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Il pacifista con la "valigetta"

Un profilo di Alessandro Marescotti

Sono assai grato ad Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti@peacelink.it ) per aver accolto l'invito a scrivere alcune riflessioni sulle sue esperienze. Mi pare che la piccola violenza che ho esercitato nei confronti di persone amiche affinche' "si raccontassero" su questo foglio sortisca un utile esito: di favorire in altri interlocutori l'uscita dallo stereotipo secondo cui la nonviolenza e' qualcosa di astratto, o peggio che la lotta per la pace sia affare per poche personalita' dai tratti superomistici o disumanati. La nonviolenza in cammino sono le persone concrete che "fanno la cosa giusta"; la nonviolenza
in cammino, per dirla con una bella parola coniata da Aldo Capitini, e' l'"omnicrazia", il potere di tutti - quel "tutti" che sempre Capitini diceva essere il plurale di "tu".
31 agosto 2004
Peppe Sini
Fonte: La nonviolenza e' in cammino. 441 (10 dicembre 2002)
"Centro di ricerca per la pace" nbawac@tin.it >
http://lists.peacelink.it/news/msg03491.html

La mia esperienza personale e' quella di chi, nel 1991, e' stato fra i promotori di PeaceLink, la rete telematica italiana per la pace.

Durante la guerra del Golfo ero un "pacifista con la valigetta": andavo in giro con un computer portatile Toshiba 1000 SE, uno dei primi veramente leggeri e leggibili (era uno dei primi ad avere lo schermo retroilluminato) e con batterie che duravano dalle 3 alle 4 ore. Raccoglievo informazioni sulle iniziative antiguerra, compilavo un bollettino e lo memorizzavo su dischetto (era un portatile senza disco rigido). Giorno dopo giorno modificavo alcune parti del bollettino, toglievo le cose vecchie e scrivevo le nuove: con la macchina da scrivere avrei dovuto digitare nuovamente tutto. Con il portatile scrivevo dove mi capitava, in corriera, ai cortei, nelle riunioni; preparavo volantini, locandine, ecc. Insomma, mi sentivo con la tipografia nella valigetta.

Un compagno sindacalista mi regalava buste di francobolli (poi la cosa fini', perche' nei sindacati tiro' altra aria). Stampavo il bollettino, lo fotocopiavo e lo distribuivo. Lo spedivo con i francobolli. Quando il dischetto si riempiva mi veniva da pensare: se gli altri avessero un computer potrei distribuire dischetti pieni di informazioni invece di mucchi di carta.

Poi venni a sapere che esistevano reti di BBS, o "bacheche telematiche", ossia reti che distribuivano i "file" dei dischetti senza che si dovessero spedire i dischetti per posta. Quindi era come avere una fonte inesauribile di francobolli praticamente gratis.

I francobolli del sindacalista - nel frattempo - non arrivavano piu'.

Ed ecco che nacque PeaceLink e con essa l'idea di progettare una rete in cui ognuno potesse disporre di "francobolli gratis".

Noi pionieri pacifisti partimmo con il modem prima delle stesse Forze Armate italiane e questo ci procuro' sospetti e pedinamenti. Abbiamo vissuto l'entusiasmo degli esploratori di una nuova dimensione della comunicazione per la pace.

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Oggi moltissimo e' cambiato. Quasi tutte le associazioni pacifiste sono collegate in rete perche' sanno bene che inviare un messaggio a 200 persone costa in tutto 200 lire (1 lira a messaggio) mentre per posta prioritaria costerebbe 240 mila lire e per fax ancora di piu'. Ma vediamo "come eravamo prima".

Nella guerra del Golfo le riviste pacifiste non riuscivano a tenere il passo degli eventi. Un mensile, a partire da quando veniva pensato e scritto, per infine giungere nelle mani del postino e nella buca delle lettere, ci impiegava 50 giorni. Quasi due mesi per arrivare nelle case degli abbonati!
In quei 50 giorni - in cui veniva impostato, scritto, impaginato, stampato, spedito e recapitato con le dovute lentezze postali - i generali potevano aver gia' concluso la guerra. E cosi' fu.

