Peacelink: telematica per la pace
L’origine di PeaceLink va ricercata nel volontariato “telematico” e nella sua storia attraverso cui, con il vocabolario della non violenza e della resistenza alla cultura della guerra, assume le sembianze dell’informazione e del giornalismo d’inchiesta esaltando una tradizione che in Italia poco ha attecchito. Perché in questo paese appartengono a mosche bianche le voci che hanno regalato agli italiani frammenti di verità altrimenti mai emerse. I pochi esempi citabili tra i possessori del tesserino da giornalista sono quelli di Andrea Purgatori (Il Corriere della Sera) e Daria Lucca (Il Manifesto) sul caso Ustica, Milena Gabbanelli e Bernardo Iovene (Report) su una serie eterogenea di argomenti e ancora Maurizio Torrealta sull’omicidio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Pochi altri si possono aggiungere a una tradizione professionale che, dalle folte schiere del suo albo nazionale con tanto di praticantato ed esame abilitante, guarda con ammirazione i tempi in cui Bob Woodward e Carl Bernstein dalle colonne del Washington Post davano lezione al mondo intero a colpi di Watergate, ma poi rinuncia rincorrendo liti di partito, faide consumate nelle stanze dei bottoni, storiacce di provincia e gossip estivi.
Eppure l’area della nonviolenza ha contribuito moltissimo alla difesa dell’informazione, al recupero di fatti, all’emersione di situazioni che altrimenti sarebbero rimaste insabbiate. Si pensi a Peppino Impastato che, dalle frequenze di Radio Aut, raccontava la mafia siciliana e le sue aggressioni quotidiane. O ancora a Mario Francese, Mauro De Mauro e molti altri. Senza voler qui compilare l’epitaffio del giornalismo d’inchiesta, torniamo a PeaceLink che, con il suo lavoro, ha parlato in questi anni degli stabilimenti dell’Ilva di Taranto e delle loro emissioni inquinanti, dell’uranio impoverito e delle sporche guerre dei Balcani combattute a suon di armi impronunciabili, del G8 di Genova quando nel luglio del 2001 si registrarono i più sanguinosi e ambigui assalti alla popolazione civile che manifestava pacificamente, di ecomafia e del giro affaristico che cresce dietro lo smaltimento illegale dei rifiuti, o della lottizzazione dell’acqua, bene la cui artificiosa scarsità sta generando profitti da capogiro per chi ne gestisce l’erogazione con le regole della malavita.
PeaceLink è anche questo e scandisce accanto agli argomenti di cui sopra una nuova storia della pace che, contrapponendosi alla politica del Risiko in real life, esalta parallelamente le conquiste pacifiche del progresso umano. Come si fa?, verrebbe da chiedersi. Con la comunicazione e l’informazione, risponde chi da anni lavora su questo fronte, avendo davanti esempi illustri a cui ispirarsi: il Mahtma Gandhi che ha usato le parole contro l’occupazione coloniale inglese o Oscar Romero, vescovo del Salvador, che dal pulpito e da una radio, fece appello alle coscienze dei militari perché rifiutassero ulteriori violenze su gente inerme.
Ma la libertà di informazione si paga in diversi modi. Si paga anche quando non si percepisce un compenso diretto nemmeno per la pubblicazione di banner, spazi pubblicitari che potrebbero distrarre il focus informativo a favore degli inserzionisti stessi. E così PeaceLink difende la propria libertà di informazione con la campagna “Banner free” a garanzia di ciò che pubblica. Ma si paga anche quando ci si vede recapitare una denuncia per aver pubblicato (anzi ripreso, visto che era già comparso altrove) il manifesto di un forum ambientalista che conteneva anche la firma di un consulente Nato per questioni ambientali e militari. Ammontare della richiesta di risarcimento: 50 mila euro. Se anche poi la vicenda si è conclusa con un nulla di fatto, il pagamento previsto per la propria attività ha richiesto anni di difesa che, probabilmente, se si facessero i conti avrebbe un costo molto alto.
Se a tutto questo si aggiunge infine (ma non ultima) la politica di rilascio dei contenuti di PeaceLink, che possono essere riprodotti, ecco che si completa un puzzle complesso ma coerente, che torna alla libertà di informazione anche laddove questa si fa di carta, come nel caso di Italian Crackdown, libro uscito nel giugno 1999 e firmato da uno dei leader storici dell’associazione, Carlo Gubitosa, che ripercorre i fatti del 1994 quando il giro di vite contro gli hacker di casa nostra portò a «sequestri, censure, perquisizioni, intimidazioni e violazioni dei diritti costituzionali […] nel più totale disinteresse dei media e della politica».
