I 10 anni di Libera

Sogno che fra 10 anni Libera non ci sia più

In un'intervista a Famiglia Cristiana don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, scommette sul sogno che la mafia possa essere sconfitta. E Libera non serva più
25 giugno 2005
Roberto Zichittella
Fonte: Famiglia Cristiana n° 22 - 29 maggio 2005

Grazie anche alla coraggiosa azione del sacerdote, è stato possibile confiscare quasi 5.000 immobili, molti dei quali sono Roma.
Ma la criminalità organizzata è ancora forte.

Togliere beni, terreni, case, soldi alla criminalità organizzata e alle varie mafie che inquinano la vita degli italiani. Poi far restituire il maltolto allo Stato, alle associazioni, ai cittadini. È stata la grande scommessa di Libera, l’associazione fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti. Con una raccolta di firme (oltre un milione), Libera è stata promotrice della legge 109 del 1996, che regola il riutilizzo a fini di sviluppo economico e sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.

Fino a oggi, i beni immobili confiscati sono quasi 5.000. Di questi, ne sono già stati destinati alla collettività circa 2.500. I procedimenti di assegnazione spesso sono lenti e complicati. Ci sono ipoteche, contratti di affitto e altri ostacoli. «Almeno nel 10 per cento dei casi di confisca si tratta di beni ipotecati oppure occupati legalmente», spiega Carlo Pappagallo, vicecapo di Gabinetto del sindaco di Roma, Veltroni.
Per superare queste difficoltà e snellire le procedure si sta discutendo alla Commissione giustizia della Camera un disegno di legge delega governativo per riordinare tutta la materia.

Ma, nonostante i problemi, i risultati sono tangibili. La Coop distribuisce nei propri supermercati i prodotti dei terreni sottratti alle mafie, dove oggi lavorano decine di giovani in cooperative sociali. Sono pasta, olio, vino, legumi, passate di pomodoro, marmellate, messi in vendita con il marchio di "qualità nella legalità"-Libera Terra. Le confische vengono fatte non solo al Sud (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), ma ovunque le mafie hanno investito i loro denari. Dopo le regioni meridionali, quelle in cui si fanno più confische sono la Lombardia e il Lazio.
Qui funziona meglio la collaborazione tra Regione, Demanio, Prefettura, Comuni e Magistratura per l’assegnazione dei beni confiscati. I risultati si vedono.

Da poche settimane la sede nazionale di Libera a Roma ha traslocato in via Quattro Novembre 98, tra piazza Venezia e il Quirinale, dove occupa uno stabile di sei piani confiscato al boss Michele Zaza. Sempre a Roma, il 21 aprile, è stata inaugurata in via di Porta Ardeatina la Casa del jazz, uno spazio con auditorium, sale di registrazione, biblioteca e archivio di audiovisivi, ospitati in un’elegante villa costruita tra gli anni Trenta e Quaranta, confiscata a Enrico Nicoletti, tesoriere della "banda della Magliana". Qui è esposta anche una lunga lapide con i 639 nomi delle vittime della mafia. Dal 2002, nel quartiere Prati, opera la Casa del volontariato, uno spazio di 250 metri quadri dove c’era un bisca clandestina. Il Comune di Roma l’ha acquisito e ha vinto la scommessa decisiva. Quella di credere nella forza della legalità.
Quest’anno, a settembre, don Luigi Ciotti compirà sessant’anni. Da quando nel 1972 fu ordinato prete dal cardinale Michele Pellegrino, questo sacerdote bellunese cresciuto a Torino non si è mai fermato. Dopo aver dato vita al Gruppo Abele, che sostiene le persone in difficoltà, nel 1995 don Ciotti ha fondato Libera, di cui è presidente.
Don Luigi, in un articolo sulla rivista Narcomafie, per il decennale di Libera, lei ha scritto che vi sentite «più stanchi e preoccupati, ma non meno determinati». Perché?
«Perché le mafie sono ancora tra noi. Hanno nuove strategie, nuovi affari, nuovi mercati. C’è un forte ritorno dell’usura e delle estorsioni, c’è una capacità di penetrazione nelle "grandi opere", come gli appalti per il ponte sullo Stretto di Messina. Si dice che negli ultimi 10 anni la mafia è stata silenziosa, ma qualcuno mi deve spiegare perché in questi stessi 10 anni abbiamo avuto 2.270 vittime, tra le quali 37 giovani e bambini. Cosa nostra non ha fatto azioni eclatanti, ma la camorra, la ’ndrangheta e la Sacra corona unita hanno continuato ad ammazzare».
Ma in questi anni c’è stata anche una reazione decisa da parte dello Stato e della società civile nei confronti delle mafie che infestano il nostro Paese. Non si è fatto abbastanza?
«La magistratura e le forze dell’ordine hanno fatto un lavoro straordinario.
Mi piace sottolineare che la confisca dei beni ai mafiosi e la loro distribuzione alla comunità hanno dato frutti soprattutto lì dove abbiamo incontrato bravi prefetti. Manifestazioni, cortei e fiaccolate ne abbiamo fatti tanti. Sono un segno importante, però c’è bisogno di una continuità, una coerenza e una credibilità di azione tutti i giorni nei nostri territori. Perciò dico: facciamo qualche convegno in meno e lavoriamo di più in mezzo alla gente. Bisogna avere coerenza tra il dire e il fare».

