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La telematica per la pace

Intervista ad Alessandro Marescotti

Un profilo degli utenti di PeaceLink e un'analisi del rapporto fra iniziativa reale e attività in rete.
2 settembre 2004
Fonte: Reti Solidali - periodico dei Centri di Servizi per il Volontariato del Lazio

- Che rapporto c’è tra i frequentatori del sito di PeaceLink e i manifestanti in piazza?

C’è un rapporto stretto. La mobilitazione sociale per la pace e la consultazione del sito di PeaceLink (www.peacelink.it) vanno di pari passo. Credo tuttavia che la telematica per la pace svolga un ruolo che va oltre la manifestazione di piazza: promuove infatti la controinformazione nel vivere quotidiano. Arriva lì dove la manifestazione finisce. Esiste una fascia di persone che utilizza l’Internet pacifista come strumento di informazione personale nella propria attività quotidiana. Questa fascia di persone non è sempre “in piazza” ma è connessa saldamente alle reti di socializzazione alternative. Esiste cioè un “individualismo di massa” positivo che si manifesta nel quotidiano al di fuori delle manifestazioni più eclatanti. Sono cittadini insoddisfatti dell’informazione dei mass media reticenti. I “cittadini elettronici” costruiscono un nuovo circuito. Chiedono informazioni non manipolate. Spesso quando le trovano le diffondono con il proprio computer sulle mailing list o agli amici della propria rubrica elettronica. E’ una “manifestazione” quotidiana di libertà. E’ un corteo di diecimila persone (tanti sono in media gli utenti quotidiani di PeaceLink) le quali giorno dopo giorno spostano informazioni e, nel loro piccolo, danno un contributo al cambiamento culturale. In questo rapporto costante si sta formando una coscienza civile sempre più forte e diffusa che ha poi modo poi di manifestarsi in piazza nei momenti di maggiore urgenza.

- Ai picchi sul web corrispondono picchi di pacifisti manifestanti?

Ovviamente. Pensiamo al 15 febbraio del 2003, quando c’è stata la manifestazione internazionale contro la guerra ed è scesa in piazza quella che il New York Times ha definito la “seconda potenza mondiale”. Gli analisti, quelli che fanno i conteggi di cosa i cyberutenti cliccano sul web, hanno scoperto che la parola “pace” è entrata di prepotenza su Internet. Un osservatorio indipendente come Webnews ha rilevato: “Un argomento che ha catalizzato gli interessi dei navigatori in Febbraio è stato il tema della pace. Lo stesso Osservatorio Internet Keyword di AltaVista Italia ha confermato che la parola pace è stata la quarta parola più cercata su Altavista nella prima settimana di Marzo 2003. Stesso trend rilevato da Nielsen. Siti come fermiamolaguerra.it, lo storico peacelink.it oppure bandieredipace.org hanno superato i 100 mila visitatori unici, ancora a dimostrare come la rete sia sempre più uno strumento di informazione e di partecipazione democratica”.
PeaceLink ha registrato il suo picco storico di utenti il giorno in cui gli Usa hanno sferrato l’attacco in Iraq: il 20 marzo 2003. Questi sono i dati:
17 marzo 2003: 14.174 utenti
18 marzo 2003: 15.398
19 marzo 2003: 15.993
20 marzo 2003: 20.263 (giorno di inizio della guerra)
Nel giorno della guerra sono stati scaricati da PeaceLink 1475406 kilobytes di informazioni (quasi un giga e mezzo).

- Quali sono le tipologie di navigatori sul sito (età, professione, sesso etc.) e qual è la loro evoluzione?

La più importante evoluzione è quella delle donne. Quando iniziammo PeaceLink nel 1991 erano l’1%. Oggi invece si sono pienamente impadronite della telematica per la pace e costituiscono il 50% degli utenti. Una parità assoluta. Facendo una valutazione a campione degli utenti che si sono registrati nel database dei volontari antiguerra di PeaceLink abbiamo notato che non vi è differenza regionale: le donne sono il 50% sia in Lombardia sia in Sicilia. Non disponiamo di dati precisi per l’età e la professione ma sicuramente gli studenti stanno costituiscono sempre più una categoria sociale di riferimento. Bene o male i motori di ricerca su Internet stanno sostituendo le classiche enciclopedie ed è facile che gli studenti si imbattano nella telematica per la pace, specie se sono stimolati da bravi insegnanti.

- La rete di volontariato di pace contribuisce (e se sì in che modo e misura) a promuovere nuove forme di volontariato operative anche oltre la rete stessa?

Sì, rete e realtà sono complementari e la rete contribuisce a rendere “visibile” il volontariato sociale. Sta accadendo che i siti web e le mailing list locali stiano diventando sempre di più centrali nella vita cittadina e locale. Internet, che ha avuto un ruolo per collegare persone a grandi distanze, sta ora facendo incontrare le persone “dal vivo”. Si finisce per conoscere cittadini che magari abitano nel palazzo accanto. E’ più facile inviare una e-mail a una persona che fermarla per la strada. La comunicazione elettronica fa superare la timidezza, è molto più spontanea di quanto si pensi. Questa potenzialità va ancora esplorata a fondo ma è la grande frontiera della telematica per la pace. Fare incontrare le persone e creare movimenti in loco è possibile ora che la diffusione dei computer sta diventando sempre più capillare. Magari occorrerà studiare un’interfaccia con i telefoni cellulari in modo da trasferire via SMS le notizie degli appuntamenti cittadini. La pace inoltre si diffonde anche mediante la carta: occorre stampare e incollare locandine nelle bacheche delle scuole, nelle vetrine delle librerie amiche, ecc.