È sempre Carlo Gubitosa che risponde all’intervista dedicata a PeaceLink e porta, con le sue parole, a capire meglio un’organizzazione che rappresenta oggi una colonne portanti per l’informazione in Rete e il cui valore esce dalla Rete stessa laddove smuove situazioni spinose lavorando perché diritti violati vengano ristabiliti.
Peacelink non è solo un sito, ma un sito di siti i cui argomenti, pur legati da un filo conduttore comune, trattano argomenti tra di loro differenti. Come è avvenuta una crescita così rigogliosa e articolata? Attraverso quali criteri valutate l’inserimento di una nuova area tematica? Esiste un monitoraggio sull’evoluzione dell’area in modo che rimanga all’interno dei canoni su cui si fonda Peacelink?
La crescita rigogliosa del nostro sito e della nostra piccola comunità virtuale che pratica in rete le tecniche della comunicazione nonviolenta è stata il frutto di una ben precisa scelta organizzativa, che si distingue dal controllo verticistico delle redazioni tradizionali e dall’open publishing dei siti di movimento. La nostra associazione non ha una struttura verticistica perché uno dei principi fondamentali della nonviolenza è la coerenza dei fini con i mezzi. Le forme tradizionali di associazionismo gerarchico, con strutture a piramide che controllano tutti i contenuti prodotti dall’associazione, possono essere efficaci in vari contesti, ma sono poco adatte alle esigenze di velocità, fluidità e azione parallela che caratterizzano un sito Internet come il nostro. PeaceLink, infatti, non vuole essere semplicemente una fonte di informazione alternativa, ma un vero e proprio strumento di azione diretta nonviolenta, grazie al quale siamo riusciti a denunciare l’inquinamento industriale a Taranto con la chiusura di una sezione dell’Ilva, abbiamo portato a Strasburgo documenti e denunce sulla pericolosità dell’uranio impoverito, abbiamo combattuto decine di piccole lotte nonviolente che hanno confermato la nostra fiducia nel grande potere che oggi possono avere dei gruppi di cittadini motivati (anche pochi e con pochi soldi) che utilizzano in modo virtuoso le tecnologie della comunicazione per un cambiamento dal basso che non passi attraverso strutture di potere violento. Quindi un’associazione come la nostra proprio per essere basata sui valori della nonviolenza non poteva darsi una organizzazione democratica, che afferma la dittatura della maggioranza, ma si è data una organizzazione omnicratica, dove si esercita “il potere di tutti” teorizzato e praticato da Aldo Capitini, Danilo Dolci, Martin Luther King e altri padri fondatori della cultura nonviolenta. Grazie all’esercizio di questo potere chiunque, anche l’ultimo arrivato, può scrivere un editoriale per il sito e affinché questo editoriale sia veramente espressione del potere di tutti, al lavoro di scrittura si affianca anche il continuo e incessante lavoro sotterraneo di confronto, comunicazione e scambio di idee che anima le mailing list della redazione e del gruppo di traduttori, che sono la vera linfa vitale del sito e dell’associazione. Anche queste liste, ovviamente, sono dei gruppi aperti e sempre disponibili a includere nuove persone. Accanto al lavoro quotidiano omnicratico esistono anche strutture di democrazia formale (probiviri, presidente, segretario, assemblea dei soci) previste dallo statuto con il quale siamo registrati come associazione di volontariato, ma al di là dell’organizzazione formale il lavoro concreto che svolgiamo ogni giorno permette a chiunque di esprimersi e realizzare iniziative indipendentemente dal suo ruolo formale e “ufficiale” all’interno dell’associazione. Questo ci distingue anche dall’open publishing, che si basa sul principio di garantire a chiunque il diritto di pubblicare informazioni su un sito. Noi pensiamo che ci siano due grossi problemi legati a questa pratica: il primo, di natura squisitamente tecnica, è un bilancio tra gli effetti benefici dell’aprire a chiunque le porte del proprio sito e gli inevitabili danni legali che ne derivano. Noi siamo appena usciti, e con grande fatica, da una causa civile con una richiesta di risarcimento da 50 mila euro e, visto lo sforzo