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E' stato nella guerra del Kossovo che l'informazione pacifista ha compiuto un balzo in avanti per quantita', qualita' e rapidita'. E' stata infatti la prima guerra combattuta anche su Internet.
Il sito di PeaceLink veniva aggiornato anche 20-30 volte al giorno e consultato da migliaia di persone perche' conteneva la mappa completa della mobilitazione antiguerra. Dalla base venivano prodotte le informazioni e fatte circolare, dalla base venivano stampate e distribuite. Con gambe e modem. Il villaggio globale antiguerra ha compiuto cosi' la sua prima esercitazione pratica scrivendo in Italia la prima pagina di esperienza nonviolenta collettiva col computer.
"Dal basso", e mai come prima, le tecnologie info-telematiche hanno giocato un ruolo di rilievo nella mobilitazione nonviolenta cosi' come fra i militari i sistemi di telecomunicazione hanno svolto il ruolo di "rete di coordinamento" del sistema bellico.

In collegamento con le citta' di Nis e di Belgrado noi pacifisti potevamo sapere cosa pensavano gli oppositori di Milosevic e da loro sapevamo "in tempo reale", e dal vivo delle loro testimonianze, che venivano lanciate bombe a grappolo sui civili.
Imparavamo a conoscere le distanze e apprendevamo che i quartieri residenziali bombardati erano lontani chilometri dalle caserme che la Nato diceva di voler colpire.
La Nato parlava di errori involontari di alcuni metri: "Volevamo colpire l'aeroporto". Ma noi, tramite Internet, potevamo conoscere direttamente dai cittadini residenti le distanze reali e smentire le bugie: "L'aeroporto dista sei chilometri".

Il presidente del consiglio Massimo D'Alema aveva detto che la strategia Nato si sarebbe concentrata su "obiettivi di esclusiva rilevanza militare" (discorso alla Camera dei Deputati, 26 marzo 1999). Tramite la raccolta quotidiana delle testimonianze di fonte civile potevamo ogni giorno smentire quelle parole fornendo agli stessi giornali informazioni di prima mano.

Le testimonianze raccolte direttamente dalla Jugoslavia tramite Internet (attendibili perche' provenienti da chi faceva opposizione al regime di Milosevic) sono state inviate a deputati e senatori italiani e sono divenute base per un'interrogazione parlamentare.

Ci siamo accorti che avevamo in alcuni casi piu' informazioni dei giornalisti e dei parlamentari. Ma questo, si badi bene, non e' avvenuto "grazie ad Internet", ma grazie ad una rete di persone che si e' saputa organizzare, coordinando molteplici competenze ed attivita', dall'interpretazione delle lingue straniere alla creazione di pagine Internet.

Solo grazie a questa "strategia lillipuziana" si e' potuto fronteggiare il gigante Gulliver per legarlo (o farlo inciampare) con tanti esili fili.
Senza questo coordinamento Internet sarebbe stata solo un megafono e una piazza dove ognuno cercava di gridare piu' forte. Durante la guerra del Kossovo la telematica per la pace si e' fatta carico della funzione morale di dare voce a chi non aveva voce e viveva nella disperazione di poter morire innocente per colpe non commesse.

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Questo usare la tecnologia dell'informazione per "dar voce ai senza voce" richiama l'esempio del giornalista Webb Miller, inviato della United Press per dare informazioni sul movimento gandhiano.
Miller, dopo aver assistito il 21 maggio 1931 al pestaggio a sangue dei nonviolenti nei pressi delle saline di Dharasana, uso' tutta la potenza tecnologica di allora per informare il mondo. Il giorno dopo oltre mille giornali nel mondo pubblicavano la notizia e il gesto violento si ripercuoteva su chi l'aveva compiuto come una sonora sconfitta inflitta sul piano dell'opinione pubblica mondiale.
Che possibilita' di vittoria potrebbe avere la nonviolenza senza un forte sistema di diffusione dell'informazione? Nella memoria collettiva un fatto non esiste se non e' conosciuto. La telematica diventa quindi una strategia e un mezzo per far giungere al mondo il grido dei senza voce.

