Vessazioni, ingiustizie, e archiviazioni a Catania.

Un maresciallo della guardia di finanza, Antonio Laurino, accusa.
19 ottobre 2005
Carlo Ruta

Il caso del maresciallo Antonio Laurino, da anni in servizio presso la GdF di Catania, non riguarda situazioni di grandi illegalità, tuttavia è significativo e meritevole di essere portato all'attenzione pubblica, perché testimonia da un posizione "interna" il clima di illibertà e di negazione dei diritti che vige all'interno delle istituzioni di questo paese. Se ne riporta il racconto fatto dallo stesso protagonista, cui segue una intervista.

Mi chiamo Antonio Laurino, sono originario di Potenza, dal 1993 mi sono arruolato nella Guardia di Finanza ove, al termine di un corso d’istruzione biennale, ho conseguito il grado di Maresciallo.

Ho svolto tale lavoro a partire dall’agosto 1995 presso la sede di Catania, e sono reduce da una allucinante e surreale vicenda di estenuenti vessazioni e soprusi subiti prima da alcuni superiori gerarchici del Corpo da oramai diversi anni, e successivamente – con le seguenti precisazioni - da parte di taluni esponenti della magistratura penale di Catania e penale - militare di Palermo, in termini di MANIFESTI DINIEGHI DI GIUSTIZIA.

Occorre premettere che, prima di arrivare a questo punto, a causa della raccapricciante situazione lavorativa man mano venutasi a formare nel corso del tempo sono stato costretto a presentare numerose denunzie a carico di svariati ufficiali e sottufficiali del Corpo della Guardia di Finanza.

Tali denunzie concernevano numerosissimi e documentati atti e provvedimenti oggettivamente vessatori in quanto emanati dai vari ufficiali in questione nel più evidente difetto assoluto della sussistenza dei necessari presupposti di fatto e di diritto, gli uni e gli altri disciplinati da varie leggi e regolamenti militari di stretta pertinenza e vincolante applicazione da parte dei sovraordinati.

Tale situazione è stata da me pazientemente documentata attraverso un fitto carteggio intercorso con questi soggetti poi denunziati, attraverso il quale anche un cieco riesce a vedere che la stragrande maggior parte di tali provvedimenti sono del tutto privi di plausibile giustificazione.

Addirittura sono arrivato a chiedere per iscritto a questi soggetti di conoscere queste famose ragioni, questi famosi presupposti siano essi in fatto che in diritto, evidenziando loro al contempo che venivano poste in essere persino aperte violazioni di disposizioni regolamentari della stessa Guardia di Finanza, che come si è detto sono assolutamente perentorei nel prescrivere l'osservanza di precise garanzie a favore del sottufficiale.

Gli episodi oggetto di denunzie sono:

1. costante e pluriennale demansionamento rispetto ai compiti legislativamente previsti dall'art.34 D.Lgs.199/1995 e circolari del Comando Generale adesive al precetto legale richiamato;

2. sanzioni disciplinari per le questioni più piane e lineari, il più delle volte quale risultato di una strenua ricerca di questioni assolutamente risibili e trascurabili ai fini del servizio, pur di infierire; la caratteristica comune a tutte queste sanzioni è l'assoluta e costante pretermissione da parte dei vari ufficiali denunziati delle tesi difensive di volta in volta esposte dallo scrivente incolpato, insieme con una motivazione apparente e del tutto acritica rispetto a tali deduzioni, anche qui in palese violazione sia della legge sul giusto procedimento, sia del regolamento militare DPR 545/1986, sia della stessa circolare 1/I/2000 del Comando Generale che regolamenta l'esercizio del potere gerarchico della comminazione di sanzioni disciplinari di corpo, sia di ulteriori disposizioni gerarchiche di dettaglio;

3. diverse denunzie alla Procura Militare di Palermo di cui ai proc. pen. mil. 406/2002 e 142/2005 R.G.N.R., nonché 135/2005 Reg. G.I.P., sempre con riferimento a fatti e questioni assolutamente chiare e lineari.

In relazione a tali procedimenti penali militari, nonostante che la stessa Procura Militare di Palermo abbia più volte richiesto l’archiviazione delle varie denunzie subite, si è arrivati alla creazione di un’aspra conflittualità fra il detto organo inquirente ed invece il Dott. Salvatore Caponnetto, nonché il Dott. Stanislao Saeli dell’Ufficio G.I.P. presso il Tribunale Militare di Palermo, i quali invece hanno seguito, imperterriti, la linea di condotta di non accogliere le plurime richieste d’archiviazione adducendo, nei loro provvedimenti, solo ed esclusivamente mere clausole di stile e frasi apodittiche buone per tutte le occasioni.