necessario ad assumerci la responsabilità delle cose scritte da noi, rivendicando fino all’ultimo l’assurdità delle accuse nei nostri confronti, pensiamo che sarebbe al di sopra delle nostre possibilità difenderci anche da accuse derivate da cose che non abbiamo scritto noi, ma semplici visitatori di passaggio sul sito. Il secondo problema è che l’open publishing garantisce apertura anche a contenuti violenti e aggressivi, e per questi contenuti non c’è spazio sul nostro sito, dal momento che lo stile della nostra comunicazione è basato sul rifiuto della violenza, non solo quella dei bombardieri che vanno in guerra, ma anche la violenza dei toni “urlati” e delle aggressioni verbali che fanno salire l’audience dei talk-show televisivi ma di certo non fanno fare passi avanti all’umanità. Il nostro sito non garantisce servizi di open publishing, ma la nostra associazione garantisce servizi di open community, cioè spazi aperti, liberi e orizzontali dove chiunque può inserirsi, condividere idee, sensazioni e proposte con altri e realizzare liberamente iniziative di comunicazione nonviolenta senza l’appesantimento di votazioni continue, dibattiti estenuanti o altri meccanismi che rallentano il lavoro di altre associazioni. Crediamo che la libertà di azione su un sito vada necessariamente supportata da un buon lavoro di comunicazione e dalla creazione di una comunità solida con valori condivisi, e pertanto chiunque può pubblicare articoli sul nostro sito, ma il percorso che porta alla pubblicazione è più complesso di un “copia-incolla-click” e passa attraverso il confronto tra le persone, la comunicazione orizzontale e la partecipazione a una comunità unita da valori e sogni comuni. È raro che si debba sudare per arrivare ad una posizione comune e di solito quello che viene scritto viene condiviso perché ci sono sensibilità molto simili, oppure viene rispettato proprio perché la cultura della nonviolenza è refrattaria al “pensiero unico” e all’omogeneizzazione delle voci e quindi sul nostro sito vengono espresse sensibilità e idee molto varie, tutte accomunate dal ripudio della violenza ma spesso anche molto diverse tra loro, nonostante il punto di partenza comune. Questo non ci sembra un segno di schizofrenia o di confusione, ma al contrario una grande ricchezza. Per questi stessi motivi la creazione di una nuova area tematica non è soggetta a particolari procedure o approvazioni, ma dipende unicamente dalla disponibilità di chi si impegna ad alimentarla con un lavoro di pubblicazione continuo, anche se non intensivo: per fare volontariato dell’informazione con noi bastano anche un paio d’ore al mese. Non abbiamo un controllo totale di quello che viene inserito sul nostro sito, né verifichiamo che tutti i contenuti siano “ortodossi” rispetto ai principi dell’associazione. L’omnicrazia significa dare potere a tutti ma anche responsabilizzare tutti, quindi l’unica forma di controllo che abbiamo è la risposta a questa domanda: ci fidiamo delle persone che alimentano i contenuti del sito? Se la risposta è sì (e finora è sempre stato così), i rapporti di fiducia, le relazioni umane, la stima e la conoscenza reciproca rendono inutile la verifica censoria dei contenuti. Una buona comunità orizzontale e omnicratica produce della buona informazione, e la qualità di questa informazione è proporzionale alla qualità e all’intensità dei rapporti umani, che cerchiamo di alimentare e ravvivare con periodici incontri “dal vivo”. Durante questi incontri ci piace anche cantare, mangiare, ridere e giocare assieme, proprio per rafforzare i rapporti umani che sono la nostra vera risorsa e che ci rendono più ricchi di tante realtà dell’editoria commerciale anche se il nostro bilancio è di poche migliaia di euro all’anno.
Il materiale pubblicato, alla luce della proliferazione delle sezioni, è molto. In termini numerici, di quante pagine si sta parlando? E in termini di accessi al sito, cosa dicono le vostre statistiche in fatto di navigatori, aree più visitate, paesi di provenienza degli utenti e sistemi operativi e browser utilizzati? Che tipo di feedback avete da parte degli utenti? Che genere di messaggi vi inviano?