Qual è la difficoltà maggiore per chi vuole impegnarsi contro le mafie?
«La cosa più difficile è affrontare l’acqua dentro la quale nuota il pesce, cioè il mafioso. Paradossalmente potrei dire: chi se ne frega della mafia e dei mafiosi! Abbiamo visto che, se vuole, lo Stato li può trovare, arrestare, mettere in carcere. Il problema, ciò che mi fa paura, è la cultura mafiosa, la "mafiosità", il bacino d’acqua nel quale il pesce nuota. Noi dobbiamo svuotare questo bacino che è fatto di segmenti di politici, piccoli pezzi di istituzioni, alcuni imprenditori, di salotti bene che si mettono a discutere, ma poi non incidono».
E come si svuota questo bacino?
«Bisogna lavorare molto nelle scuole, con i giovani, nelle parrocchie, perché ci sia un cambiamento culturale, perché lo Stato dia come diritto ciò che la mafia dà come favore».
Che cosa prova quando vengono restituiti alla comunità o alle istituzioni dei beni appartenuti alla criminalità?
«Provo una grande gioia. Mi sembra un gesto concreto di giustizia. I mafiosi temono la confisca dei beni. La temono perché sottrae loro patrimoni, potere, immagine. Per i boss è come un enorme schiaffo vedere dei giovani che lavorano onestamente nelle loro terre. So che il grano, l’olio, le lenticchie coltivati sui terreni della mafia sono ancora piccole cose, ma sono il grande segno di un cambiamento in atto. Dieci anni fa tutto questo non c’era».
La Chiesa che ruolo ha in questo impegno? Fa abbastanza?
«Ci sono delle belle espressioni di Chiesa che sono cresciute negli anni.
Ho trovato tanti bravi confratelli con i quali ho condiviso fatiche e speranze.
Ne ho trovati anche molti soli, perciò abbiamo cominciato, con discrezione, a condividere la preghiera e la riflessione. Per l’impegno della Chiesa contro la mafia resta di esempio la voce chiara, forte, autorevole di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993. Quelle parole misero in crisi alcuni personaggi, che infatti reagirono con gli attentati alle chiese di Roma e le uccisioni di don Diana e don Puglisi. Io credo sia sempre utile il lavoro silenzioso, ma a volte serve alzare il tono della voce. Ricordiamo che non si uccide solo con le armi, ma anche col silenzio, il non dire le cose, la rassegnazione, la delega... A volte bisogna parlare di più, con più forza. Il Papa fu un esempio davvero coraggioso».

Don Luigi, faccia un sogno: come sarà Libera tra dieci anni?
«Ma il mio sogno è che Libera sparisca! Spero che un giorno il problema che oggi ci fa stare insieme venga spazzato via definitivamente. Sogno che l’Italia sia liberata da questa anomalia che noi chiamiamo mafie».

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