Un dischetto ribelle nel personal computer
Una strana valigetta 24 ore
Un immenso senso di indignazione.
La rabbia mi bruciò dentro quando vidi violare la Costituzione: la Guerra del Golfo fu per me un corso accelerato di informatica. Durante la Guerra del Golfo giravo con una strana valigetta 24 ore. Dentro: i giornali, le riviste pacifiste e, nuovo di zecca, un computer portatile. Due chili e mezzo, grande quanto un libro. Lo portavo nei cortei, nelle riunioni, a scuola. Il computer costituiva per me una potente tecnologia dell’informazione da opporre alle tecnologie distruttive della guerra. Lo usavo per sfornare comunicati stampa, per preparare locandine, per diffondere contro-informazioni sulla guerra, per realizzare un notiziario locale di coordinamento dei gruppi pacifisti.
Fu per me – quello – un periodo di grande rabbia, che sfogai sui tasti del computer, nel quale proiettavo le mie ansie, i miei desideri di informare, di contrastare il cumulo di bugie che quotidianamente i media propinavano alla gente. Imparare a usare i computer, ad appropriarsi della loro potenza, rovesciare la piramide dell’informazione...
Volevo che la guerra finisse, sentivo che l’immagine di noi pacifisti poteva uscire da quell’esperienza denigrata, deformata, oppure caricata di prestigio. Già ci si stava preparando a disobbedire alla chiamata alle armi se il conflitto si fosse generalizzato ai soldati di leva.
Essere portatori di speranza e insieme diffondere il virus benefico della disobbedienza pacifista: caricato di enormi responsabilità, il mio «notebook» elettronico memorizzava e sputava fuori ogni giorno informazioni come una mitraglietta informativa nonviolenta che mi seguiva in ogni spostamento. Disobbedire: come, quando, dove. Tutto in memoria, in un terribile dischetto ribelle (1). Riproducibile all’infinito. Modificabile e aggiornabile in qualsiasi momento. Quel computerino che mi seguiva ovunque, diventò – o così mi piaceva che fosse – un «covo» di informazioni pericolose, un vendicativo concorrente dei computer militari, una piccola segreteria di redazione giornalistica volante, il centro di una «tipografia in movimento». Volevo una tecnologia che incorporasse e rendesse più efficiente la mia ribellione, che stampasse l’indignazione all’infinito. Il computerino portatile divenne la minipiattaforma tecnologica per un notiziario «volante» che volevo possedesse l’agilità, la leggerezza e il pungiglione di un’ape. Poteva infatti uscire con tempestività, non aveva attese di tipografia. Tutto era consentito dai tempi rapidi di una stampante e di una fotocopiatrice. Nacque da quell’esperienza la newsletter N.I.M. (Notizie Informazioni Messaggi). E con N.I.M. nacque l’idea e l’esigenza di un’informazione rapida, istantanea, capace di giungere in modo diffuso, di mettere all’erta decine di persone in un giorno.
Lanciare dal cielo un volantino
Volevo un volantino che arrivasse contemporaneamente a Roma, Verona, Torino, Palermo, Bolzano, Firenze, Bologna... Nacque così l’idea di progettare un collegamento telematico: bastava aggiungere al computer un piccolo apparecchietto chiamato «modem» e collegarlo alla presa telefonica. Ma il pacifista inquieto non si accontenta: volli acquistare un modem-fax, ossia una scatolina a doppia funzione per inviare non solo messaggi telematici ma anche fax. Un potere militare omicida aveva travolto i miei sogni. Uno stuolo di politici impresentabili e insensibili aveva stracciato la Costituzione e autorizzato il massacro. Per chi aveva sognato, e quasi pregustato, un futuro pacifico dopo l’89, tutto o quasi stava crollando. Vi si era sovrapposta la geometrica potenza delle bombe intelligenti, le mappe digitalizzare dei megacomputer della Desert Storm con il calcolo esatto degli obiettivi da colpire, degli uomini da uccidere. Alla precisione dei computer militari sentivo che andava opposta una controffensiva nonviolenta di computer pacifisti, precisi, «vendicativi», capaci di intercettare e inseguire tutte le informazioni false, di comunicare in tempo reale in un’unica grande rete che simulasse un’«agorà della pace».
Le mie tecnologie nonviolente
Incorporare nella telematica una missione di speranza concreta è stato per me un gesto assolutamente nonviolento. Nel ’68 non erano pochi i giovani che proiettavano speranze su alcune tecnologie: si potevano e si dovevano usare le armi per difendere gli oppressi nell’America Latina e nel Vietnam si proiettava la speranza nella potenza liberatrice di un popolo in armi. Le tecnologie militari furono forse le uniche tecnologie a non essere sottoposte alla critica corrosiva del ’68. Fu un tragico errore questo approccio «amichevole» alle tecnologie della guerra. I computer come tecnologie dell’informazione – furono criticati (anche a ragione) e considerati più pericolosi delle stesse armi, strumento di pianificazione del capitale. Ma è possibile un approccio nonviolento ai computer? Risposi di sì a me stesso e, con due amici, cominciai l’avventura.
Un pomeriggio di settembre
Infatti un pomeriggio di settembre del 1991 da un amico portai il mio computer, lui aveva il modem di un altro suo amico avuto in prestito (!), un altro aveva portato il programma di telecomunicazione: a ognuno mancava qualcosa ma insieme facemmo tutto. Quando udimmo il primo fischio stridulo che scandiva l’avvenuta connessione telematica rivivemmo le scene del film «Wargames». Fummo infatti intercettati dal SysOp che fece apparire sul video delle domande di identificazione. Iniziò un’esperienza difficile: si trattava di imparare cose nuove, termini oggi astrusi e una settimana dopo perfettamente familiari. Il sogno di creare un collegamento telematico nazionale è stata un’emozione vissuta e costruita giorno per giorno. Una strada sulla quale si sono incontrate decine di persone che hanno collaborato. Conoscendosi attraverso delle tastiere. Oggi molte persone sono collegate da PeaceLink sulla rete telematica. Che cosa si prova? Si prova il senso della «rete», della cooperazione forte e comunicativa per uno scopo concreto, della comune appartenenza a un villaggio globale che si mobilita per scopi di solidarietà e di pace.
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