Dal 2003 usiamo un content management system realizzato da Francesco Iannuzzelli, un ingegnere informatico che collabora da anni con PeaceLink e ora ricopre l’incarico di portavoce dell’associazione, anche se la sua voce si sente poco proprio perché passa molto tempo a realizzare i programmi che utilizziamo sul nostro sito :-). Questo programma, che si chiama Phpeace (www.phpeace.org), è stato rilasciato come Free Software e le prossime versioni avranno un sistema integrato di licenze che permetterà di associare a ogni articolo varie licenze Creative Commons oppure le opportune indicazioni di Copyright qualora l’articolo sia tratto da altre fonti, come accade ad esempio per gli articoli dei quotidiani nazionali riportati sul nostro sito. Dal 2003 a oggi questo sistema ci permette di monitorare costantemente l’attività del sito, e posso dirti che alle 15.50 del 22 maggio 2005 la nostra “banca dati nonviolenta” contiene un totale di 48 gallerie fotografiche, 10.602 articoli, 5.395 immagini, 1.932 eventi segnalati nel calendario delle iniziative. A tutto questo materiale vanno aggiunte le “vecchie” pagine in HTML statico, quelle realizzate dal 1996 (data del nostro sbarco su Internet a partire dalle reti di BBS) al 2003 (anno di introduzione del Phpeace come programma “ufficiale” di pubblicazione del sito). Il feedback che ci arriva dagli utenti è davvero pressante: ogni giorno mi arrivano almeno 3 o 4 mail di gente che ci scrive per chiederci informazioni, contattare associazioni di cui hanno scoperto l’esistenza sul nostro sito, chiedere assistenza per cani e gatti (abbiamo una nutrita sezione sui diritti animali) o semplicemente insultarci nei modi e nelle forme più vari. Personalmente, per questioni di coerenza, finora ho sempre risposto alle mail di insulto ed è incredibile vedere come l’apertura di un canale di comunicazione con chi ti aggredisce sia talmente spiazzante e inaspettata da far scrivere “magari tutti i pacifisti fossero come voi” a gente che nella mail precedente ti aveva scritto “siete degli sporchi comunisti amici del terrorismo”.
Dal punto di vista del rilascio dei contenuti, in che modo la libera veicolazione delle informazioni si riflette sul vostro lavoro? C’è concordanza di vedute all’interno del vostro gruppo sulla possibilità di permettere riproduzione e riutilizzo del materiale? Che genere di dibattito è stato condotto al vostro interno per arrivare a una posizione comune? E con i referenti delle aree tematiche? Avete mai riscontrato violazioni alle vostre politiche di licensing?
All’interno di PeaceLink siamo concordi nel permettere la libera diffusione dei contenuti prodotti da noi, con opportuna citazione della fonte e degli autori, non c’è mai stato bisogno di discuterne in quanto è sembrato a tutti la cosa più naturale, né mai si è posto il problema di introdurre un regime di pubblicazione diverso. Purtroppo non c’è ancora sensibilità su questi temi da parte del mondo esterno e spesso capita che i nostri contenuti vengano usati in modo appropriato, senza citazione della fonte o per scopi commerciali. Questo accade soprattutto con le gallerie fotografiche: spesso ho trovato delle foto mie pubblicate su altri siti o addirittura su riviste di movimento, senza neppure uno straccio di citazione della fonte, e addirittura una foto che avevo scattato a una bandiera arcobaleno durante una marcia Perugia-Assisi me la sono ritrovata in edicola come supporto cartonato alla vendita di una bandiera della pace di infima qualità, una di quelle bieche operazioni editoriali scattate sulla scia del successo delle bandiere, simili ai calendari e agli album delle figurine di Papa Woityla che imperversano ovunque.
Considerando la ricchezza di Peacelink, ci sono state richieste da parte della stampa “istituzionale” per poter utilizzare i vostri contenuti? Si cono creati rapporti di collaborazione continuativi? In caso affermativo, come vengono gestiti?
Partecipando a dibattiti e incontri sull’informazione, il nome di PeaceLink è ormai un marchio di fabbrica che viene riconosciuto molto facilmente e questo è un segnale di come su certe tematiche la nostra azione di volontariato abbia colmato dei veri e propri “buchi” dell’informazione commerciale, trasformando il nostro sito in una fonte primaria di riferimento per i professionisti dell’informazione. Basta cercare su Google parole come “Cecenia”, “pace”, “uranio impoverito” o “sottomarini nucleari” per trovare ai primi posti delle pagine web pubblicate sul nostro sito. Sono nati anche dei canali di collaborazione continuativi con alcune riviste e anche con quotidiani locali delle città dove i nostri volontari sono più presenti e attivi sul territorio, come ad esempio Taranto, la città del sud dove PeaceLink è nata nel lontano 1991.
Parlando invece dei libri, che titoli avete pubblicato finora? Con quali editori? In termini di vendite e/o di download, quali sono i dati? E in termini di commenti, impressioni e opinioni dei lettori, che genere di contatti si sono creati?
