Catena di SanLibero n. 143
"Siamo operaaai, compagni braccianti/ e gente dei quartieri/ Siamo
studenti, pastori saaardi/ divisi fino a ieriii...".
L'inno di Lotta Continua non si sentiva da un pezzo in Sicilia, piu' o
meno dai tempi di Peppino Impastato. Ed e' proprio la lapide in memoria
di Peppino (ucciso dai mafiosi di Cinisi nel 1978, perche' denunciava i
loro intrallazzi) che il sindaco di Isnello, un paesino mafioso vicino
Palermo, ha ordinato di togliere dopo tanti anni. Immediata la risposta
dei compagni: Paolo Liguori, Gad Lerner, Marco Boato, Carlo Rossella,
Enrico Deaglio, Paolo Guzzanti e altri ancora, in tutto una sessantina
di signori fra i cinquanta e i sessant'anni, un po' appesantiti ma
ancora ben decisi, hanno subito organizzato una manifestazione a
Isnello e hanno rimesso a posto con le loro mani la lapide che il
sindaco aveva tolto. "Certo, la vita poi ci ha divisi - ha detto
Straccio - ma noi di uno come Peppino non ci dimenticheremo mai".
"Saremmo degli stronzi se lasciassimo passare una cosa come questa - ha
detto Gad - Peppino sapeva che noi compagni non l'avremmo lasciato mai
solo". "Lotta dura!" ha esclamato l'on.Guzzanti, prima di risalire
sull'auto blu.
(Questa notizia e' completamente inventata. L'unica cosa vera e' che la
lapide l'hanno tolta davvero. E, naturalmente, che Peppino e' ancora
morto).
Piazza bella piazza. Salvatore fa l'operaio, ha piu' o meno la mia eta'
e ogni settimana investe due euri e mezzo di quota nel sistema
superenalotto del bar Mazzini, che pero' finora non e' uscito. Percio'
deve continuare a mantenere se stesso, la moglie, la casa e due figli a
scuola con i novecento euri che gli entrano fra lui e sua moglie ogni
mese. Ovviamente non ha tempo per la politica: l'ultima volta ha votato
Berlusconi perche' "tanto sono tutti uguali" e "lui almeno e' furbo,
vediamo che riesce a fare". A ottobre, tuttavia, e' andato con tutti
gli altri alla manifestazione del sindacato (la tessera non se l'e' mai
levata), un po' per nostalgia e un po' perche' dieci euri di ora sono
diventate come le diecimila lire di una volta.
Sabrina fa la giornalista: in effetti lavora (contratto a termine) in
un portale internet, dove deve essenzialmente tradurre e mettere in
pagina notizie che trova sui siti americani. Sa tutto sul conflitto
d'interesse e sui giudici, e' stata in piazza (faceva ancora il liceo)
quando ha vinto l'Ulivo e vive col suo compagno in un monolocale con
cucina abitabile e soppalco.
Fabio e' un fanatico dei no-global, e te ne accorgi dalla kefia e dai
riccetti spettinati a raggiera, che gli danno un'aria davvero molto
alternativa. L'anno scorso era ancora nei boy-scout, quest'estate e'
stato in un campeggio pacifista, a scuola va bene dappertutto tranne in
computisteria (suo padre non ha voluto iscriverlo al liceo), per votare
e' indeciso fra rifondazione e margherita ma tanto per decidere c'e'
tempo.
Questi tre esseri umani (che esistono veramente: non son bravo a
ragionare in astratto) sono piu' o meno i tre partiti che compongono
oggi la sinistra italiana. No-global, girotondini e sindacato sono la
novita' dell'anno scorso, dopo che la sinistra precedente si era
completamente consumata.
I girotondi (in realta' un casino di movimenti diversi, dai tre ai
centomila aderenti, secondo i mesi) rappresentano quel che una volta si
chiamava ceto medio intellettuale. Vogliono sostanzialmente la
democrazia: in un sistema democratico (non "communista", non
berlusconiano) sono infatti la parte piu' moderna della societa'.
Gli operai, che ufficialmente non esistono piu' da anni (da quando la
tv ha cominciato a decidere lei chi esiste e chi no), in realta' sono
sempre la parte piu' numerosa della popolazione. A partire dall'anno
scorso, gli operai giovani (che vengono chiamati con altri nomi) hanno
cominciato a far comunella con gli operai cinquantini. Insieme sono
veramente un casino, e senza di loro semplicemente non si produce.