Da sottolineare che i predetti magistrati giudicanti:

- hanno per ben 4 volte non accolto le altrettante richieste di archiviazione della Procura Militare con riferimento alle denunzie di cui ai procedimenti sopra indicati, adducendo affermazioni del tutto sganciate dalle risultanze procedimentali sulle quali riposavano le istanze di non procedere dell’organo inquirente,

- hanno invece – nella sola persona del Dott. Caponnetto – archiviato in data 1 marzo 2005 due denunzie che lo scrivente ha sporto a carico di diversi soggetti del Corpo con riferimento ai reati militari di maltrattamenti – artt.43 e 195 C.P.M.P. – , ingiuria ad inferiore – art. 196 C.P.M.P. -, diffamazione – 227 C.P.M.P. -, con ordinanza recante una motivazione assolutamente incondivisibile in punto di diritto, nonchè palesemente pretermissiva di numerose e conclamate risultanze probatorie documentali provenienti addirittura dai soggetti denunziati, e di nuovo della ripetuta stringente e vincolante normativa regolamentare militare;

Inoltre, pare che addirittura l'Ufficio GIP / GUP del Tribunale Militare di Palermo abbia falsificato il verbale di udienza preliminare del 21 settembre 2004, commettendo l'errore madornale e grossolano di compiere tale falsificazione dopo che un Pubblico Ufficiale giudiziario, nell'esercizio delle sue funzioni, mi aveva invece rilasciato la copia conforme all'originale del verbale esitato immediatamente dopo la chiusura della predetta udienza preliminare !!!

Infatti, la I Sezione della Corte di Cassazione, con Sentenza depositata il 23 giugno 2005, interessata su ricorso da me personalmente proposto quale imputato nel procedimento penale nr.406/2002 per l'annullamento del decreto di rinvio a giudizio in relazione all'unico (ancora rimasto, dopo bentre archiviazioni, fra cui l'ultima è allegata alla presente in formato PDF, ed anche se c'è molto da dire) reato di disobbedienza, dopo aver oggettivamente constatato ""la discrepanza fra i due verbali di udienza preliminare"", e cioé fra il verbale da me acquisito con tanto di apposizione della dicitura ""copia conforme all'originale"", e con tanto di esazione delle marche da bollo per l'importo corrispondente, ha trasmesso gli atti al Procuratore Distrettuale di Palermo ""per quanto di competenza"", ravvisando, evidentemente, il reato di falso in atto pubblico con l'aggravante che è stato commesso da appartenenti all'Ordine Giudiziario.

Io ho copia sia del verbale da me acquisito e vidimato per copia conforme all'originale, sia della Sentenza citata della Suprema Corte.

4. numerosi trasferimenti d'autorità anche questi del tutto immotivati, alcuni dei quali annullati da parte della stessa gerarchia, tanto erano arbitrari;

5. diversi ed immotivati abbassamenti delle note caratteristiche, con l'attribuzione di aggettivazioni palesemente diffamatorie senza che queste ultime corrispondessero a fatti e circostanze comprovati ed oggettivamente rilevabili nel fascicolo personale, oltre che lealmente e doverosamente contestati al presunto trasgressore, come impongono numerose circolari emanate dal vertice gerarchico - Comando Generale della stessa Guardia di Finanza -;

6. numerose richieste di chiarimenti non approdate alla formalizzazione di alcun provvedimento sanzionatorio, in quanto prive all'origine di alcuna plausibilità.

7. indagini sulla vita privata, l’ordine delle quali messo nero su bianco in corrispondenza ufficiale da ma acquisita avvalendomi della nota legge 241/1990 sulla trasparenza amministrativa e l’accesso ai documenti della pubblica amministrazione;

8. proposte di destituzione d’autorità dal servizio permanente, alla quale pervenire proprio facendo leva sulle documentalmente certificate indagini sulla vita privata dello scrivente, di modo che attraverso di esse si possa reperire quanto più materiale possibile per fargli del male;

9. contraddizioni insanabili fra valutazioni prima positive e poi pesantemente negative in capo alla stessa persona dello scrivente, riscontrabili nel comportamento dell’attuale Comandante Provinciale di Catania Generale Mario D’Alonzo – da agosto comandante della Regione Veneto -, uno dei principali responsabili, se non il principale, della parte di gran lunga più affittiva e recente della pluriennale storia di mobbing, insieme con l’attuale Comandante della 1 Compagnia di Catania della GDF Capitano Ignazio Aurnia – anche se ce ne sono diversi altri, fra ufficiali e sottufficiali -

Tutto ciò mi ha causato delle patologie che sono state più volte certificate da diverse strutture sanitarie pubbliche le une diverse dalle altre, anche con specifico risalto del nesso di causalità.

