Lettera alle giovani maestre e ai giovani maestri
Volevo fare il maestro
Da bambino sapevo cosa volevo fare da adulto. Inizialmente il calciatore; mi piaceva giocare e sognavo, con i soldi guadagnati,di poter aiutare mia zia a comprare una lavatrice. Poi pensai all’avvocato e al giornalista poiché ciascuno di loro, seppure in modo diverso, poteva aiutare i più deboli ma alla fine scelsi il maestro poiché aiutava i bambini a crescere e in particolare quelli che avevano più difficoltà.
Ho poi avuto la fortuna di insegnare per 40 anni. La felicità che ho provato nell’insegnamento è venuta dal rapporto con bambini e bambine, dalla passione con la quale ho cercato di seguirli, spesso scontrandomi con la burocrazia e il conservatorismo di certi adulti.
Quale modello di valori trasmette la nostra società?
Ho letto su Libertà della difficoltà a trovare maestri. Certamente lo Stato non aiuta, basti pensare all’utilizzo dei precari presi e buttati quando non servono più. Ma la difficoltà è anche dovuta al modello che la società trasmette ai giovani. Si parla molto di coloro che riescono a fare fortuna con l’effimero o comunque con professioni sopravvalutate, basti pensare a calciatori, veline, modelle, ecc. Intendiamoci ogni professione può avere una sua dignità, ma sapere che certi “influencer” guadagnano tanti soldi su cose poco significative non è incoraggiante. L’opinione pubblica denigra la figura dell’insegnante che spesso viene additato come un fallito perché guadagna poco e tutti possono contestarlo pesantemente. Lungi da me l’idea di ritornare al passato quando il maestro non poteva essere discusso nemmeno quando
commetteva violenze fisiche o psicologiche sui bambini. Oggi chiunque si ritiene insegnante, infermiere, medico o altro e si sente in diritto di offendere questi professionisti. Soprattutto i social hanno fatto saltare ogni forma di autocontrollo.
Davanti ad un maestro o ad una maestra passano tutti i bambini
La responsabilità del deprezzamento della figura dell’insegnante è anche nostra, di noi insegnanti. Ricordo quando sentivo i colleghi lamentarsi e li invitavo a prendere posizione o a farsi sentire. Spesso, con mia delusione, non ottenevo risposta. Si sarebbe dovuto impedire cha la scuola fosse impoverita economicamente, idealmente e culturalmente.
L’insegnante è una professione importante e invito tutti i giovani maestri (che sono sempre meno) e le giovani maestre a difenderla come il pilastro per una futura società democratica. Io ho sempre pensato di essere fortunato: ero pagato per fare un mestiere con il quale potevo essere utile alla società.
Quando si entra in classe si deve scegliere se mettere il bambino reale al centro
Quando entravo in una classe per la prima volta sapevo che sarebbe contato tantissimo quello che avrei fatto all’inizio. I bambini ci misurano subito e capiscono che tipo di maestro/a saremo. Cercavo di stabilire un rapporto basato sulla fiducia con tutti e valorizzavo le qualità individuali di ognuno. Ricordo che presi una classe in quarta e dopo qualche giorno un bambino scrisse in un testo:” Sono convinto che quest’anno faremo cose eccezionali”. Dobbiamo essere noi con pazienza e con l’autorevolezza che sapremo conquistarci a guidarli, soprattutto all’inizio, a regole condivise. Qualsiasi attività proponevo non avevo timore di cambiare strada se vedevo che era necessario. Anche se qualcuno continua a parlare di
Programmi obbligatori e definiti noi sappiamo che nelle Indicazioni Nazionali sta scritto che sono i bambini e le bambine al centro del nostro lavoro e da loro si deve partire.
Lavorare collegialmente e discutere con i bambini
Lavorare collegialmente tra insegnanti è importante. Le idee diverse degli insegnanti possono essere discusse anche con i bambini, ma per fare questo occorre essere onesti intellettualmente e senza pretendere di avere ragione. Io accettavo questo confronto anche quando quello che pensavo veniva messo in minoranza. Rilanciavo sempre e chiedevo di precisare quanto volevano fare. L’importante era che alla fine si decidesse insieme il percorso.
Questo mi pare un buon modo per dare fiducia all’iniziativa dei bambini, inoltre ammettere che il maestro non sa tutto e accetta che i bambini possano avere idee migliori è educativo e formativo.
Piano di lavoro
Cercavo di impostare con i bambini un Piano di Lavoro dove erano definite le attività individuali e di gruppo.
Un buon maestro sa fare buone domande e non dà subito le risposte ma le cerca con i suoi ragazzi. Uno dei segreti è quello di dare valide motivazioni perché i nostri alunni si impegnino e allora i bambini mostreranno un impegno eccezionale. Forse una motivazione funzionerà per alcuni e non per altri con i quali bisognerà trovare motivazioni diverse
Il sapere del bambino è unitario non disciplinaristico
A volte qualche collega o genitore non sapeva in quale area disciplinare collocare le attività che facevo nonostante i bambini fossero entusiasti e i risultati ottimi. Il bambino ha una visione integrale delle cose, cioè non parcellizzata e si deve mantenere l’ unitarietà del sapere. Educare, dal latino educěre, significa «tirar fuori ciò che sta dentro». L'etimologia di questa parola dovrebbe sempre ricordarci che da un ragazzo bisogna saper estrarre qualcosa, non solo introdurre nozioni.
Uscire dalle aule e relazionarsi con il territorio
Relazionarsi al meglio con i genitori, i nonni e le nonne e uscire il più possibile, idealmente ma anche fisicamente, dalle aule scolastiche. Utilizzavo un giornale di classe con il quale ci relazionavamo con il territorio e tutti gli alunni vivevano un tempo scuola immerso nella vita reale e non nei libri preconfezionati.
C’è bisogno dell’entusiasmo dei giovani maestri
C’è bisogno di maestri, che sappiano contrapporre all’individualismo e al familismo amorale che è la base della corruzione, quello spirito di solidarietà e collaborazione che occorre alla futura società. Vi auguro di intraprendere questa bella professione e di contribuire al rinnovamento della scuola e della società. Spero lo possiate fare senza lasciarvi condizionare dalla consuetudine, che è nemica dei cambiamenti positivi e senza lasciarvi frenare da quello che Gianni Rodari chiamava “la scuola del tran tran”, ossia il ripetere pedissequo e noioso di quello che altri hanno già fatto.
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