- Quanto l’operare in rete può favorire l’attività dei volontari?

Moltissimo. Vi sono persone che non possono fare molto volontariato di giorno per via del lavoro e che, magari di notte, creano pagine web preziosissime sfruttando le proprie competenze. E quelle stesse pagine possono favorire l’attività di un “volontario vero” che di giorno vuole fare un’azione positiva in città, a scuola, in parrocchia o con la propria associazione. Ad esempio cliccando su http://db.peacelink.org/associaz si può cercare l’associazione più vicina e prendere contatti; ma è possibile pure inserire i dati del proprio gruppo e segnalarsi. PeaceLink significa, non a caso, “collegamento di pace”.

- Che rapporto c’è tra il pacifismo di oggi, fondamentalmente apolitico e trasversale, e quello degli anni ’70, connotato politicamente e culturalmente?

La differenza è notevole, nel senso che vi è una maggiore indipendenza dai partiti e la stessa bandiera della pace, con i colori arcobaleno, ha sovrastato le bandiere rosse nelle ultime manifestazioni pacifiste. Tuttavia il pacifismo di oggi ritengo – e lo dico in positivo – che sia molto “politico” e che abbia molto da proporre ai partiti. Opporsi alla guerra è un atto politico. I pacifisti che non fanno il pieno con la benzina Esso (la multinazionale che rifornisce l’esercito americano) compiono un gesto politico. Le campagne di boicottaggio contro le multinazionali della guerra
(http://italy.peacelink.org/boycottalaguerra) consentono di “votare” con il nostro portafoglio. Sulle caratteristiche del nuovo pacifismo abbiamo creato un’apposita FAQ (Frequently Asked Questions, domande poste frequentemente) che si può leggere su http://www.peacelink.it/associazione/html/faq.html

- In nome del pacifismo oggi operano insieme laici e cattolici. Il papa stesso sembra essere anche leader dei laici. Quali riflessioni si possono fare?

I laici si sono fatti superare dai cattolici. In generale, la cultura religiosa ha dato un impulso alla pace molto più forte rispetto alla cultura laica. Lo dico in modo autocritico in quanto sono un laico, non vado a messa, non prego. Ma vedo molta più forza e determinazione in chi va a messa e prega rispetto a chi scrive su Repubblica. Sugli aspetti storici e culturali posti da tale questione rinvio alla “storia della pace” che si trova su PeaceLink all’indirizzo http://italy.peacelink.org/storia L’Illuminismo fu pacifista e criticò la religione tradizionale per l’immobilismo o per l’intolleranza. Marx definì la religione “l’oppio dei popoli”. Oggi l’oppio dei popoli è la TV. E il Papa sveglia le coscienze. Magari poi ci pensano a riaddormentarle quei preti che fanno della religione una ritualità dell’abitudine.

- Esiste una partecipazione giovanile strutturata in quanto tale e quindi destinata a durare, oppure si tratta prevalentemente di movimenti spontanei dettati da impulsi contingenti?

Esiste una fascia di “trentenni” molto attiva che è la spina dorsale dei siti Internet pacifisti e della novità che girano in rete e fuori della rete. Sono i “giovani vecchi”. Purtroppo la partecipazione della massa dei più giovani è episodica. Forma immense ondate sotto da pressione degli eventi. Sui tre milioni della manifestazione di Roma del 15 febbraio 2003 almeno due milioni erano i ragazzi sotto i vent’anni. Ma poi ritorna una cultura che mette al centro altro: la moda, la pubblicità, i miti della società di massa. Sarebbe bastato che una metà avesse modificato i propri consumi, boicottando le multinazionali della guerra, per creare un grosso problema. Ma supermercati si riempiono più delle chiese, gli spot sono molto più potenti del discorso affettuoso di una mamma. E’ compito degli educatori creare degli antidoti. Occorre una cultura della resistenza. Ma è già molto che i ragazzi abbiano rifiutato la guerra e che non vestano con abbigliamenti militari. Nell’estate del 2003 erano già pronti dei capi di abbigliamento provenienti dalla moda Usa che avrebbero trasformato milioni di ragazze e ragazze in tanti marines, orgogliosi di portare i simboli dell’esercito americano vittorioso. Oggi quella moda è stata sconfitta e gli “stilisti” hanno dovuto prima sovrapporre dei simboli pacifisti alle magliette grigioverdi. E ora l’unico “trend” è quello che incorpora simboli pacifisti. I ragazzi hanno sconfitto l’ideologia della guerra e non troviamo le piazze e le vie piene di divise militari indossate da giovani civili, per fortuna. Non siamo ancora ad un’adesione cosciente al pacifismo ma sicuramente i pubblicitari hanno capito che la guerra non fa vendere e che i giovani non si fanno vestire da soldati.

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