La presenza, in filigrana, dell’Inferno di Dante nel romanzo di Primo Levi "Se questo è un uomo"

Primo Levi e la "città dolente"

Il filtro letterario permette forse al sopravvissuto, al testimone, di sopportare la portata del proprio dolore, e crea quel passo di distanza che consente di intuire per un attimo il senso di quel "naufragio" che ha coinvolto le vittime, gli oppressori, i complici, gli indifferenti.
26 luglio 2020

Auschwitz Rappresentare l’indicibile, rievocare ciò che va oltre la possibilità di immaginazione, ricordare ciò che riapre ferite mai sanate. Come è possibile che uno scrittore voglia, e riesca a fare questo? Eppure quello della memoria è un dovere, ed è la speranza del “mai più” , insieme alla necessità del processo liberatorio insito nella scrittura, che probabilmente ha mosso da sempre quella che sarebbe riduttivo chiamare “letteratura” della Shoà, o della guerra. Perché la portata di queste opere è universale, come universale è il problema del bene e del male, del male che sembra oltrepassare i limiti dell’umano e porsi come assoluto, del male che pure, come sottolineava Hanna Arendt, ha una sua terribile banalità, riesce a tradursi, assurdamente, in ruotine di annientamento e di morte.

Ma come è possibile scrivere del lager? E che cosa scriverne? Forse la presenza, in filigrana, dell’Inferno di Dante nel romanzo di Primo Levi Se questo è un uomo, come in altre opere che rievocano lo sterminio, risponde alla necessità di porre la rappresentazione del tormento che uomini hanno saputo infliggere ad altri uomini sul piano di una malvagità assoluta e, insieme, impersonale, quella impersonalità, del resto, voluta dai nazisti (era raro, dice lo stesso Primo Levi, che le vittime vedessero in volto i propri aguzzini). Nello stesso tempo, il filtro letterario permette forse al sopravvissuto, al testimone, di sopportare la portata del proprio dolore, e crea quel passo di distanza che consente di intuire per un attimo (comprendere è forse impossibile) il senso di quel naufragio che ha coinvolto le vittime, gli oppressori, i complici, gli indifferenti, gli ignari, quando su una civiltà millenaria si è “richiuso il mare” di un caos senza nome.

Al di là dei motivi che non è facile individuare, comunque, cogliere la presenza dell’opera dantesca in Primo Levi riveste un interesse che, non banalmente, possiamo dire culturale: la coscienza contemporanea ancora si proietta in questo che è uno degli archetipi profondi dell’immaginario umano; la letteratura è fatta di rimandi, di echi, che coprono anche secoli di distanza; la presenza dell’opera antica può darsi nel romanzo di Levi come citazione diretta, come rievocazione di un reale sforzo di ricordarne un tratto durante la detenzione (vedi il famoso capitolo sul canto XXVI dell’Inferno), come collegamento tematico, come rimando nascosto (e qui talvolta possiamo fare solo delle supposizioni).

Si allega a questa pagina web il saggio Primo Levi e la "città dolente" nel quale viene studiato il rapporto tra l'opera Se questo è un uomo di Primo Levi e passi dell'Inferno dantesco.

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