A corredo della varie denunzie, ed a comprova della manifesta fondatezza delle accuse che ho invano reiterato nei confronti delle varie Procure interessate sia quella di Palermo, come si è già riferito, sia a quella di Catania, ho prodotto:

I. tutto il carteggio amministrativo di pertinenza alle varie fattispecie;

II. copia di tutte le circolari della stessa Guardia di Finanza che disciplinavano nel dettaglio e con efficacia evidentemente precettiva nei confronti dei vari ufficiali da me denunziati le predette fattispecie delle sanzioni disciplinari, dell'assegnazione delle mansioni, dei trasferimenti d'autorità, della partecipazione procedimentale e dell'obbligo di motivazione con riferimento agli apporti difensivi del soggetto incolpato in un procedimento disciplinare, della assoluta ed imperiosa necessità di ""stretta corrispondenza, sia formale che nel merito, fra giudizi resi e circostanze di fatto di cui sia rimasta traccia documentale nel fascicolo dell'interessato"";

III Copia il più delle volte integrale di numerosissime sentenze della magistratura penale di Cassazione e del merito, che affermano in maniera assolutamente chiara ed insuscettibile di comode interpretazioni,

a. che i principali istituti garantistici di rango costituzionale trovano piena applicazione e tutela anche nell'ambito dell'ordinamento militare, il quale deve essere particolarmente garante del rispetto dei diritti costituzionali dei suoi appartenenti, di guisa che ""i diritti costituzionali del cittadino militare non recedono di fronte alle esigenze della struttura militare"" (Cfr., Corte Costituzionale 449/1999, 332/2000, 445/2002, le quali a loro volta si riallacciano a pronunzie del Giudice delle Leggi ancora più risalenti nel tempo);

b. che il reato di abuso d'ufficio mediante danno ingiusto si realizza pienamente:

- nel caso di violazione del regolamento di disciplina militare di cui al ripetuto

D.P.R.545/1986;

- nel caso di violazione del dettato di legge in materia di assegnazione al dipendente civile e militare dello Stato di funzioni corrispondenti alla unica e sola lettera della normativa vigente, senza alcuna possibilità di deroga, soprattutto in considerazione della vigenza di superiori e costituzionali interessi pubblici alla efficace gestione delle risorse umane che sono del tutto sottratti alla disponibilità / discrezionalità del singolo Comandante, violando non solo leggi e regolamenti dello Stato, ma persino regolamenti militari;

- nel caso di comminazione di sanzioni disciplinari pretestuose ed immotivate, o di trasferimenti d'autorità, resi per di più in netta obliterazione delle deduzioni difensive dell'incolpato e delle sue esigenze di carattere privato, anche in quest'ennesimo caso violando non solo leggi e regolamenti dello Stato, ma persino regolamenti militari;

- nel caso,ancora più specifico, di mobbing; al riguardo, lo scrivente ha depositato copie a iosa di produzioni dottrinarie di altissimo livello tratte dalle più blasonate riviste giuridiche (per citarne una fra le tante, Giurisprudenza Italiana, fasc.3/2003, Cuva, Bona, La tutela penale del mobbing) e di sentenze del Giudice nomofilattico della Corte di Cassazione, in particolare la notissima Sentenza 12 marzo 2001 nr.10.090, Erba, che ha condannato al massimo della pena edittale di 5 anni, ai sensi dell'art.572 C.P., un datore di lavoro ed il preposto per ripetuti maltrattamenti e vessazioni sul posto di lavoro ai danni dei dipendenti;

c. che pertanto, il reato di maltrattamenti ex art.572 C.P. si realizza pienamente ed indiscutibilmente in tali casi;

d. così come imponente e dettagliata è stata la produzione documentale di dottrina e giurisprudenza in tema di diffamazione nei rapporti informativi e schede di valutazione del dipendente pubblico, anche qui senza poter in alcun modo accampare la vera e propria scusa manifestamente infondata della specialità dell'ordinamento militare in funzione di un autoreferenziale assoluzione delle condotte illegali denunziate.

A fronte di tutto ciò, i vari magistrati penali di Catania e Palermo, ognuno per quello che gli concerne, non hanno fatto altro - almeno fino ad oggi ciò risulta - che deridere l'umana intelligenza ed il più invalso senso comune omettendo con piena consapevolezza e volontà di tenere presente risultanze probatorie di simile significatività e la più indiscussa e consolidata giurisprudenza addirittura della Suprema Corte di Cassazione penale.

A questo punto, la questione trascende sicuramente l'interesse del singolo utente, maltrattato prima dall'amministrazione di appartenenza e poi dalla stessa giustizia penale locale, per assumere una dimensione di preminente interesse istituzionale che non può non investire la libera stampa ed informazione, alle quali sono demandate delicate funzioni di effettività del controllo democratico sui pubblici poteri in generale, affinché ponga in essere ogni sorta di auspicata iniziativa tesa ad eliminare un disservizio così macroscopico ed a stimolare l'intervento da parte delle competenti autorità volto a porre in essere ogni conseguenziale atto previsto dall'ordinamento vigente, ivi comprese azioni disciplinari e quant'altro a ripristino delle legalità patentemente lesa.

Se in questo ordinamento non è consentito farsi giustizia da soli ma si deve per forza di cose rivolgersi alla giustizia dello Stato, allora il cittadino può e deve pretendere dallo Stato che la giustizia e la tutele dei suoi diritti sia concreta, effettiva e reale.

Maresciallo Antonio Laurino, Via Pienza nr.22, 85100 Potenza.