Pero' attenzione: gli operai non sono affatto automaticamente di
sinistra, contrariamente a quel che si pensava ai miei tempi. Pero' non
sono neppure di destra: sono disponibili a votare per Berlinguer oppure
per Berlusconi, a seconda di come trattano i loro interessi. Ci mettono
un bel po' di tempo per rendersi conto e decidersi, ogni volta, perche'
gli operai (che non possono permettersi di sbagliare, dovendo pagare
l'affitto) sono lenti. Pero', una volta decisi, sono decisi davvero.
Gli operai, infatti, sono molto concreti.
I ragazzini, sono gli unici oggi a chiedere una politica vera. Non
hanno il problema di rattoppare giorno per giorno, possono permettersi
il lusso di pensare in grande. E di capire, per esempio, che non e' che
le automobili costino troppo care o che Agnelli sia stronzo: e' proprio
il concetto di automobile a benzina che sta distruggendo il pianeta.
Non e' che gli immigrati siano tutti santi o tutti banditi: e' proprio
il fatto che esistono che sta cambiando tutto. Questa politica nuova,
di cui hanno un disperato bisogno (tecnicamente, tocchera' a loro,
quando avranno la mia eta', vivere in un pianeta inabitabile se le cose
vanno male), i ragazzi non la trovano da nessuna parte, perche' in
realta' ancora non esiste. Non esistono le risposte; le domande, pero',
qualcuno comincia a porsele, sia pure in forma rozza, ingenua e spesso
anche un po' ripetitiva.
Questo qualcuno, finora, sono solo i no-global. Dei quali, la cosa piu'
significativa e' proprio il nome, in inglese: i no-global infatti sono
cominciati in America, non a San Pietroburgo. Dopo un secolo e mezzo
(una parentesi non tanto breve, in effetti) il cuore della sinistra
torna in occidente. Non c'e' nulla di globalizzato come i no-global,
nel pianeta.
* * *
Questi tre movimenti, che finora sono andati avanti ignorandosi con
benevolenza e simpatia, possono o continuare a ignorarsi o andare al
governo insieme. Al governo non vuol dire Rutelli o Prodi o D'Alema
(anche perche' devono ancora arrivare i girotondini "di destra", quelli
che prima o poi si ribelleranno a Fini e al cavaliere). Non ho la piu'
pallida idea di come sara' il governo "di sinistra" che ci sara' fra
due anni. Se sara' un governo dei politici, sara' una specie di altro
governo Dini, e per quanto mi riguarda se lo possono tenere. Ma se -
per esempio - fosse un governo-rete? Che cos'e' un governo-rete? Come
si fa a fare un governo-rete nel duemila?
Gia'. Eppure, che cos'e' un'automobile senza benzina? Come si fa a fare
un'automobile senza benzina? Intanto, bisogna farla, senno' va a tutto
a ramengo e le soluzioni "realistiche" fra vent'anni ce le potremo
appendere al muro e magari contemplarcele attraverso la maschera
antigas.
Nel duemila, a quanto pare, i problemi sono questi. Nuovi, impazienti.
Avidi di soluzioni, nemicissimi di rimozioni e imbrogli. Che casino di
secolo, ragazzi.
E io pago. Cavolo. Adesso Gentilini, il sindaco razzista di Treviso,
vuole la scorta. Pare che qualche imbecille, spacciandosi per
brigatista, gli abbia fatto una telefonata minacciosa. Per la
Boccassini o Orlando, la scorta era un "lusso superfluo". Per i
gerarchi e' una necessita' di stato. O non si faceva chiamare "il
sindaco sceriffo", Gentilini? Perche' non si scorta da se', ammesso che
qualcuno lo minacci davvero? Perche' non scortano invece quei poveri
marocchini che, mentre dormivano disperati sul sagrato della chiesa, si
sono visti circondare e prendere a bottigliate - uomini donne e bambini
- da una squadraccia di leghisti reduci dai comizi di Gentilini?
Gentilini e compagni sono il quattro per cento della popolazione
italiana. Un italiano su venticinque. Perche' quest'italiano su
venticinque deve aver privilegi e comandare - perche' di questo si
tratta - sugli altri ventiquattro italiani che invece sono persone
civili?
(Guardate le facce dei trevisani perbene all'uscita della chiesa, in
quei giorni. Le labbra strette, gli occhi duri. Nazi).
Autunno. "Lo faccio perche' non ho un lavoro" ha detto il diciottenne
immigrato che si e' dato fuoco per protesta a Bologna. "E' colpa
vostra" aveva scritto il disoccupato napoletano che si era dato fuoco
per protesta a Napoli.
Effetto serra. "Piove, governo globalizzato".