Dalla nostra associazione hanno preso vita anche alcune iniziative editoriali, come i libri pubblicati da me e da altri volontari. A titolo di esempio posso citare Cronache da sotto le bombe (Edizioni Multimage), un libro scritto a più mani che ha raccolto gli scambi di email con la popolazione serba durante i bombardamenti della Nato; Italian Crackdown (Apogeo), il primo libro italiano diffuso con una licenza di libero utilizzo sin dal primo giorno di presenza nelle librerie, quando ancora le licenze Creative Commons non esistevano, un libro nel quale ho raccontato i dettagli della caccia alle streghe che nel 1994 ha devastato la telematica sociale italiana; Apri una finestra sul mondo (Multimage), un libro scritto prima nella realtà e poi su carta, che raccoglie i “diari telematici” nati durante delle azioni di solidarietà verso l’Africa che PeaceLink realizza ormai da anni sostenendo il missionario comboniano Kizito Sesana; Oltre Internet, un piccolo manuale di comunicazione elettronica che ho scritto nel 1996 quando il boom della rete era appena agli inizi e soprattutto Telematica per la Pace, il libro che nel 1996 ha traghettato i temi informatici dal settore della manualistica a quello della saggistica, nel quale abbiamo descritto le esperienze pionieristiche di utilizzo sociale della rete. Le reazioni a questi libri sono state sempre molto buone, con vendite tutto sommato dignitose.
Per la gestione del sito, avete realizzato un vostro software, PhPeace. Come nasce l’idea di scrivere un sistema ad hoc? Quanto tempo ci è voluto perché fosse utilizzabile e perché entrasse in produzione? Con che tipo di licenza viene rilasciato? Avete informazioni circa l’utilizzo del software per progetti diversi dal vostro?
L’idea è nata dalle esigenze emerse nel corso degli anni man mano che il nostro volontariato dell’informazione è diventato sempre più elaborato: avevamo bisogno di un motore automatico per la gestione di appelli, di avere sul sito gallerie di immagini, database di volontari suddivisi per province, che possono incontrarsi per azioni dirette nonviolente sul territorio, gestione automatica dei link a “siti amici” (che ora possono essere inseriti direttamente dall’esterno e vengono pubblicati dopo approvazione), gestione automatica del calendario delle iniziative, aggiornato a mano per vari anni e poi diventato insostenibile per il lavoro di una sola persona, possibilità di far pubblicare materiali anche a “non esperti”, pubblicazione automatica e trasparente del bilancio associativo, gestione degli aspetti redazionali e messaggistica interna. Oggi tutte queste esigenze sono diventate delle funzioni di Phpeace, che è cresciuto e si è sviluppato attorno all’attività di PeaceLink e che oggi si avvia ad essere un software maturo e adatto a tutte le realtà di volontariato e di informazione sociale, un software che abbiamo definito come “Content Management System for Non-profit Organisations”. Lo sviluppo di Phpeace è iniziato nel 2003 e all’epoca il software era solo una collezione di script in PHP per automatizzare la pubblicazione di alcune sezioni del sito (in particolare la sezione Disarmo, curata da Francesco Iannuzzelli). Quindi possiamo dire che è stato utilizzato sin da subito, proprio perché lo ha scritto la stessa persona che lo ha adoperato per pubblicare informazioni sul sito. Attualmente Phpeace è ancora in via di maturazione definitiva, ma nel giro di prossimi mesi verrà rilasciato alla comunità del free software con licenza GPL. Per quanto riguarda i progetti esterni all’associazione PeaceLink, Phpeace è utilizzato per diversi siti tra cui Carta (www.carta.org), Ostinati per la Pace (www.ostinatiperlapace.org), Antenne di Pace (www.antennedipace.org), Pax Christi Italia (www.paxchristi.it), News From Africa (www.newsfromafrica.org), Shalom House Kenya (www.shalomhousekenya.org), Reti Invisibili (www.reti-invisibili.net), Controllarmi - Rete Italiana per il Disarmo (www.disarmo.org), Vegetarianet (www.vegetarianet.com), Circoscrizione Italia Montegranaro (www.italiamontegranaro.it) e diverse altre. Altri siti che usano Phpeace sono Terre di Mezzo (www.terre.it), Coalizione Italiana contro la Povertà (www.nientescuse.it) e Antitratta (www.antitratta.it).
http://www.stampalternativa.it/liberacultura/?p=65
2) Successivamente alla data di pubblicazione di questa intervista Phpeace e' stato rilasciato con Licenza GPL all'indirizzo http://www.phpeace.org
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