Intervista esclusiva a cura di Carlo Ruta

D: Maresciallo Laurino, dalla lettera email che mi hai mandato traspare un quadro di mancata tutela giudiziaria che sarebbe stata posta in essere proprio da parte delle Istituzioni che sono preposte ad assicurare la difesa dei diritti dei cittadini. Come è nato tutto questo?

R: La causa ritengo di poterla ragionevolmente individuare nella scarsa sensibilità che ancora sembra allignare in certe amministrazioni, ove la cultura dei diritti della persona umana non appare molto radicata. In buona sostanza, a fronte di un cittadino che rivendica i propri diritti con le dovute forme e nelle sedi competenti, si assiste ad una serie di reazioni da parte dell'amministrazione di appartenenza (in questo caso, amministrazione militare) che via via si fanno sempre più violente ed oppressive, come dimostra la sintesi della mia storia narrata nell'articolo.

D: Nell'email sottolinei, in particolare, che da parte di alcuni magistrati penali ci sarebbe stato una sorta di giustizia negata. Puoi essere più esplicito? E' mai possibile che in uno Stato di Diritto si debba ancora oggi assistere ad abusi compiuti dalla pubblica amministrazione che non trovino un'adeguata sanzione giudiziaria ?

R: Purtroppo, almeno nel mio caso devo dire che è possibile, anzi che si è già avverato, con le seguenti precisazioni. Come è stato puntualmente evidenziato nell'articolo di apertura sul mio caso, la mia storia di mobbing dura da parecchi anni, ed è caratterizzata da un dato di fondo, e cioé che tutti i vari atti e provvedimenti che ho censurato nelle sedi competenti si dimostrano manifestamente privi dei presupposti di fatto e di diritto che, in ipotesi, li avrebbero dovuti legittimare. Pur essendo certo di ciò, per dimostrare la piena fondatezza delle mie tesi in qualsiasi contesto (amministrativo, giudiziario) ho posto in essere una costante attività di precostituzione delle prove e degli argomenti a mio favore, consistente essenzialmente in una serie continua di richieste di chiarimenti, rivolta ai vari soggetti che hanno alimentato questa storia di soprusi, con riferimento proprio alle citate circostanze di fatto e presupposti di diritto (come d'altronde è stato riferito nell'articolo d'apertura). Dalla dinamica delle varie risposte pervenute, insieme con tutta una vasta documentazione buona parte della quale proveniente dagli stessi soggetti denunziati, sono pervenuto all'acquisizione di prove documentali oggettive, dotate di dirimente efficacia probatoria per quanto concerne l'assoluta arbitrarietà dei vari provvedimenti.
Inoltre, per rendere semplicemente inoppugnabili le mie tesi ho acquisito un vasto carteggio consistente in direttive, circolari, note interne della stessa Guardia di Finanza che disciplinavano e disciplinano, nel dettaglio e con valore assolutamente vincolante per i vari pubblici ufficiali chiamati a dare diligente esecuzione nell'esercizio delle loro funzioni, le varie fattispecie delle sanzioni disciplinari, dei trasferimenti d'autorità, del divieto di demansionamento, del divieto di indagini sulla vita privata, del divieto di adozione di pratiche defatiganti e vessatorie, in sintesi di tutte le varie questioni esposte nell'articolo che hai pubblicato. Tutto questo materiale, insieme con i singoli provvedimenti di volta in volta censurati, sono stati oggetto di dettagliati atti di denunzia penale rivolta sia alla Procura Militare della Repubblica di Palermo, sia alla Procura Distrettuale della Repubblica di Catania.

D: Con quale risultato ?