Boh, si torna a scuola. Questa, anche se non sembra, e' una notizia. Al
ritorno a scuola - al posto in cui vanno tutti i ragazzi, ricchi e
poveri, belli e brutti - noialtri ormai ci siamo abituati da sempre, ci
facciamo su un bel po' di "signora mia" e ne parliamo col tono
insopportabile di "ai miei tempi". Bene, quei tempi sono finiti. La
scuola non e' affatto piu' una cosa normale. E' stata normale per un
periodo ben definito - diciamo dalla fine dell'ottocento all'altro ieri
- ma questa era solo una parentesi della storia. La vera normalita',
quella che e' stata normale per la maggior parte della storia, e' che
in autunno *alcuni* ragazzi tornano a scuola e gli altri tornano a
lavorare o a stare per la strada. La scuola, in realta', e' un lusso. E
adesso, giustamente, lo vogliono far pagare.
La scuola di noi ragazzi era stare insieme, crescere in una banda di
coetanei e diventare grandi in compagnia. Neanche questo va piu' bene.
Diventare grandi, adesso, dev'essere una faccenda strettamente
personale, con premi individuali ben chiari gia' a sedici, a
quattordici, possibilmente a dieci anni. In Giappone i bambini alla
fine delle elementari debbono gia' scegliere una carriera precisa, e se
sbagliano sono cazzi loro.
Infine: la scuola riguarda tutti, non e' una faccenda di famiglia
sapere se un ragazzino viene su dritto oppure uno schiavetto o un
futuro stronzo. Questo "tutti", ai nostri tempi, si chiamava lo stato.
Mica scontato: una volta i signori avevano i loro precettori, pagati da
loro, e i poveri (se andava bene) il prete del villaggio. Poi la
repubblica ha portato il maestro di scuola. Adesso, il mercato caccia
il maestro e riporta agli onori il prete e il precettore. Il maestro lo
pagava la comunita', infatti, ricchi e poveri, e insegnava a tutti, non
solo ai signori e non solo quello che volevano i signori. E questo, di
questi tempi, non sta bene.
La cosa che mi fa sogghignare, in tutto questo, e' che pero' alla fine
bisogna fare i conti con i ragazzini. Siccome ancora non sono riusciti
a produrre i ragazzi Ong, debbono cercare di "migliorare" quelli che ci
sono. E questo non e' affatto semplice. Un ragazzo vuol crescere,
essere libero, divertirsi, scoprire le cose. Non vuole fare il manager,
e neppure il leccaculo. Magari piu' tardi lo sara': ma per intanto e'
un ragazzo. E della scuola, alla fine, gli resteranno due cose: la
volta in cui ha bigiato e se n'e' andato a spasso, libero, con la sua
ragazzina; e la volta in cui un prof e' riuscito a fargli capire un
numero o un poeta e lui ha scoperto quanto puo' essere belllo, e anche
divertente, imparare una cosa.
Queste faccende, noi della vecchia scuola, ci siamo riusciti a darle, a
quel ragazzino: altro che "crediti" e mercanzie.
Siamo stati capaci di insegnare a occupare la scuola e ad amare Socrate
e la poesia. Loro, quelli del "mercato", non possono farlo perche'
Socrate e Scuola Okkupata sul mercato non si trovano, e non si
troveranno mai, per una buona ragione: non hanno prezzo.
* * *
"Vi unisco la presente per pregarLa a fare tutto quello che puo' affine
di evitare un altro flagello, e cioe' una legge proposta relativa
all'istruzione obbligatoria. Questa legge mi pare ordinata ad abbattere
totalmente la scuola cattolica". Lettera del papa al re, 10 dicembre
1861.
Vacanze. Almeno due milioni di palestinesi quest'estate sono stati
spinti dalle vicende del loro Paese a un livello di sopravvivenza
inferiore alla soglia di poverta'. Circa duecentocinquantamila famiglie
- secondo l'Agenzia Onu per i rifugiati - hanno perso qualunque fonte
di reddito regolare. Il tasso di disoccupazione ha gia' superato il 60
per cento a Gaza. Distruzione sistematica di uliveti e agrumeti.
Spot. A Napoli, domenica 15, al Damm (centro sociale Diego Armando
Maradona) in via Avellino a Tarsia, Montesanto, spettacolo e
testimonianze su Cernobyl. Incontro con Svetlana Aleksievic,
giornalista bielorussa in esilio e narrazioni teatrali "L'amore al
tempo di Cernobyl" e "Monologo su come sia facile diventare terra".
Bookmark: http://www.narramondo.it
Pierpaolo ppp@girotondi.it > wrote:
< Abbiamo un potente mezzo di lotta, la forza della ragione, con la
coerenza e la resistenza fisica e morale che essa da'. Con essa
dobbiamo lottare senza perdere un colpo. I nostri avversari sono
criticamente e razionalmente tanto deboli quanto sono poliziescamente
forti, ma non potranno mentire in eterno. Dovranno pur rispondere prima
o poi alla ragione con la ragione, alle idee con le idee, al sentimento
col sentimento >
Diego wrote:
< Ma mi scusi, lei pensa davvero che ci lascino vincere in Brasile?
