleno poteva avere un impatto sociale e simbolico molto forte. Il consumo critico dei media e’ semplicemente l’applicazione ai libri e alle riviste di tutti quei ragionamenti che facciamo su Coca Cola e McDonald’s: se compro questo prodotto danneggio me stesso, gli altri o l’ambiente? A prima vista un libro sembra intrinsecamente inocuo, ma se lo compriamo all’autogrill stiamo aggiungendo il nostro granello di sabbia all’ingranaggio che sta spazzando via tutte le piccole librerie di quartiere, e la stessa desertificazione culturale viene alimentata dal sostegno alle grandi catene librarie come Mondadori e Feltrinelli che stanno mettendo seriamente a rischio la biodiversita’ culturale del paese. Se applicassimo dei criteri etici anche a libri, giornali e riviste, dovremmo rifiutarci di comprare quotidiani che rubano soldi dalle casse dello stato spacciandosi per giornali politici e attingendo a finanziamenti pubblici con trucchi e stratagemmi, come accade per il “Foglio” di Ferrara che a parole proclama il liberismo economico ma nei fatti si attacca alla mammella statale grazie al sostegno bipartisan dei parlamentari Pera e Boato che hanno creato una organizzazione ad hoc per far piovere sul panzone di Ferrara decine di migliaia di euro all’anno.
Con la facilità di pubblicare e personalizzare i media digitali in maniera semiprofessionale, va di pari passo anche il rischio di vivere in un piccolo mondo autoreferenziale e chiacchierone.
L’autoreferenzialita’ e’ il rischio piu’ grande del mondo dei blogger, ed e’ per questo che non ho mai avuto tempo e voglia di creare un blog personale, ma ho sempre preferito il gioco di squadra redazionale all’interno di comunita’ virtuali come quella di PeaceLink, in fin dei conti l’unione fa la forza. In questi mesi, grazie al grande contributo di tutti i volontari (tra cui molti ragazzi) che organizzano le loro energie all’interno dell’Associazione PeaceLink, ho avuto il tempo per ragionare su nuovi progetti di comunicazione, e sto meditando un “ritorno alla carta” per creare una piccola iniziativa editoriale che possa far uscire dal cyberspazio tanti contenuti di valore che rischiano di essere confinati al mondo delle reti e alle ristrette cerchie dei gia’ informati. Ad esempio il lavoro del vignettista Mauro Biani, amico e collaboratore di PeaceLink meriterebbe di essere apprezzato anche da chi non frequenta i blog, ma semplicemente le edicole o le librerie. Al momento la mia e’ solo una idea. Se qualcun altro vuole ragionarci sopra puo’ scrivermi su carlo@gubi.it
Ripartiamo dal tuo libro Elogio della Pirateria, che si scarica qui in versione definitiva e di cui si parla qui su Cultura Libera e qui su Scarichiamoli. Credi che le licenze CC possano favorire forme di creatività meno commerciale per le nuove generazioni? Quale credi sia il loro valore attuale e futuro?
Riguardo alla cosiddetta “pirateria”, io sono convinto che basti aspettare un po’ di tempo per affermare anche in rete il diritto di fare quello che gia’ facciamo legalmente quando leggiamo un libro preso in prestito da una biblioteca, o quando guardiamo gratis un film di una cineteca, o quando ascoltiamo gratis musica alla radio o vediamo gratis film in televisione, e cioe’ il diritto di accedere liberamente a qualsiasi opera dell’ingegno umano a condizione di non ricavarne nessun vantaggio economico prima di una ragionevole scadenza del copyright.
Le licenze Creative Commons sono uno strumento potentissimo, ma credo che risolvano piu’ problemi per gli autori libertari di quanti non ne risolvano per gli utenti privati delle loro liberta’. Ci vorrebbe qualcuno piu’ influente di me che trovi finalmente il coraggio di dire che le attivita’ della Siae sono piu’ simili a quella di una associazione a delinquere che non a quelle di una istituzione pubblica al servizio dei cittadini e degli autori. Per accorgersi di questo basterebbe soffermarsi per un attimo sul regime di monopolio forzato creato attorno alla Siae (perche’ come autore di libri non posso farmi rappresentare da chi voglio?), le pratiche di distribuzione degli utlili che premiano i famosi e impoveriscono gli esordienti, le continue vessazioni operate perfino sui gruppi di bambini bielorussi che eseguono in pubblico canzoni popolari.
Cosa consigli come riferimenti ad un giovane appassionato di tecnologia che abbia voglia di darsi da fare o semplicemente di tenersi informato?
Consiglio la libreria sotto casa, la pratica diretta su hardware e software libero, l’incontro dal vivo con altre persone che condividono gli stessi interessi, la frequentazione di blog intelligenti come questo.