R: Con il risultato di vedere del tutto arbitrariamente frustrate le mie domande di giustizia, mediante la riproposizione delle solite pseudo-giustificazioni, inesorabilmente sganciate da quanto da me analiticamente argomentato sia in fatto che in diritto. Ma andiamo con ordine. La denunzia rivolta alla Procura Distrettuale della Repubblica di Palermo venne assegnata al Sostituto Procuratore Dott.ssa Carla Santocono, la quale si distingue subito per un atto investigativo di grande acume tattico - strategico.
Qui vi è una prima chicca, veramente incredibile. La Dott.ssa Santocono assegna una delega di indagini alla stessa Guardia di Finanza alla quale appartengono i diversi soggetti da me denunziati; ma non solo, assegna tale delega addirittura al Comando Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania che, nella linea gerarchica, è in posizione sottordinata rispetto al quello che risulta dagli atti il principale artefice di tutte le mie vicissitudini, l'allora Comandante Provinciale di Catania Generale Mario D'Alonzo. Ora, da che mondo è mondo, si può mai ragionevolmente chiedere all'oste se il vino della sua mescita è buono? Si può mai chiedere ad un Corpo di Polizia militarmente strutturato di fare indagini addirittura su suoi componenti, senza offendere prima ancora che l'aspirazione alla giustizia, la stessa intelligenza del denunziante e del popolo in nome del quale deve essere amministrata la giustizia (art.1, 101, 111 e 113 Cost.)? Si può mai chiedere ad un Corpo militarmente organizzato di fare indagini sull'operato di ufficiali, fra i quali ve ne è proprio uno che riveste una posizione gerarchica sovraordinata a coloro i quali dovrebbero fare delle indagini serie? E' quindi del tutto evidente che tale delega di indagini della Dott.ssa Carla Santocono si rivela immediatamente e di per sé altamente perplessa e del tutto ingiustificata sulla base persino degli ordinari criteri della razionalità umana.
Come già accennato, sia nella denunzia diretta alla Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, sia in quella rivolta al Procuratore Militare della Repubblica di Palermo, ho esposto, con dovizia di elementi non certo riassumibili nel breve spazio di un'intervista: tutti gli episodi ed i provvedimenti di cui all'articolo d'introduzione che hai già pubblicato; l'insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto, di volta in volta desunti dalla specifica normativa militare di settore, confortata sia dalle numerose prove documentali di cui ho già fatto cenno, sia da un vero e proprio diluvio di pronunzie di dottrina e giurisprudenziali del Supremo Collegio della Corte di cassazione penale e della giurisprudenza amministrativa, con ovvio e specifico riferimento alle varie questioni di fatto e di diritto denunziate.
A fronte di un tale quadro d'insieme, altamente significativo e persuasivo di per sé, ho dovuto assistere al confezionamento di provvedimenti giudiziari completamente ingiustificati e del tutto avulsi dalle più consolidate principi che regolano la nostra giurisdizione, in uno con le più comuni massime d'eserienza ed il più invalso senso comune. Sono convinto che persino uno studentello del primo anno di giurisprudenza si potrebbe rendere facilmente conto delle vere e proprie storpiature che del diritto sembra abbiano posto in essere i vari magistrati di volta in volta interessati dalle mie vicende, anche se ciò deve essere letto - lo ripeto - con le precisazioni di cui do conto in quest'intervista. L'assurdità di tali provvedimenti giudiziari, infatti, è del tutto sconcertante.
In buona sostanza, se c'è una espicita norma di legge o di regolamento che impone all'appartenente al Corpo militare della Guardia di Finanza di adottare determinati provvedimenti solo all'esclusivo verificarsi di alcuni presupposti, se questi presupposti non ci sono mai stati, se di ciò ho amplissime ed esaustive prove documentali, se i vari soggetti da me denunziati sono incorsi anche in aperte ed irriducibili contraddizioni, anch'esse documentalmente comprovate, che smascherano platealmente il loro vero operato, se tutto ciò è argomentato al Procuratore della Repubblica con un'esposizione logica, coerente, costantemente e certosinamente documentata, se dunque il solito trito argomento della "lata discrezionalità" non può avere alcun plausibile e razionale fondamento in quanto va a collidere con l'inequivoca lettera della legge e dei regolamenti militari, ma allora perché i vari magistrati penali di Palermo e Catania se ne vengono con questo solito argomento della ""discrezionalità""? Di fronte alle mie denunce, e di fronte all'esibizione di tutto il vasto carteggio solo sinteticamente accennato, sostenere, con pervicacia sicuramente degna di miglior causa, che i vari superiori gerarchici della Guardia di Finanza da me denunciati possono avvalersi di una (a questo punto del tutto arbitraria e normativamente inesistente) discrezionalità amministrativa, significa, da un punto di vista razionale e nell'assoluto difetto di serie e plausibili argomentazioni di segno contrario, sostenere con piena consapevolezza e volontà una tesi non solo illegittima dal punto di vista del diritto formale, ma soprattutto palesemente ingiusta dal punto di vista del diritto sostanziale, e cioé che offende impunemente quel sentimento di giustizia che fa parte del patrimonio comune di tutti i consociati, in nome dei quali (lo ripeto per la terza volta) DEVE essere esercitata la Giustizia (art.101 Cost.).

D: Un quadro a dir poco allarmante. Ci puoi dire altri aspetti di questa vicenda?