Secondo lei perche' stanno spostando tutti i capitali, per preparare
uno stato di miseria da cui nemmeno con la bacchetta magica si puo'
uscire. Cosi', dovesse vincere Lula, nel giro di pochi mesi la gente
affamata si farebbe incantare dal primo fascista di ritorno che sia
capace di dare la colpa ai comunisti se il paese muore di fame. Ormai
non mi illudo piu'. Un saluto malinconico e disilluso. >
* * *
Ok, stiamo a vedere. Ma rassegnarsi, no.
Siciliani. No, non c'erano i siciliani ai vent'anni di Dalla Chiesa, a
Palermo. Certo, tanti anni di celebrazioni di facciata pesano: le
cerimonie di stato, con le autorita' compunte in prima fila e la gente
fuori. Pero' sono anche cambiati i siciliani. Se fossi piemontese,
troverei delle giustificazioni. Alti e bassi, direi da piemontese; le
promesse mancate, la spoliticizzazione, l'incultura... Si'. Ma sono
siciliano, e mi brucia. I bambini dell'Albergheria, i postulanti di don
Cuffaro, le ville fra i templi greci, il ritorno dei boss, i voti di
Berlusconi... Tendo, con ingiustizia, a mettere tutto insieme. Certo,
sbagliando: ma cio' che provo e' questo. Dopo, faccio uno sforzo e mi
richiamo alla mente i miei compagni dispersi, Antonio operaio a
Bologna, Nuccio fotografo disoccupato, Ester, Passiglia, Giusi,
Campanellina... Quelli che i giornali non conoscono, e che non hanno
tradito. Prima o poi torneranno. Noi qua teniamo duro, aspettando loro.
* * *
Non c'e' Sicilia piu' triste di questa, amici miei. Sicilia degli anni
arresi, fra povera furbizia e arroganza, fra i rassegnati e i collusi.
Quante Sicilie cosi', nella storia siciliana. Prima di Garibaldi, prima
di Pio La Torre e Dalla Chiesa; sovente, gli anni piu' freddi essendo
(per alchimie della storia) l'immediata vigilia dei piu' luminosi. Ma
quant'e' incredibile credere, in questi anni grigissimi, che forse
l'anno venturo sara' di primavera. Quante solitudini dignitose, senza
incontro. E quanto la solitudine uccide.
Uccide in tanti modi diversi, per logoramento o per dolore. Uccide
primi i piu' gentili, i migliori. Sa ucciderli di loro mano, in un
momento in cui l'anima troppo esausta si ripiega e l'unica via
d'uscita, nel buio dell'ingiustizia, appare quella finale.
Cosi' mori' Rita Atria, che non volle vivere piu' dopo Borsellino.
Cosi' e' morto Giuseppe Francese, che per vent'anni aveva lottato
raccogliendo documenti, testimonianze, materiali per avere la giustizia
per suo padre, Mario Francese, ucciso dai padroni della Sicilia perche'
faceva inchieste sui mafiosi. Ho visto questo Giuseppe una volta sola,
a un incontro di giornalisti: una di quelle facce belle e colte di
giovani siciliani, con la serieta' degli occhiali che combatte con lo
scompiglio dei capelli. Aveva qualcosa di amaro dentro, ma non di
disperato. E non di disperazione e' morto, bensi' di solitudine e di
stanchezza. Continueremo a esistere, anche per lui.
Persone. Carlo Alberto dalla Chiesa, siciliano.
Kosta kavafis@koine.el > wrote:
< Sia lode a chi ha trovato nella vita
le sue Termopili, e le ha difese.
Senza volgersi indietro, senza fare
grandi discorsi, senza esaltazioni
ma sempre con misura, sobriamente.
Dando quel che si puo', facendo fronte
alle disgrazie altrui, solidarmente,
da uomini, senz'odio ne' paura..
Ma con piu' grande lode loderesti
chi vivendo cosi' pur prevedesse
che un Efialte e' gia' pronto alle sue spalle
e che i nemici infine passeranno. >
* * *
< Veri uomini voi che combatteste,
che generosamente soccombeste,
che affrontaste sereni chi vinceva!
Si', fallirono i capi: ma non voi.
"Genera questi eroi la nostra terra"
diremo un giorno per ridarci vanto.
Lode piu' luminosa non e' data.
(Cosi' uno di quel popolo sconfitto
scrisse nella Citta', molti anni dopo). >
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