Le motivazioni della sentenza di Ambiente Svenduto
La sentenza di primo grado
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Inflitte 26 condanne per 270 anni di carcere
TARANTO La Corte d’Assise di Taranto, presieduta dal giudice Stefania D’Errico (a latere Fulvia Misserini e sei giudici popolari), a distanza di diciotto mesi dalla lettura del verdetto (31 maggio 2021), ha depositato le motivazioni della sentenza del processo denominato Ambiente Svenduto per il presunto disastro ambientale causato dall’ex Ilva. A quanto si è appreso, il provvedimento - in via di notifica agli imputati e ai legali della difesa e delle parti civili - è di oltre 3mila pagine ed è diviso in capitoli e filoni d’indagine. In primo grado sono state inflitte 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni di carcere. La Corte d’Assise ha inoltre disposto sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi. Tra i principali imputati, spicca la condanna rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, che rispondevano di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. A tre anni e mezzo di reclusione (di 5 anni la richiesta dell’accusa) è stato invece condannato l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, a cui viene contestata la concussione aggravata in concorso.
«Modalità gestionali illegali»
«I Riva e i loro sodali hanno posto in essere modalità gestionali illegali anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995». È quanto scrive la Corte d'Assise di Taranto in uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza, di oltre 3.700 pagine. «La gestione dello stabilimento Ilva di Taranto da parte degli imputati - aggiunge il collegio di giudici - è stata una gestione disastrosa che ha arrecato un gravissimo pericolo per la incolumità-salute pubblica». Ed ancora: i protocolli di intesa tra gli allora proprietari dello stabilimento e le istituzioni locali e regionali «attestano in maniera inequivocabile come gli interventi di ambientalizzazione degli impianti, pur avvertiti come imprescindibili e urgenti, siano stati a lungo procrastinati, con la costante e ingiustificata prevalenza delle ragioni della produzione rispetto a altri valori pur costituzionalmente fondanti del nostro ordinamento». Il provvedimento depositato oggi è diviso in 15 capitoli. Fabio e Nicola Riva (condannati a 22 e 20 anni di reclusione), secondo i giudici, avrebbero «messo così in pericolo - concreto - la vita e la integrità fisica dei lavoratori dello stesso stabilimento, la vita e l'integrità fisica degli abitanti del quartiere Tamburi, la vita e la integrità fisica dei cittadini di Taranto». A tre anni e mezzo di reclusione fu condannato l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, a cui viene contestata la concussione aggravata in concorso.
«Condotte omissive»
Parla di «connivenze che a vari livelli sono emerse e solo in parte risultano giudizialmente accertate» la Corte d'Assise di Taranto nelle motivazioni della sentenza. La gestione della grande fabbrica «si è concretizzata - annota la Corte - sia in condotte commissive, operazioni concrete nel ciclo produttivo, sia in condotte omissive, nella massiva attività di sversamento nell'aria - ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale a vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne allo stabilimento, nonché rurali ed urbane circostanti lo stesso; in particolare, Ipa, benzo(a)pirene, diossine, metalli ed altre polveri nocive, determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica». La Corte d'Assise evidenzia anche i «danni alla vita e all'integrità fisica che, purtroppo, in molti casi si sono concretizzati: dagli omicidi colposi, alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materno. Modalità gestionali che - viene puntualizzato - sono andate molto oltre quelle meramente industriali, coinvolgendo a vari livelli tutte le autorità, locali e non, investite di poteri autorizzatori e/o di controllo nei confronti dello stabilimento stesso».
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