R: La Dottoressa Santocono fa una richiesta di archiviazione. Io deposito opposizione ai sensi dell'art.410 C.P.P.. Il GIP di Catania Dott. Antonino Ferrara in un primo momento sembra che abbia accolto la mia istanza di opposizione e difatti fissava udienza in camera di consiglio in data 25 maggio 2005, sulla base del 2^ comma dell'art.409 C.P.P. Il 25 maggio 2005, alla predetta udienza, accadono altre cose molto strane. Mi presento quale persona offesa / opponente, sicuro che, per il solo fatto della mia presenza all'udienza, e per averne fatto espicita richiesta al GIP, questi mi avrebbe ascoltato. Fra l'altro, al fine di evitare qualasiasi dubbio od equivoco sulla conduzione di tale singolarissimo procedimento, avevo richiesto per iscritto che dell'udienza camerale venisse fatta registrazione, ai sensi dell'art.134 C.P.P..
Ebbene, all'udienza predetta non solo il GIP Ferrara non mi fa esporre con la dovuta serenità le mie tesi, nonostante il chiaro disposto letterale dell'art.127 C.P.P. che dispone, del tutto chiaramente, che l'indagato e/o la persona offesa "sono sentiti se compaiono" (da evidenziare, inoltre, che la locuzione "nonché i difensori", rende chiaro che non solo i difensori hanno il diritto di esporre le loro tesi durante l'udienza in camera di consiglio ex art.127 C.P.P.), ma non dispone neppure la registrazione della predetta udienza.
Completamente contrariato, richiedo copia conforme all'originale del verbale di quell'udienza e scopro, con sdegno, tutta una serie di irregolarità procedurali. Incredibilmente, quando sarebbe toccato a me esporre
le mie tesi di opponente alla richiesta di archiviazione, il GIP Ferrara diede la parola ad una ragazza che non avevo mai visto prima, e che scoprirò, dalla postuma lettura dell'acquisita copia conforme all'originale del verbale d'udienza, essere tale avvocato Carmen Gracco. Questo presunto e mai conosciuto avvocato, inopinatamente comparso all'udienza del 25 maggio 2005, non ho mai capito e/o saputo a che titolo è intervenuto. Infatti, non si specifica ciò neppure nella predetta copia conforme all'originale del verbale d'udienza. Il quale verbale testimonia, fra l'altro un vero e proprio record dei cento metri giudiziari. In esso, infatti, sta scritto (stiamo parlando sempre della copia conforme a me rilasciata, non certo di aria fritta) che l'udienza è incominciata alle ore 09,05, ed è conclusa alle ore 09,05. Non c'è che dire; proprio un bell'esempio di giustizia veloce, anzi, oserei dire, giustizia lampo, nel senso che neppure si vede.
Comunque, il predetto GIP Ferrara confezionava un provvedimento del tutto sganciato dalle plurime argomentazioni da me instancabilmente sviluppate, del tutto scollegato dal vero e proprio profluvio e diluvio di atti, documenti, sentenze, procedimenti amministrativi sempre e costantemente esibiti prima al PM Santocono, e poi al GIP Ferrara. Addirittura, il GIP Ferrara arrivava ad asserire delle cose non vere persino in punto di fatto, laddove nel provvedimento d'archiviazione affermava che il denunciante non avrebbe indicato, nell'atto di opposizione, le investigazioni suppletive richieste per la prosecuzione delle indagini preliminari. Come si può leggere, persino velocemente, nel ricorso per cassazione da me proposto avverso il provvedimento del GIP Ferrara, nell'atto di opposizione sono state dedicate pagine e pagine all'elencazione pignola di tutti quelli che sarebbero dovuti essere gli atti d'indagine da compiersi doverosamente, e che sono stati invece del tutto illegittimamente pretermessi prima dal PM Santocono, e poi dal GIP Ferrara, del tutto illegittimamente in quanto (lo si ripete ancora) costoro non hanno fornito alcuna minima e plausibile e razionalmente giustificabile argomentazione di segno contrario. Al GIP Ferrara indirizzavo pure una memoria difensiva, depositata il 19 maggio 2005, che avrebbe dovuto costituire oggetto di attento esame da parte del Giudicante (perché depositata entro i 5 giorni liberi, ai sensi dell'art.127 C.P.P.).
Ebbene, sempre ed esclusivamente con riferimento al contenuto letterale del provvedimento d'archiviazione, il Ferrara risulta aver vistosamente omesso di considerare argomenti, prove documentali, relazioni mediche comprovanti sia il danno da reato, sia il nesso di causalità con le plurime vicende denunziate. Insomma, una situazione veramente surreale e grottesca di manifesto diniego di giustizia.
Poiché le critiche che ho svolto scendono molto sul tecnico, ti invito, sin da ora, a voler pubblicare sul tuo sito di denuncia civile il documento del ricorso per cassazione che ho proposto avverso il provvedimento di archiviazione del GIP di Catania Dott. Ferrara. Credo che sia di sicuro interesse per la pubblica opinione, che deve essere esaustivamente informata, dai giornalisti seri come te, di tutti gli abusi che, in alcuni casi come il mio, è costretto a subire il cittadino che, per forza di cose, non può farsi giustizia da solo, ma deve per forza rivolgersi alla giustizia dello Stato.

D: E per quanto riguarda il Tribunale Militare di Palermo?

R: La stessa sequenza di motivazioni apodittiche e pretermissive a fronte di atti, documenti, prove, circolari e direttive interne, contraddizioni insanabili degli stessi soggetti denunziati, precedenti giurisprudenziali inequivoci persino della stessa magistratura militare di Palermo. Niente di niente, peggio del muro di gomma. Di nuovo, anche qui, la stessa tesi dell'ampia discrezionalità, che tutto può, persino far finta di niente di fronte a normativa legislativa e regolamentare assolutamente vincolante e a prove documentali di univoca significatività.

D: Immagino che i tuoi superiori non sono stati a guardare.