Sei formatore per i Caschi Bianchi del servizio civile italiano all’estero, che ruolo ha la tecnologia oggi e che ruolo potrebbe avere come strumento per queste missioni di pace? Esistono progetti di volontariato puramente elettronico riguardo al digital divide?
Alcuni volontari di PeaceLink sono stati in Africa in piu’ occasioni per offrire formazione dal vivo e supporto tecnologico a realta’ locali di promozione sociale, che hanno successivamente dato vita a siti come www.newsfromafrica.org. Un altro spazio molto interessante e’ www.antennedipace.org, dove i caschi bianchi in servizio civile all’estero pubblicano i diari, articoli, dossier, reportage fotografici e da un po’ di tempo anche dei video grazie all’hosting di youtube che ci consente di risparmiare un bel po’ di banda grazie all’embedding dei video sul sito.
Io e Lorenzo Salvadorini abbiamo realizzato un “portable PC” per la dottoressa Chiara Castellani, equipaggiando una penna USB con software libero in versione portabile che ha permesso a Chiara di viaggiare con l’ufficio in tasca. Spesso anch’io faccio fatica a credere nell’importanza delle tecnologie, e mi viene da pensare che l’Africa in fin dei conti ha bisogno di altro. Ma poi mi sorprendo ascoltando padre Kizito Sesana raccontare che “la poverta’ di comunicazione e’ una delle poverta’ con le conseguenze piu’ tragiche in Africa”, o la dottoressa Castellani quando scrive a PeaceLink raccontando che «Se avessi avuto questi spazi nel 1997 non ci sarebbe stato il massacro di Kenge, e nel ‘98 non avrebbero ucciso il dottor Richard. Molti non sanno cosa significa l’isolamento mediatico; a Kimbau non ho neanche un telefono. Solo l’e-mail. E quando, come stasera, riesco ad aprirla, gridano forte le voci degli oppressi».
In generale chiunque abbia un minimo di competenze tecnologiche da mettere a disposizione dell’informazione sociale puo’ trovare molti spazi in cui esprimersi. Uno di questi e’ proprio l’associazione PeaceLink. Se poi si ha la possibilita’ di viaggiare, ancora meglio.
Un paio di aneddoti da una vita passata al computer?
L’emozione della prima volta che ho installato un webserver a partire dai pezzi sfusi di un computer, e sono riuscito a fare tutto in poche ore a dispetto della mia ignoranza grazie a Redhat e Phpnuke, oppure l’angoscia provata quando mi sono alzato bruscamente dal tavolo e il mio fedele Toshiba e’ precipitato a terra “di faccia” (cioe’ aperto e col monitor all’ingiu’) perche’ mi ero impigliato nei fili delle cuffie, e tutte le settimane passate a studiare tecniche di recupero dati per riuscire finalmente a ritrovare i file che non erano stati coperti dall’ultimo backup, i primi collegamenti ai BBS con interfacce testuali che mi davano la sensazione di rivivere i film “wargames”, il primo libro scritto in formato TXT, l’emozione di volare su un’aquila durante le mie due settimane di prova su There.com (un mondo virtuale che ha preceduto il boom di “Second Life”), la gioia di chattare dall’Africa con la mia compagna che in quel momento si era casualmente collegata a Gmail, le grandiose partite di Quake giocate con i miei compagni di appartamento in quattro stanze differenti della stessa casa, il programma BASIC scritto a monitor spento all’istituto tecnico durante un’ora di laboratorio per far suonare in sequenza le settte note musicali a ripetizione mentre io ero in bagno con l’alibi perfetto, le interminabili partite di Mr.Do che una volta mi hanno fatto tornare a casa da scuola due ore dopo il pranzo perche’ con 200 lire ormai avevo imparato a giocare all’infinito e vincevo anche delle partite bonus, ma soprattutto le persone eccezionali che ho conosciuto in rete e che ancora oggi mi aiutano a risolvere i bug del cyberspazio e quelli piu’ rognosi della vita reale.
Per chiudere, i software di cui Carlo non può fare a meno…
Ho iniziato ad adottare anch’io una soluzione “portabile” per la mobilita’ dei miei dati, e credo che la sfida del futuro sia quella di tenere fermi i computer facendo muovere solo i dati che ci servono a farli funzionare. Attualmente sulla mia pennetta USB sono installate le versioni portabili di Filezilla, Irfanview, Skype e Putty, ma il software di cui proprio non posso fare a meno e’ Eudora, che finalmente ha deciso di aprire i suoi sorgenti dando vita al progetto Penelope che mira a costruire una versione aperta di Eudora come evoluzione di Mozilla Thunderbird. Altri due utilissimi compagni di strada sono l’editor Textpad e il sempre piu’ potente e versatile Firefox, che ho farcito di estensioni all’inverosimile.
http://www.gubi.it
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