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Sono nato nel 1958 e mi sono laureato nel 1980. A differenza di quello che molti pensano, non sono un laureato in informatica. Ho incominciato ad usare i computer dal 1980, appena laureato in filosofia.
Ero insoddisfatto della mia formazione troppo basata "sui libri", e per questo durante gli studi universitari avevo messo esami di statistica, economia politica, storia della scienza, sociologia, ecc. in una prospettiva di interdisciplinarita'.
Ma non mi bastava: volevo toccare "le macchine", e il computer mi sembro' la "macchina" piu' interessante.

Durante i miei studi di filosofia ho cercato di coniugare cultura umanistica e cultura scientifica perche' mi piaceva l'idea di Marx di una cultura politecnica che permettesse un controllo dal basso dell'organizzazione del lavoro.

Ora insegno lettere.
Oggi piu' di ieri diffido di gran parte dei filosofi che usano i paroloni e che vogliono mettersi in mostra. Vedo dei limiti nella filosofia tradizionale. Gramsci diceva: specialista piu' politico; bene, occorre dire specialista piu' filosofo.

Tutto quello che faccio e' un tentativo di superare le ristrettezze di una cultura parolaia, fumosa o ideologica; se fossi un ingegnere non mi fiderei di ingegneri, ecc.

Sono diventato molto sospettoso verso gli intellettuali di grido, verso i carrieristi della cultura, verso i politici dalla parola generica che - quando devono entrare nel concreto - si fanno scrivere i discorsi e le proposte di legge.
Tanti politici recitano copioni scritti da consulenti delle multinazionali o della Nato; si fanno scrivere le leggi dai consulenti che li assistono e li "sorvegliano". Oggi non e' la politica che sorveglia i consulenti ma viceversa e' la corporazione tecnica che condiziona e sorveglia un potere fantoccio.

Ecco perche' dobbiamo entrare nelle sfere tecniche per portare l'umanesimo e i bisogni di base.

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Sono diventato cosi' pessimista da cercare disperatamente scampo nella cultura della concretezza, nelle tecnologie "umanitarie" che danno il potere di comunicare e comprendere dal basso; credo nella gente di buona volonta', unico segnale di speranza in un panorama sociale pagato e predisposto per un dominio totale, completo, inesorabile.

Gli ideali senza la tecnica e la scienza sono perdenti.
Ho un grosso database di informazioni, di indirizzi e di telefoni in un piccolo computer palmare che porto sempre con me. Le informazioni del palmare vanno sul mio notebook e viceversa. Purtroppo ho troppi impegni e il palmare a volte diventa una sorta di uccellino che cinguetta in continuazione.

Uso spesso la macchina fotografica digitale, nello zainetto ho di tutto, anche un misuratore dell'elettrosmog. Diffido del cellulare, diffido dei nuovissimi cellulari UMTS, ma uso il telefonino per notificarmi le e-mail piu' importanti in tampo reale.

E' da diverso tempo che non riesco a rispondere a tutti i messaggi, non riesco sempre a leggerli, ne ricevo un centinaio al giorno, non tutti personali.
"Perdo colpi" perche' il flusso di informazione - anche se ristretto al mondo della pace - supera le mie capacita' di attenzione e le risorse di tempo. Ecco perche' credo che si debba lavorare sempre collettivamente.

Spesso sono gli amici che mi avvisano delle cose importanti che mi sfuggono.
Ricevo molte richieste di intervento di ogni genere, e a volte devo anche dire di no, anche se mi e' difficile.

Vado molto in bicicletta non solo perche' non inquina ma anche perche' arrivo prima delle macchine, almeno a Taranto e' cosi'.

Insegno in una scuola media superiore e i miei studenti sono abituati a vedermi tirare fuori dallo zainetto aggeggi sempre nuovi. Mi piace la scuola, mi piace stare con i ragazzi e a volte inserisco i loro temi in rete. L'ultimo tema che ho dato e': "Descrivi il tuo mondo interiore".
Sconcerto generale.

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