R: Infatti, dopo tutte le pluriennali vicende già segnalate nell'articolo di apertura, mi hanno tempestato nel marzo scorso di ben 5 denunzie penali per due fattispecie di minaccia grave, una di insubordinazione con ingiuria, una per diffamazione pluriaggravata, ed una per disobbedienza. Le prime quattro denunzie sono state proposte dall'allora già citato Comandante Provinciale di Catania Generale Mario D'Alonzo con due informative di reato dirette sia al Procuratore Distrettuale della Repubblica di Catania, sia al Procuratore Militare della Repubblica di Palermo. La quinta denunzia per disobbedienza è stata proposta dall'allora Comandante della 2^ Compagnia di Catania Capitano Loperfido al Procuratore Militare di Palermo. Devo riconoscere, però, che la magistratura penale - militare di Palermo, con riferimento a queste denunce arbitrarie poste in essere dai miei superiori, ha riconosciuto la mia innocenza. Le due ipotesi di reato di asserita ""minaccia grave"" sono state ritenute del tutto inconsistenti sia dal Procuratore Militare Capo di Palermo Dott. Buttitta, sia dal Giudice per le Indagini Preliminari Dott. Salvatore Caponetto.
L'ipotesi di reato di insubordinazione con ingiuria e diffamazione è stata ritenuta insussistente dal punto di vista materiale da parte del citato Procuratore, mentre il GIP militare ha ritenuto che potesse esssere
escluso il solo elemento soggettivo del dolo, ed ha archiviato perché il fatto non costituisce reato. Credo che sarebbe stato più giusto riconoscere l'insussistenza del fatto, atteso che l'accusa che avevo rivolto al Generale D'Alonzo concerneva fatti veri, nonché tutta una serie di iniziative vessatorie poste in essere dal D'Alonzo, che si erano già risolte, oggettivamente ed indiscutibilmente, con il riconoscimento delle mie piene ragioni da parte della stessa superiore gerarchia militare, sovraordinata rispetto al D'Alonzo.
Infine, la quinta denunzia per disobbedienza ad un preteso ordine verbale di partecipare ad una cerimonia religiosa (proprio così, state leggendo bene!!!) è stata ritenuta talmente inconsistente dallo stesso Procuratore Militare da non essere iscritta neppure sul registro delle notizie di reato. Nonostante ciò, deve essere segnalato all'opinione pubblica un altra circostanza del tutto ingiustificata.
L'informativa sporta in data 7 marzo 2005 dal Generale Mario D'Alonzo al Procuratore Distrettuale di Catania per le due fattispecie di immaginaria asserita "minaccia grave", nonostante, come si è detto, sarebbe stata ritenuta del tutto inesistente dal punto di vista giuridico sia dal Procuratore Militare, sia dal GIP del Tribunale Militare di Palermo, veniva comunque iscritta sul registro delle notizia di reato da parte della citata Procura Distrettuale di Catania. Il procedimento veniva assegnato prima al Sostituto Procuratore Dott. Fanara, e poi al Sostituto Procuratore Dott. Bonomo, il quale delegava, fra le tre forze di polizia a sua totale disposizione, proprio (ma guarda un pò!) la Sezione di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza di Catania a escutere ad interrogatorio l'indagato Maresciallo Laurino.
Il citato P.M. prima faceva svolgere dalla Sezione della stessa Guardia di Finanza l'interrogatorio del 15 aprile 2005, poi però si accorgeva (solo dopo che ero stato sottoposto all'ennesima vessazione dell'interrogatorio davanti ai colleghi della stessa Finanza, cosa questa da parte mia assolutamente intollerabile)che egli non era competente per materia, in quanto l'ipotizzato reato (per la verità, ipotizzato solo da lui, visto che né il Procuratore Militare, né lo stesso Giudice Militare hanno mai adombrato la benché minima ed immaginaria plausibilità della configurazione di tale ipotesi di reato) era attratto alla competenza speciale della giurisdizione militare. Di conseguenza, trasmetteva gli atti al Procuratore Militare di Palermo, il quale neppure considerava la notizia di reato degna di essere iscritta nell'apposito registro!

D: Nell'email che mi hai inviato parlavi anche di un presunto episodio di difformità fra verbali di udienza preliminare del GUP del Tribunale Militare di Palermo. Che cosa è successo?

R: Al termine dell'udienza preliminare del 21 settembre 2004 acquisivo, presso gli Uffici del Tribunale Militare e dal Cancelliere Assistente Giudiziario Colonnello Spitaleri, copia conforme al verbale della appena trascorsa udienza. Nel contempo, chiedevo l'acquisizione di tutti i provvedimenti che il Giudice ha nel contempo emanato. Fra i documenti che mi sono stati dati, non vi era la copia conforme all'originale proprio del decreto di rinvio a giudizio. Inoltre, il verbale a me consegnato e vidimato per "copia conforme all'originale" non conteneva né la sottoscrizione del Giudice Stanislao Saeli, né quella del Cancelliere di quell'udienza Capitano Caianiello, né tantomeno la menzione dell'avvenuta lettura del provvedimento di rinvio a giudizio al termine della stessa udienza preliminare.
Queste precisazioni si rendono doverose perché successivamente avrei scoperto, dall'acquisizione di copia della requisitoria scritta del Procuratore Generale Militare Dott. Rosin (interessato alla vicenda in quanto avevo proposto ricorso in cassazione censurando l'abnormità del decreto di rinvio a giudizio, per diversi motivi di diritto che ora non sto qui a dire), che invece la Cancelleria dell'Ufficio GUP del Tribunale Militare di Palermo aveva mandato alla Suprema Corte una copia del predetto verbale di udienza preliminare con dei requisiti del tutto diversi da quelli appena menzionati.
Appreso ciò con sommo stupore, chiedevo copia della Sentenza della Suprema Corte, la quale, senza entrare nel merito delle mie doglianze, dichiarava il mio ricorso inammissibile in quanto tardivo, sul rilievo che, dovendo prestare fede alla copia del verbale inviato dalla Cancelleria dell'Ufficio GUP e non alla copia in mio possesso, e poiché nella copia inviata alla Cassazione dall'Ufficio GUP sarebbe risultata l'avvenuta lettura del provvedimento di rinvio a giudizio al termine dell'udienza ed alla mia presenza, il termine di 15 giorni per impugnare era già decorso al momento della proposizione del ricorso. Senonché, la I Sezione disponeva contestualmente l'invio degli atti al Procuratore Distrettuale di Palermo ""per quanto di competenza"", evidentemente ravvisando profili di oggettiva rilevanza penale, quanto alla rilevata ""discrepanza"" fra i due verbali di udienza preliminare. Di più non so. So solo una cosa. D'ora in poi chiederò che qualsiasi dichiarazione debba rendere a quasiasi autorità giudiziaria dell'universo mondo sia registrata non solo dagli strumenti dell'ufficio, ma anche da registratori in mio possesso. Solo così si potranno evitare situazioni alquanto dubbiose come quella appena riferita.

D: Mi dicevi che comunque la tua storia di mobbing è contrasegnata anche da numerosi riconoscimenti della fondatezza delle tue ragioni.

R: E' vero. Numerosi sono stati i provvedimenti amministrativi e le denunce penali già pienamente risoltisi a mio favore. Ti invito a pubblicare sul sito l'interrogazione parlamentare depositata alla Camera dei Deputati alla seduta del 4 marzo 2004, ed a firma degli Onorevoli Russo Spena e Grandi, che riassume efficacemente tutte le vicissitudini. E' proprio alla luce di ciò che il diniego di giustizia perpetrato ai miei danni dai magistrati penali di Catania diventa ancora di più ingiustificabile dal punto di vista razionale. E' proprio alla luce degli importantissimi principi di diritto sanciti dalla pregevole Sentenza 28 luglio 2005 nr.1253 della III Sezione del TAR Catania che le tesi della magistratura penale catanese appaiono ancora più destituite di ogni minima plausibilità giuridica e razionale. Il Giudice naturale dell'amministrazione militare, nella citata Sentenza (che invito a leggere, per coloro i quali hanno interesse ad approfondire la mia storia, integralmente sul sito www.giustizia-amministrativa.it, attraverso il motore di ricerca), ha chiarissimamente ed autorevolmente sancito che la famosa storiella della discrezionalità amministrativa trova degli insormontabili ostacoli rappresentati dalla legislazione vigente, dalla verifica obbligatoria dei "presupposti di fatto" (il TAR sul punto ha citato addirittura un precedente dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nr.14/1999), dalle stesse onnipresenti circolari della stessa Guardia di Finanza, dai principi di legalità e buon andamento della pubblica amministrazione, insomma da tutti quei presidi di legalità che ho invano citato e ricitato e stracitato nei vari atti all'attenzione dei vari magistrati penali di Catania. I quali, a fronte delle mie continue richieste di chiarimenti, depositate presso la Cancelleria penale della Procura Distrettuale e Generale della Repubblica di Catania alle date dell'aprile 2003, 24 maggio 2003, 10 settembre 2003, 4 ottobre 2003, 10 gennaio 2004, 24 gennaio 2004, 5 giugno 2004, 15 luglio 2004, e tutte caparbiamente imperniate sugli stessi argomenti appena citati, non hanno mai risposto con delle tesi convincenti e accettabili.
Devo quindi evdeinziare che le due sentenze 28 luglio 2005 nr.1252 e 1253 della III Sezione del TAR Catania hanno messo un punto fermo, dal punto di vista giurisprudenziale, che non può non esaltare ancora di più tutte le mie legittime e motivate perplessità in relazione al comportamento irriducibilmente denegativo di giustizia che ho appena denunciato. Staremo a vedere. Al momento attuale, ho fiducia solo in una cosa; la denunzia civile e civilmente esposta all'opinione pubblica, la sola dalla quale mi sento di essere giudicato ed al cui giudizio mi offro.

Catania, 15 ottobre 2005

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